repubblica.it, 12 giugno 2025
Bebe Vio: “La mia paura? Essere chiamata poveretta. Quando Obama mi disse buon appetito”
Bebe la romana. «Mi sento trasteverina, ho spostato qui la residenza». Anche l’accento, sempre meno veneto, conferma il trasloco d’identità. Vio, campionessa paralimpica nel fioretto (oro a Rio 2016 e Tokyo 2020, bronzo a Parigi 2024), sorride quando parla dei sogni ancora da realizzare. Uno è americano: «Los Angeles? Voglio esserci a ogni costo». Ma prima la tredicesima edizione dei Wembrace Games, i giochi senza barriere del 12 giugno, allo Stadio dei Marmi. Un’iniziativa a scopo benefico ideata e organizzata dall’Associazione art4sport, fondata nel 2009 da Bebe insieme ai genitori.
Bebe Vio, lei è il volto di questi giochi senza barriere. I bambini cosa le chiedono quando la incontrano?
«I bambini fanno domande semplici, vedono il bello delle cose, pensano a divertirsi. Con la curiosità spengono i problemi. E io adoro questa mentalità».
Roma ormai è casa sua.
«Sì, mi sento adottata da questa città. Ho spostato qui anche la residenza».
E in cosa si sente romana?
«Nel vivere con più felicità le giornate».
Vive a Trastevere, cosa rappresenta per lei questo rione?
«Mi sento parte di qualcosa di figo. Sarò strana, ma anche il traffico mi piace. Adoro stare in macchina e godermi il tragitto da lì a Tor di Quinto, dove mi alleno. Guardare dal finestrino i monumenti e le bellezze di Roma mi svolta la giornata».
Ha incarnato la romanità trasteverina?
«Sì, dai bar dove prendo il caffè alle persone che frequento, mi sento parte di una grande famiglia. Giro sempre a piedi e mi godo la vera Trastevere».
Nelle ultime Olimpiadi si è parlato molto della tossicità del perfezionismo esasperato. Anche il mondo paralimpico deve relazionarsi con questa realtà?
«Di perfezionismo si parla in qualsiasi ambito sportivo. Dipende sempre da come si pone la questione, se te lo poni da solo o ti viene imposto. Per alcuni può essere visto come un grandissimo peso, per altri no».
Nel suo caso?
«Quando a Parigi non ho vinto l’oro, all’inizio ero delusa. Poi sono arrivati gli amici e i familiari, che mi hanno detto: “Va bene così”. In quel momento, ho capito che la mia perfezione è stata vincere il bronzo».
È vero che le Paralimpiadi sono più democratiche?
«Nella scherma non c’è grande democrazia. O vinci o vinci».
Che sensazioni ha in vista di Los Angeles 2028?
«Sto recuperando fisicamente. Voglio arrivarci a tutti i costi».
Altri sogni da realizzare?
«Portare avanti tutta la normalità dello sport paralimpico. Lo facciamo con le Bebe Vio Academy di Roma e Milano. In futuro sarebbe bello aprirne altre in giro per l’Italia».
E a livello personale?
«Gli obiettivi sportivi e lavorativi li puoi programmare, mentre la famiglia è una cosa che arriva. Non sono per la programmazione delle cose familiari o sentimentali».
Qual è la sua paura più grande?
«Che le persone mi dicano “poverina”. Non voglio fare tenerezza».
Cosa ha pensato quando l’europarlamentare Roberto Vannacci ha proposto classi differenziate per gli alunni con disabilità?
«Una missione già fallita. Il nostro Paese è stato il primo a chiudere le classi speciali. Siamo stati intelligenti, quindi non torniamo indietro».
C’è il rischio di una regressione su questo fronte culturale?
«Fortunatamente la proposta di uno non rispecchia l’idea di tutto il Paese, che secondo me resta uno dei migliori al mondo riguardo all’integrazione».
Che rapporto ha con la politica?
«Sono scarsissima (ride, ndr)».
Ma ha conosciuto figure importanti, come la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
«Quando ci siamo incontrate, la prima cosa che mi ha detto è stata: “In Italia siete così avanti. Dimmi cosa posso fare per l’Europa”».
Nel 2016 la cena di stato alla Casa Bianca, quando era presidente Barack Obama. Cosa le disse?
«Buon appetito, perché stavamo mangiando».
È una grande tifosa romanista. Se dovesse scegliere tra lo scudetto e l’oro a Los Angeles?
«Bella la Roma eh, però non faccio la calciatrice. Mettiamola così: spero che vinciamo entrambe».
Che rapporto ha con i social network?
«Mi piace molto questo mondo, perché dà la possibilità di comunicare facilmente con tante persone. Se lo sport paralimpico è così conosciuto è anche grazie ai social. Sta a noi non farci assorbire, capire che non è il mondo reale».
È superstiziosa?
«Faccio tanti riti scaramantici prima di una gara».
Crede in Dio?
«Ho fatto le scuole salesiane. Non ho un grande rapporto con la fede, ma porto con me l’insegnamento di Don Filippo, che ho conosciuto quando ero bambina. Mi ha sempre detto che non bisogna per forza vedere la fede in Dio, ma nelle cose belle, quelle che ami della vita».
E lei cosa ama?
«Lo sport e la famiglia».