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 2025  giugno 13 Venerdì calendario

Intervista a Vladimir Luxuria

Fin troppo carina, meglio di come appare nelle foto. È sottile, alta quasi un metro e ottanta, e indossa un bell’abitino con la scollatura appena accennata che, sotto il golfino, mostra una piccola parte del seno. E va bene che oggi le cinquantenni sembrano bambine dai lunghi capelli, ma adesso lei ne sta per compiere sessanta! Dico lei, anche se non si è tolta la virilità e la sua carta di identità è ancora al maschile: Guadagno Wladimiro, nato a Foggia, sex M...«Tu chiamami semplicemente Vladimir».
E va bene. Vladimir. Tutto nasce, il nostro incontro voglio dire, dal fatto che in un articolo avevo scritto che oggi si parla così tanto di trans e che io una persona trans, in tanti anni di lavoro, non ne avevo mai conosciuta neppure una. E mi chiedevo: possibile? Apriti cielo! Non sai quanti mi hanno sgridata nella rubrica delle lettere del Venerdì. E così, eccoti qui: sei la mia prima trans – una parola che, scusa eh, non sopporto. Comunque, la mia domanda è: perché non hai cambiato, non dico sesso, ma neppure la carta di identità? E perché non ti fai chiamare semplicemente “signora”? Voglio dire: perché questa insistenza nel volersi far chiamare trans....
«La carta di identità non l’ho cambiata, anche se oggi la legge me lo consentirebbe, perché la mia popolarità mi permette di non dover dare tante spiegazioni sul mio genere. Quanto alla parola trans: su questa terra transitiamo tutti, non credi?».
Ho scritto anche che la sentenza pronunciata qualche tempo fa dalla Corte suprema britannica secondo me non aveva mica sbagliato a dire che o nasci femmina o nasci maschio. E riapriti cielo! Io, poi, ti confesso, non sono più né uomo né donna. Sono solo una vecchia – peraltro tremendissima.
«In realtà, quella sentenza dice di più. Dice che se tu hai cambiato sesso non puoi essere riconosciuta come una donna nata biologicamente tale e che, quindi, ti sono preclusi anche gli spazi pubblici. Ti faccio un esempio: attraverso la strada, vengo investita, ambulanza, ospedale. Secondo quella sentenza, e la mia carta di identità, dovrei essere portata nel reparto degli uomini – con conseguente imbarazzo dei ricoverati e umiliazione mia. Io non voglio rivendicare di essere biologicamente donna. Perché non lo sono. Il punto è la negazione degli spazi pubblici. Ti faccio un altro esempio: ora non vado più in palestra, me ne sono fatta una piccola a casa. Ma quando la frequentavo andavo nello spogliatoio femminile e ho sempre fatto la doccia – tenendomi addosso il costume per un certo senso di pruderie. Beh, non ho mai trovato una donna che mi abbia detto: tu cosa ci fai qui? Sinceramente queste femministe trans-escludenti, come la J.K. Rowling, quelle che hanno festeggiato come una vittoria la sentenza britannica, stanno facendo una battaglia che nel linguaggio ricorda quello che facevano gli uomini maschi con le donne, dicendo che certi spazi dovevano essere loro preclusi. Le librerie non dovevano essere delle donne, la politica non doveva essere delle donne, il voto non doveva essere delle donne».
Queste cose che mi dici onestamente non le avevo considerate. Però quella sentenza dice anche che le persone trans non vanno discriminate.
«Vero. Ma da una parte dice che non bisogna discriminarci e dall’altra ci discrimina dagli spazi pubblici, che poi sono la quotidianità».
Ma allora ritorno al punto. E te lo chiedo davvero per capire: che bisogno hai di dire che sei trans? Non puoi dire di essere semplicemente una donna? Perché tu sei una donna!
«Sai, la Rowling dice che chi non ha le mestruazioni non può essere considerata donna… Io mi definisco un essere umano che transita in questo mondo. Sono italiana, sono cristiana. E sono una donna trans».
Ho capito, non sei una donna. Sei una donna trans.
