Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 13 Venerdì calendario

Feltri alla festa di Libero

Vittorio Feltri è Libero. Libero è Vittorio Feltri. Sono le 18.40, fuori c’è il primo caldo maledetto, e il fondatore guadagna il proscenio del Teatro Gaber, nel cuore di Milano e dell’Area C, inaccessibile in auto. Fino a quel momento tutti a chiedersi dove fosse, non l’Area C – lo sanno tutti o quasi, e chi non lo sa perché viene da fuori finisce stangato – è tutto un chiedersi dove sia il fondatore. «Scusi, Feltri è già arrivato?». Un paio di signore in lungo sono particolarmente impazienti. «Dov’è Feltri?». I cronisti, schierati, aspettano un suo graffio. Feltri è il maestro. Tra gli astanti è un continuo darsi di gomito. Si festeggia il 25esimo compleanno di Libero, la sua creatura. Lo attendono tutti all’ingresso, ma l’attesa – almeno e solo lì – è vana. Feltri, annunciato in apertura di evento, è entrato da una porta laterale e ha già preso posto. Ci siamo. Il direttore, Mario Sechi, lo annuncia: «Eccolo a voi, una leggenda!». Si apre il sipario, parte Destra-sinistra, di Gaber – di cui Feltri era amico – e il fondatore è lì, seduto su una poltrona bianca accanto a cui Sechi a sua volta prende posto. Inizia l’intervista.
Feltri tiene tutti in pugno, alterna aneddoti del suo miracolo, il “feltrismo” – ha raddoppiato le vendite in tutti i giornali che ha diretto – a riflessioni più intime, ad esempio su Oriana Fallaci. Feltri parte a razzo, e scherza: «Ho fondato Libero perché non avevo un cazzo da fare». Pronti via, prima risata in sala. Poi spiega la genesi del suo miracolo: «Ho pensato che era il momento di creare un giornale sbarazzino, spettinato, che incontrasse il gusto e l’umore degli italiani».
È anche il secondo anniversario della morte di Silvio Berlusconi. «Era un simpatico rompicoglioni, ha cambiato le regole del gioco, gli va dato atto. Davanti a lui, anche se non c’è più, mi tolgo il cappello. Mi ha sempre trattato benissimo, non solo dal punto di vista economico». Sechi gli chiede cosa ne pensi di Giorgia Meloni: «Sono innamorato di lei, e lei reciprocamente manifesta altrettanto». Il pubblico si spella le mani. Due minuti dopo la premier si collega in video e ride: «Confermo, ricambio i sentimenti». Il presidente del Consiglio parla di politica interna ed estera, ha gioco facile a soffermarsi sull’esito disastroso del referendum. Più avanti traccia le linee guida del governo per i prossimi mesi. Meloni termina e Feltri commenta: «È una fuoriclasse, condivido tutto del suo intervento, dalla “a” alla “z”. Sono sicuro che porterà a termine alla grande quello che ha iniziato». La premier ringrazia, saluta e si torna a Libero.
Sechi chiede: «Venticinque anni, Vittorio, l’avresti mai detto?». Feltri non esita: «Sì». Dicevamo della Fallaci. «Ci vedevamo molto spesso, la sera mi chiamava sempre. Lei è stata un mito, e quando l’ho conosciuta lo era già. Tra di noi è nata subito una simpatia reciproca». E ancora, sulla Fallaci: «È stata un esempio di giornalismo, una donna di un’intelligenza straordinaria. Aveva una capacità unica di leggere il prevedere cosa sarebbe accaduto con una lucidità che oggi, guardando indietro, sembra profetica. Aveva capito prima di tutti i cambiamenti che avrebbero segnato il nostro tempo». L’avventura di Libero inizia in modo corsaro. Per cominciare però servono soldi. Feltri racconta quando nel bagno di un ristorante ha aperto una busta con dentro due miliardi di lire. Era un incentivo a iniziare.
La serata scorre via carica di orgoglio e un po’ di emozione. Si sofferma sull’editore di Libero, la famiglia Angelucci: «Mi sono sempre trovato bene. Quando è morto il primo editore di questo giornale, un certo Patacconi, mi sono trovato in grande difficoltà. Ero rimasto da solo, dovevo far fronte a tutte le spese, anche quelle dei giornalisti. Angelucci è arrivato in aiuto e siamo arrivati fin qua». Feltri è il Re Mida del giornalismo: «Presi Il Giornale e già pochi mesi dopo vendevamo 180 mila copie. L’ho lasciato a 260 mila». Altri 25 anni di Libero? Feltri si congeda: «Per quanto mi riguarda ci vedremo al cimitero Monumentale. Ho 82 anni».