Avvenire, 12 giugno 2025
Bambini maltrattati, allarme rosso
Dovrebbero essere braccia che proteggono, porto sicuro che calmano anche un pianto disperato. E invece, quasi 9 volte su 10, il nucleo familiare ristretto diventa il luogo in cui i bambini e gli adolescenti subiscono maltrattamenti. La domanda da porsi perciò è se il nodo di tutto sia stato in questi anni un mancato sostegno alla genitorialità. E se lo sono chiesti in molti nel presentare e commentare ieri a Roma i dati della Terza indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia, condotta Terre des Hommes e Cismai per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Anche perché, oltre al dato preoccupante dell’aumento del 58% dei maltrattamenti nel nostro Paese dal 2018, con il raddoppio dei casi nel Sud e Isole (+100%), c’è anche la tipologia di maltrattamenti a portare in questa direzione. La forma di maltrattamento più frequente è infatti il neglect (trascuratezza) subito dal 37% dei minori, seguita dalla violenza assistita, al 34%. Violenza psicologica (soprattutto nel contesto sportivo) e maltrattamento fisico, invece, incidono rispettivamente per il 12% e l’11%. Meno diffuse sono la patologia delle cure (4%) e l’abuso sessuale (2%), quest’ultimo riguardante prevalentemente le minori femmine (77%). Nella differenziazione per genere dei maltrattamenti, infatti, i maschi sono più frequentemente vittime di neglect educativo, (54%), violenza assistita (52%) e patologia delle cure (54%), mentre le femmine sono più esposte oltre che all’abuso sessuale alla violenza psicologica (53%). Comunque in generale il maltrattamento colpisce indistintamente maschi e femmine, oggi con 13 vittime su mille quando nel 2018 erano invece 8 su mille – tra gli under 18 residenti in Italia – in entrambe le popolazioni di riferimento.
Il fatto che l’87% dei casi avvenga in famiglia senza grandi differenze territoriali, sottolinea la Garante dell’infanzia e adolescenza Marina Terragni, impone di «porre lo sguardo sulla famiglia, perché i nuclei sono infragiliti da dinamiche complesse su cui occorre mettere attenzione, come ad esempio separazioni o divorzi conflittuali». Non a caso nel portare il saluto della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella, il vice capo di gabinetto Assuntina Morresi ha messo l’accento sui tre pilastri su cui il ministero sta predisponendo il Piano nazionale per il contrasto alla pedofilia e alla pornografia infantile, «pronto entro l’anno, ovvero prevenzione, educazione e salute. E sulla prevenzione ci sarà un’attenzione particolare sia per età che per genere. L’obiettivo è arrivare ad una rete di protezione integrata che prevenga, intercetti e gestisca questi fenomeni».
Altra questione su cui l’indagine porta ad interrogarsi, che chiama in causa le carenze sul fronte della prevenzione, sono soprattutto il fatto che l’origine delle segnalazioni ai servizi sociali di contesti fragili avvengono nel 52% dei casi da parte dell’autorità giudiziaria (quando ormai il danno è fatto insomma), nel 14% dei casi da parte della scuola e nel 12% dei casi dalla famiglia. «Questo significa che i bambini sono poco visti e che ci si concentra più sull’assisterli dopo che non sull’intervenire preventivamente», sottolineano Federica Giannotta di Terre des hommes e Rocco Briganti di Cismai che hanno elaborato i dati di 326 comuni da cui emergono 114mila casi al 31 dicembre 2023, cioè il 30% di chi è assistito dai servizi sociali (è l’unico dato post-pandemia ufficiale). Tuttavia il 18% dei minorenni viene preso in carico per maltrattamento tra 0 e 5 anni, il 32% tra 6 e 10 anni e il 50% tra 11 e 17 anni. Questo significa che la “cura” avviene più frequentemente tra i 6 e i 17 anni, quando le situazioni di disagio risultano spesso già consolidate. Altro problema è l’accompagnamento nella “cura”. La durata della presa in carico da parte dei servizi sociali è infatti nella maggioranza dei casi (56%) superiore ai 2 anni con forti differenze territoriali, però, dato che al Sud e nelle Isole i percorsi sono più brevi e in media durano meno di due anni.
Questa indagine è «uno strumento che purtroppo noi siamo in grado di portare avanti ogni cinque anni perché sappiamo perfettamente che necessita di finanziamenti», dice la presidente della Fondazione Terre des Hommes Italia, Donatella Vergari, auspicando che dello strumento se ne faccia carico qualche istituzione perché «probabilmente potrebbe essere più continuativo, avrebbe meno buchi e ovviamente sarebbe più preciso», soprattutto nella comparazione dei dati negli anni. Nonostante ciò, aggiunge Marianna Giordano, presidente del Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia (Cismai), «lo studio permette di riflettere sull’impatto a breve medio e lungo termine sulle traiettorie di vita di bambine, bambini, adolescenti e rappresenta uno strumento prezioso per i decisori politici, per gli amministratori locali, per le operatrici e gli operatori territoriali».
Prevenire è fondamentale e si può. E soprattutto porta anche ad un risparmio economico. A ricordarlo Myriam Caranzano, consigliere Ispcan (International society for the prevention of child abuse and neglect). «Si fa ancora troppo poco per prevenire la violenza – sottolinea infatti – ma se si investe un euro in prevenzione primaria si possono risparmiare tra 5 e 10 euro dopo nell’assistenza del minore maltrattato». Ciò che occorre fare, secondo lei, è «ricreare una comunità educante dove ciascuno può fare la propria parte».
Alla luce di questi dati, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha formulato alcune raccomandazioni. La prima è istituire un sistema informativo nazionale permanente di raccolta dati, inoltre adottare un piano nazionale di prevenzione e contrasto della violenza ai danni dei minorenni. Poi adottare linee guida nazionali sulla prevenzione e sulla protezione dei minori, in più dare piena attuazione al Livello essenziale di assistenza (Lea) sulle azioni e sugli interventi in tema di maltrattamento ai danni dei minorenni. Poi ancora riconoscere gli interventi di prevenzione e contrasto del maltrattamento tra i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (Leps), come pure formare adeguatamente i professionisti e dare adeguate risorse economiche ai servizi sociali territoriali.