«Esatto. E riconosco le cosiddette cisgender, che non è una parolaccia, sono quelle conformi al loro genere, nate tali biologicamente, che hanno le mestruazioni, un seno che può allattare, e che potrebbero anche restare incinta: tutte cose che io non ho, perché il mio corpo è questo e devo farci i conti. Però questo non mi toglie la felicità di voler essere percepita come donna e di sentirmi donna tra le donne e combattente insieme alle altre donne. Tutte queste Rowling farebbero bene a ricordarsi che abbiamo un nemico comune: il patriarcato».
A che età hai cominciato a sentirti una donna?
«Per me questa identità di genere femminile, rispetto al corpo che l’anagrafe mi ha dato, che la natura mi ha dato (e però la natura mi ha dato anche un cervello, apro e chiudo la parentesi) è stata un po’ come imparare a parlare, a camminare. Quando mia mamma con le zie spettegolava sui vestiti delle signore ai matrimoni, io ero lì, con loro. E i profumi? Il dopobarba era troppo forte, mi piaceva invece l’acqua di rose che usava mia mamma. Per dire che mi sono sempre sentita dentro l’universo femminile, ancora prima di essere attratta dagli uomini. Quando poi mi sono vista i primi peli è stata una tragedia. Mi dicevo: ma che c’entrano con me? Rifiutavo di guardarmi allo specchio».
E quanti anni avevi?
«Guarda, undici, dodici?».
Quindi non sapevi chi eri...
«Tesoro, parliamo di un po’ di anni fa e parliamo di Foggia: non si parlava di queste cose. Mi sentivo semplicemente sbagliata, perché i miei compagni di scuola erano maschi che si sentivano maschi, i miei cugini erano maschi che si sentivano maschi. Io dovevo fingere. Mi ricordo a tavola: “Stai attento con la mano” perché avevo sempre questi atteggiamenti un po’ femminili. E a scuola: “Non camminare così”. Sai le note che mi sono presa perché dicevano che sculettavo? Fare il maschio per me era una recita. Una fatica». Ma tu sapevi che potevi cambiare in qualche modo?«Si avevano poche notizie. Quando si parlava di transessualità era per parlarne male, per abbinarla al marciapiede. Poi, a 17 anni, dicendo una bugia ai miei, venni a Milano. Avevo saputo che esisteva una discoteca, si chiamava Nuova Idea, dove c’erano i gay e le trans. Li vidi ballare e divertirsi, ed è lì che ho avuto per la prima volta la percezione che potevo essere come ero ed essere felice, divertirmi, farmi un drink. Ho cominciato a capire che avrei dovuto battagliare per far sentire le persone come me felici».
La tua che famiglia era?
«Papà faceva l’autotrasportatore, mia mamma la casalinga. Per fortuna ci sono ancora. Ho anche tre sorelle e un fratello, meravigliosi, io sono la maggiore».
E non si sono mai arrabbiati con te?
«Quando mi ha visto per la prima volta vestita con abiti femminili, con l’orecchino, con un po’ di trucco, mio padre se l’è presa con mia mamma, la incolpò di non avermi educata. Avrò avuto 16 anni. Mi facevo prestare i vestiti da mia sorella. Mi portavo, chessò, una camicetta, la mettevo in una busta di plastica, uscivo di casa e poi entravo nelle cabine telefoniche – che per me erano dei camerini urbani. Mi infilavo lì dentro, mi cambiavo, un po’ di trucco e poi uscivo, a Foggia, sfidando il mondo. Mi sentivo veramente Naomi Campbell. Però gli altri non è che proprio applaudissero le mie sfilate. Diciamo che mi urlavano cose non esattamente carine».
Ma quando hai deciso che anche per te, diciamo l’essere una donna trans poteva essere importante?
«L’ho capito quando mi sono resa conto che avrei sofferto magari gli insulti, le botte, le minacce, ma che tutta questa sofferenza, messa su una bilancia, era molto inferiore rispetto a quella che avrei provato a essere una persona che non sono, a travestirmi da maschio in questa vita unica che ci è data».
E a vent’anni com’eri?
«Eh, a vent’anni! Figurati, mi sono trasferita a Roma a vent’anni. Ho cominciato la mia militanza col Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, ho cominciato a pensare alle manifestazioni...».
E ti sei laureata con 110 e lode alla Sapienza con una tesi su Conrad…
