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 2025  giugno 12 Giovedì calendario

Libia, emergenza sbarchi Patto Piantedosi-Haftar jr per bloccare il confine Sud

Il corteo di auto blindate dell’uomo forte della Cirenaica arriva al Viminale per metà pomeriggio. Matteo Piantedosi attende Saddam Haftar, figlio del più noto maresciallo Khalifa Haftar, l’ottuagenario raìs ex braccio destro di Gheddafi che da anni governa la Libia dell’Est. Sono settimane di timori crescenti ai piani alti del governo per il “bubbone” libico che minaccia di esplodere e insieme ad esso i traffici di migranti irregolari da Tripoli e dalla Cirenaica. La capitale è continuamente sotto assedio delle milizie armate, il debole governo riconosciuto dall’Onu di Dbeibeh fatica a rispondere ai blitz armati di “Rada” e delle altre formazioni militari – veri e propri eserciti – decise a sovvertire un’altra volta lo status quo. Ed ecco che l’Italia torna a occuparsi del dossier libico. E a parlare con chi – Haftar Junior, ormai il vero leader della Libia orientale – dà le carte. Non un semplice incontro di cortesia, quello andato in scena fra le stanze e gli arazzi del Viminale ieri pomeriggio. Dietro la stretta di mano e la riunione operativa c’è un impegno che l’Italia si prepara a prendere verso il clan che governa la Cirenaica e cioè aiutare Haftar a sigillare i confini, a pattugliare la frontiera a Sud e ad Est che sempre di più si mostra permeabile alle carovane di irregolari dall’Egitto.
L’ACCORDO
Un patto insomma. Che consiste nell’addestramento da parte italiana della polizia di confine di Haftar per “tappare” i buchi nei controlli individuati con sempre più facilità dai trafficanti di esseri umani dal Sahel e dall’Est. E al tempo stesso nell’invio di equipaggiamento tecnologico per alzare l’asticella dei controlli, ad esempio con la fornitura di droni per pattugliare la frontiera.
«L’Italia e la Libia sono unite da un forte legame storico e dalla comune necessità di affrontare importanti sfide quali la gestione delle politiche migratorie – afferma Piantedosi in una nota a margine del vis-a-vis – una Libia stabile è pre-condizione fondamentale per uno spazio mediterraneo sicuro». Ma la Libia stabile non è. Forse mai come ora negli ultimi dieci anni si riaffaccia l’incubo di una guerra civile che sconquassi il Paese. Gli effetti delle raffiche di mitra per le strade di Tripoli e delle manovre militari intorno alla capitale che costringono il corpo diplomatico italiano a vivere in perenne stato d’allerta – sono già tangibili. È ancora contenuto, numeri alla mano. Ma il cruscotto giornaliero del Viminale ha preso a registrare un aumento delle partenze dal Paese africano dirimpettaio nel Mediterraneo nelle ultime settimane.
Nell’ordine di poche migliaia, certo. Intanto però segnalano un problema: dalle frontiere Est le carovane di migranti illegali – per gran parte composte da cittadini bengalesi che con visti falsi e un via vai di aerei dall’Asia arrivano in Egitto – eludono i controlli e raggiungono la frontiera Ovest. Per finire nelle mani delle bande criminali sulla costa, in porti come Zuara da dove parte il grosso dei barconi.
L’OMBRA RUSSA
È un cruccio presente alla premier Giorgia Meloni che di Libia ha discusso a lungo con il presidente francese Emmanuel Macron nell’incontro a Roma del 4 giugno scorso. Sullo sfondo la preoccupazione per la presenza militare russa nell’Est del Paese che cresce ora che i soldati di Mosca (e i contractors ad essi affiliati) hanno abbandonato la Siria con la caduta di Assad. L’aiuto italiano – è il messaggio spedito ad Haftar e a suo figlio – passa dalla promessa di un allentamento del legame russo. Intanto a Roma lavorano per tenere aperti tutti i canali. E si preparano a portare a Bruxelles l’emergenza Libia: Piantedosi ha fatto inserire il dossier nel menù del Consiglio Giustizia e Affari interni in programma domani.