ilmessaggero.it, 11 giugno 2025
Suicidio assistito, il federalismo del fine vita: modello di libertà o di disuguaglianza? Perché ora serve la risposta dello Stato
La morte assistita di Daniele Pieroni, sulla base di una legge della Toscana impugnata dal governo dinanzi alla Consulta ma non sospesa, pone una questione delicatissima. Il federalismo del fine vita è un modello di libertà o di diseguaglianza? È ammissibile che i territori vadano in ordine sparso su un tema così sensibile, creando disparità tra chi è nato in una Regione che si è data una legge e chi in una Regione che ne è sprovvista? In questi mesi si è discusso molto di autonomia differenziata, rispetto alle funzioni che è opportuno devolvere o meno, in che misura, con quali livelli di prestazione garantiti per tutti gli italiani. Come decidere di morire, soprattutto se si è in grado di deciderlo da soli, non è un tema meno rilevante dell’istruzione o del commercio estero. Fa parte della materia incandescente della Sanità, rispetto alla quale le Regioni hanno poteri definiti, ma questo è probabilmente un limite che lo Stato farebbe bene a marcare come invalicabile.
Per ora non l’ha fatto, alimentando una sorta di Far West. La Corte Costituzionale ha fissato dei criteri per accedere al suicidio assistito ma ha sollecitato in più occasioni il Parlamento a provvedere con una normativa nazionale.
In questo modo ha riconosciuto che la supplenza giurisprudenziale su una questione tanto controversa è insufficiente e per forza di cose deve essere temporanea. Il problema è che i partiti faticano a trovare una sintesi. Sia chiaro, anche non intervenire è una scelta politica, fin tanto che riflette il sentire (o il non sentire) della società. Ma quando quest’ultima reclama un intervento, ignorarla diventa anacronistico e controproducente. Il punto non è quale modello di fine vita debba imporsi, se quello libertario che riconosce il suicidio assistito come un diritto o quello più vicino alle posizioni conservatrici che lo ammette solo in via eccezionale, privilegiando le cure palliative. Nemmeno la Consulta ne suggerisce uno, chiede solo di dare certezze e chiarezza agli italiani. Tutti, indistintamente dalla residenza, per cui se nasci in una Regione di sinistra l’eccezione diventa diritto, altrimenti resta eccezione. E in fondo, come dimostra il caso di Luca Zaia, che ha tentato di far passare una normativa veneta, il colore politico non sempre è la discriminante.
Alle Camere sono stati depositati 11 testi, tutti finiti su un binario morto. Ora si attende la proposta unitaria della maggioranza, che dovrebbe approdare in Senato il 17 luglio. Secondo le indiscrezioni, prevede un Comitato etico a livello nazionale, chiamato a valutare caso per caso, al posto dei giudici. È un segnale di accentramento, l’opposto dell’attuale andazzo, quello delle Svizzere a macchia di leopardo. Al di là del punto di caduta, sempre complicato nelle questioni di coscienza, la vicenda drammatica di Daniele Pieroni, e di tanti nelle sue condizioni, esige una risposta dallo Stato. Esattamente come la morte, anche il fine vita dovrebbe essere considerato una livella, che non fa differenza tra cittadini di serie A e B.