«La cultura è stata anche uno strumento di sopravvivenza, in un momento buio mi ha tenuta in vita. Ma la usavo anche per tenere a bada i bulli. Quelli che mi chiamavano ricchione, quelli che mi volevano picchiare di solito andavano male a scuola. Io gli dicevo: se smetti di sfottermi, ti aiuto nei compiti. Quel 110 e lode che ho preso è stata la ricompensa per aver resistito alla tentazione di mollare la scuola in un periodo in cui il bullismo era veramente pesante. Tutti i giorni arrivare a scuola e sentirmi sfottere quando, all’appello, arrivava il mio cognome. E tutte le volte che mi scrivevano ricchione sui quaderni, sui libri. Era un continuo».
Ma che barba!!!
«Guarda, meno male che non sono nata nell’epoca dei social. Perché, sai, quando tornavo a casa nella mia cameretta io ero tranquilla. Adesso invece i bulli se li portano anche dentro la propria stanza, nei post, nei messaggi WhatsApp».
E c’è davvero ancora oggi così tanto bullismo nei vostri confronti?
«Tantissimo. Natalia, il bullismo omofobo e transfobo è uno di quelli purtroppo più praticati. Ma guarda che anche se non sei gay, anche se vai a scuola e dici che magari ti piace la musica classica, o che non ti piace giocare a pallone, in certi contesti sei frocio, sei culattone, ti sfottono. È una brutta piaga».
Ci credo, anche se ormai dovremmo vivere in un’epoca in cui essere quello che sei non dovrebbe dar fastidio a nessuno. Per esempio: ai ragazzi gay sposati, nessuno ci fa più caso. Davvero pensi che attualmente sono prese più di mira le persone trans, piuttosto che le persone omosessuali?
«Ci sono i trans, quelli che da donne diventano uomini, e le trans, quelle che da uomini diventano donne. La donna che è mascolina non ha tutti questi problemi, nel linguaggio comune si dice addirittura “una donna con le palle”. Mentre quelli che nascono maschi, e che decidono di esternare la femminilità, sono considerati da una cultura patriarcale persone che, nonostante abbiano avuto il privilegio di nascere maschi, si degradano da soli, scendono la scala della gerarchia. Chi considera le donne ancora oggi inferiori, considererà il peggio del peggio uno che nasce maschio e che vuole essere donna. Un disertore».
Sì, però un uomo che è gay è maschio, no?
«Stai toccando un punto importante. Un conto sono gli omosessuali, il loro è un orientamento sessuale: non hanno, diciamo, un problema con il proprio corpo, tant’è che molti gay sono virili, sono ipermaschi. Per le persone trans è l’identità di genere la questione, facciamo delle trasformazioni a livello corporeo, di apparenza, di esternazione. Sono due cose molto diverse – Oddio, mi sembra di far la maestrina con te!».
Mica mi offendo, siamo qui per capire...
«Guarda, purtroppo oggi c’è una crociata contro di noi incredibile.Trump, Orbán, questa destra. Ormai siamo diventate l’obiettivo. Quando vengo invitata nelle scuole per portare la mia esperienza di bullismo transfobo, e racconto quello che mi è successo, che cosa dicono quelli di Pro Vita, della destra, della Lega? Che noi facciamo ideologia gender, che andiamo nelle scuole a convertire gli adolescenti. Ma se spiego che cosa vuol dire l’omosessualità o la transessualità, non sto facendo una lezione su come diventare omosessuale o transessuale. Io non voglio più gay domani. Voglio meno omofobi domani».
Hai fatto e fai migliaia di cose, la tv, il cinema, il teatro... Sei stata anche in Parlamento nel 2006.
«Sai che sono la prima donna trans a essere entrata nel Parlamento europeo?».
A proposito di politica, che cosa pensi del nostro governo?
«Prima chiedevamo spesso ai governi di interessarsi a noi, adesso chiediamo di non farlo. Quando si interessano a noi, è solo per toglierci qualcosa».
Ma perché continui a chiamarti Vladimir?
«È un nome che mi piace molto, in russo vuol dire “la potenza della pace” – mi sa che forse è Putin che dovrebbe cambiarlo. È stata una mia scelta personale, la stragrande maggioranza delle persone trans fa una scelta diversa, cambiano il nome al femminile. Ma ognuno decide della sua vita. E poi a me la declinazione al femminile di Vladimiro, Vladimira, mi pare orrendo».
Comunque sei proprio una bella donna, sai?
«Commestibile, dài».

