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 2025  giugno 12 Giovedì calendario

Sempre più allevamenti intensivi in Europa. In 15 anni persi 5,3 milioni di piccole aziende agricole

Nel territorio dell’Unione Europea ci sono 10.862 allevamenti industriali di avicoli con almeno 40 mila animali ciascuno, tra polli da carne e galline ovaiole. E 8.854 allevamenti di suini con 2 mila capi ciascuno, tra cui più di 2.500 specializzati nella riproduzione, con scrofe confinate in gabbia che trascorrono di fatto tutta la loro esistenza tra sbarre di metallo. Non solo. Negli ultimi dieci anni sono stati costruiti 2.746 allevamenti industriali di grandi dimensioni, con la Spagna che registra il maggiore tasso di crescita con 1.385 nuovi impianti, praticamente la metà del totale. Nello stesso periodo i permessi concessi sono stati 5.314.  Questi numeri emergono dalla prima mappatura dei mega-allevamenti realizzata dai giornalisti del collettivo Agtivist per conto della coalizione Eurogroup for Animals e in collaborazione con Essere Animali in Italia e con Observatorio Bienestar Animal in Spagna.
È la prima volta che il fenomeno viene scandagliato nel dettaglio e in tutta la sua complessità,  in una fase in cui la Commissione Europea sta progressivamente allentando l’impegno sulle tematiche ambientali con un netto arretramento sul Green Deal Ue, sulla strategia Farm to Fork e sul progetto di nuova legislazione sul benessere animali che erano stati al centro del programma di Ursula von der Leyen nella precedente legislatura. Gli spostamenti degli equilibri politici nel Parlamento Europeo e in molti degli Stati membri hanno di fatto messo un freno a una linea che puntava a valorizzare le piccole imprese agricole che subiscono pesantemente la concorrenza delle megafarm. I numeri del rapporto che viene diffuso oggi, e che il Corriere e altri media internazionali anticipano, certificano quali sono le proporzioni in campo. 
Gli allevamenti intensivi sono un problema per i territori che li ospitano perché sono causa di inquinamento dei terreni e dell’atmosfera, perché rendono difficile la vita delle popolazioni residenti (odori, viavai dei mezzi pesanti per la movimentazione degli animali) e perché sono colossi con cui i piccoli allevatori non hanno modo di competere. E anche questo è certificato dai numeri: tra il 2005 e il 2020, evidenzia l’indagine, l’Ue ha perso 5,3 milioni di allevamenti, per lo più di piccole dimensioni. La superfice agricola complessiva è rimasta di fatto invariata, a cambiare è stata la tipologia delle attività con una tendenza alla concentrazione. I grandi allevamenti sono aumentati del 56% nello stesso quindicennio di riferimento. Oggi il 65% del numero totale di animali allevati nella Ue è da ascrivere all’8% delle aziende più produttive. Una disparità che si riscontra anche nei livelli di reddito: tra piccoli e mega allevamenti il divario è aumentato fino a 60 volte.
Sempre più allevamenti intensivi in Europa. In 15 anni persi 5,3 milioni di piccole aziende agricole
(Qui sopra la mappa che evidenzia la concentrazione in Europa di allevamenti intensivi di polli, in giallo, e di suini, in grigio)
Fin qui abbiamo parlato solo dei numeri del fenomeno, delle ripercussioni sull’ambiente e del condizionamento dell’economia legata all’agricoltura, che continua a rappresentare la voce di maggiore investimento della Ue, che per la Pac (la Politica agricola comune) stanzia il 40% del proprio bilancio. Senza tenere conto delle condizioni di allevamento. Che invece contano, eccome. Le immagini di galline felici nei prati, di maiali che grufolano sereni negli ampi recinti di una fattoria di campagna sono molto presenti  nel packaging e nelle campagne pubblicitarie dei prodotti che da questi animali derivano. Ma solo in una sparuta minoranza di casi la realtà corrisponde a quegli scenari da fattoria di Nonna Papera. Quasi sempre gli animali «da reddito» sono considerati alla stregua di materie prime e non come esseri senzienti. E sono trattati di conseguenza. 
Anche questo è stato evidenziato dalle indagini. Gli ambienti in cui sono stipati gli animali sono spesso sovraffollati, con ventilazione inadeguata e condizioni igieniche insalubri. Spesso non è garantito l’accesso ad aree esterne ai capannoni, nei quali l’illuminazione è peraltro in gran parte dei casi artificiale.  Le verifiche hanno riguardato anche il nostro Paese. In un allevamento della provincia di Bergamo sono stati documentati polli che vivono tra i loro stessi escrementi e non riescono a reggersi sulle zampe, a causa delle proporzioni del corpo squilibrate dovute alla selezione genetica: gli esemplari da carne, i broiler, sono stati selezionati per avere un petto enorme, che pesa più del dovuto su articolazioni che sono invece «normali». Nel Bresciano gli investigatori hanno invece visto galline stipate all’inverosimile, con carcasse di animali morti e in decomposizione lasciate in mezzo a loro per giorni. In Spagna sono state documentate condizioni di sovraffollamento in stabilimenti per suini, con condizioni di insalubrità dovuti alle ferite non curate che gli animali si sono procurati a causa dell’eccessiva concentrazione.
Eurogroup for Animals rappresenta più di cento associazioni attive nella Ue. Per l’Italia ci sono Animal Law Italia, Animal Equality, Ciwf Italia, Essere Animali e Lav che da tempo chiedono l’eliminazione graduale delle gabbie negli allevamenti e l’introduzione di requisiti minimi di spazio, oltre a divieti di allevamento di razze a rapido accrescimento e all’obbligo di garantire l’accesso ad aree esterne. Richieste in linea con i pareri rilasciati negli scorsi anni dall’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che per conto della Commissione Ue aveva elaborato una serie di studi con relative raccomandazioni. Che vista l’aria che tira rischiano però di rimanere nel cassetto. La legge sul benessere degli animali era stata promessa entro la fine della legislatura precedente, chiusa nella primavera di un anno fa, ma la campagna elettorale aveva indotto alcune forze politiche della cosiddetta «maggioranza Ursula» a frenare sulle richieste green per non inimicarsi le organizzazioni degli allevatori, a cui invece i gruppi sovranisti e populisti hanno sempre strizzato l’occhio ottenendo consensi. Anche se poi, come emerge anche da questo report, i vantaggi della deregulation in materia di benessere animale sono soprattutto appannaggio dei grandi gruppi. 
«Questa indagine – dicono le associazioni in una nota – mostra che il numero di mega allevamenti nell’Ue sta crescendo rapidamente, in contrasto con le promesse di migliorare il benessere degli animali e orientarsi verso un’agricoltura più sostenibile. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme per i decisori a Bruxelles. È importante che la Commissione europea faccia scelte intelligenti e ben informate sul futuro dell’agricoltura. I finanziamenti dovrebbero essere destinati a sistemi agricoli realmente sostenibili, competitivi e resilienti».