Te lo dico perché ti vedo così e quindi mi sembra strano che ti insultino.
«Ma io sono fortunata, Natalia, perché ho anche la popolarità. Sui social sì, ancora oggi mi insultano, ma ormai non li leggo manco più quei commenti. Nella mia vita di tutti i giorni trovo solo persone che mi dicono cose belle. Gli episodi di discriminazione li ho vissuti in passato, oggi sinceramente no. Però vorrei che anche le persone che non sono famose potessero campare serenamente. Tanto poi comunque la vita altri problemi ce li dà, no?».
Hai avuto sempre lo stesso compagno?
«Attualmente sono single. Se poi arriva un fidanzato, bene, e se non arriva è uguale. Nell’attesa però non è che sono diventata improvvisamente Santa Maria Goretti. Sempre Luxuria sono!».

Ecco. Si sa che tu avresti ancora il cosiddetto uccello. Perché hai deciso di non eliminare una parte che è così importante nella vita di uomo?
«Ma sai, ognuna fa le sue scelte. Alcune decidono di eliminare gli organi genitali. Via tutto. E per fortuna oggi ci sono delle tecniche di operazione, soprattutto in Thailandia, con anche delle terminazioni nervose che rendono possibile raggiungere l’orgasmo. Prima invece, quando andavi a Casablanca, ti facevano un buco. Anche in Europa ci sono dei centri specializzati. Io ho raggiunto il mio equilibrio psicologico così, cioè mi piace avere l’aspetto femminile ma non ho voluto cambiare i miei genitali. E sto bene, anche perché quando ho un rapporto sessuale io uso tutto il mio corpo».
Ecco, un’altra cosa che non ho mai capito: la difficoltà con cui una donna diventa maschio. C’è un attore che lo ha fatto, Elliot Page...
«È un fenomeno crescente quello delle donne che diventano maschi. Con un acronimo si chiamano FTM, female to male. Sono più discreti, nel senso che una che diventa maschio è meno visibile, non si capisce neanche. Sono proprio uomini».
Cioè, tu mi stai dicendo che molte ragazze vogliono diventare maschi?
«Ovviamente è qualcosa di diverso dalle lesbiche, proprio come prima abbiamo detto dei gay. In questo caso l’operazione è anche più complicata, ma quando sei determinata al cambiamento non c’è ostacolo che tenga. Vuoi andare fino in fondo».
Ecco, prima ti dicevo che io non avevo mai incontrato un trans o una trans. E tu ora invece mi dici che siete tante e tanti. Ma dove?
«Beh, siamo una minoranza ovviamente. Diciamo che mentre prima il mondo trans era un po’ più nascosto, più legato alla notte, adesso per fortuna c’è una dimensione diurna, gente che lavora in banca, fa la cassiera al supermercato, nel mondo dello spettacolo. Io credo di essere stata un esempio di grande visibilità. Sai una cosa? Quando stai al mare, sotto l’ombrellone, e ti si avvicinano una mamma e un papà con i figli piccolini e chiedono di farsi una foto. Spieghi ai bambini: guarda, io sono nato maschietto come te, ma mi sono sentita femminuccia e quindi ho fatto un cambiamento. Ecco, per i bambini, credimi, non è un problema: non sono omofobi, non sono transfobi. Sono indottrinati da un’ideologia, quella sì, omofoba».
Te lo devo dire: sei molto più carina di quando appari in televisione.
«Ma dài, oggi non mi sono neppure truccata...».
Però sei proprio bella. Guarda che seno, poi…
«Il seno lo volevo. Anche se la prima cosa che ho fatto è stata la barba».
Con il laser?
«Nooo, non c’era il laser. C’era l’elettrocoagulazione. Ti infilavano un ago in ogni singolo pelo della barba. Poi davano una scarica elettrica. Un dolore! Ho sofferto fino alle lacrime, ma pur di non avere quell’alone grigio avrei sofferto anche le pene dell’inferno: la barba non la volevo. Poi ho fatto il naso. E basta».
Tra un po’ sono i 60.«I miei primi 60». Sei vecchia come donna...
«No, sono una sessanteenager. E tu sei una novanteenager. Per me vecchi sono quelli che pensano che una donna dopo una certa età sia arrivata».

Gli uomini! Guarda, se tu ne trovi uno che non corre dietro alle ragazze... Io ho capito che anche l’uomo più buono, più intelligente, quando arriva la menopausa gli cade il piacere. Oggi vedo tante bellissime cinquantenni, ma loro, gli uomini, d’istinto non le vogliono più…
«Vabbè, vorrà dire che andremo con i giovani. Guarda, l’ultima storia che ho avuto, lui aveva 35 anni».

Quando compi gli anni?
«Tra poco, il 24 giugno».
Anch’io il 24 giugno! Ma sai che l’anno scorso, che ne ho compiuti 95, avevo invitato tutti gli uomini che conoscevo: erano tutti gay!
«È perché sei una frociarola! In gergo diciamo così...».
Ma è vero che per un periodo della tua vita ti sei prostituita?
«Sì, e ho trovato anche una giustificazione. Avevo avuto una storia sentimentale, ero presa da questo uomo, che quando ha capito che si iniziava a innamorare anche lui, ha avuto paura di dover rendere conto ai familiari, agli amici, ai colleghi di lavoro. E mi ha detto: da oggi in poi non ci dobbiamo più vedere e se mi incontri per strada non mi devi salutare. Mi è salito dentro un odio nei confronti degli uomini in generale. E a un certo punto ho detto: questi uomini mi desiderano, ma non mi amano. E allora sapete che faccio? Se mi volete mi dovete pagare. È stata questa la cosa psicologica che mi ha portata, per un periodo breve, a prostituirmi. Era come se mi volessi vendicare».
Ma non ti piaceva, però...
«Ho avuto anche uomini molto interessanti, piacevoli. Però a un certo punto ho capito che quello non era il mio mondo».

Cara, sai che mi ha fatto molto piacere conoscerti?
«A me di più: sei simpatica, intelligente e accogliente».
Sono vecchia.
«Ma che vecchia, noi siamo l’usato sicuro».