Corriere della Sera, 11 giugno 2025
Il conflitto tra Donald-imperatore e l’America che grida «nessun re»
Los Angeles In queste ore i tank e altri mezzi militari vengono posizionati nella capitale usando camion da trasporto, in vista della grande parata del 14 giugno, 250° anniversario dell’esercito degli Stati Uniti, ma anche 79° compleanno di Donald Trump. Nella stessa giornata, in tutti gli Stati Uniti sono previste proteste con lo slogan «No Kings», no ai re. È in questo contesto che esce in Italia il libro di Claudio Pagliara, «L’Imperatore. Donald Trump, l’alba di una nuova era», edito da Piemme, realizzato dopo 25 anni di corrispondenza all’estero: Parigi, Gerusalemme, Pechino, gli ultimi sei anni a New York.
Per un giudizio sui risultati del secondo mandato di Trump, scrive Pagliara, bisognerà attendere la fine di questi quattro anni, ma è iniziata una nuova era, in cui America First è quasi un grido disperato di fronte alla perdita percepita (o al timore di una perdita imminente) di identità e di rilevanza degli Stati Uniti, in cui gli elettori – una coalizione eterogenea ma cementata dal rifiuto delle élite globaliste – hanno scelto questo presidente per imprimere una svolta radicale, e lui rivendica una «investitura quasi imperiale». È in questo contesto che Trump espande i suoi poteri «oltre i confini finora esplorati», piega alla lealtà i centri del potere istituzionale e mediatico, facendo temere a chi non l’ha eletto che la ricerca dell’America First stia portando alla perdita dell’America che conoscevano e rispettavano. Trump è riuscito a portare il flusso di migranti ai minimi storici ma ha creato un clima di paura anche tra chi ha le carte in regola, come gli studenti stranieri, e incontra una crescente resistenza da parte dei tribunali.
Gli studenti
È cresciuto un clima di paura tra i migranti in regola, come gli studenti stranieri
Il libro aiuta a capire il perché delle proteste in una città «santuario» per i migranti come Los Angeles. Ma Pagliara guarda anche al contesto internazionale esplosivo, di un mondo che considera «radicalmente diverso» da quello del primo mandato di Trump, «più frammentato, più armato, più vicino al punto di rottura» e non perde mai di vista la Cina, cui era dedicato il suo precedente saggio «La tempesta perfetta: Usa e Cina sull’orlo della terza guerra mondiale», anche quando l’attenzione mediatica sulle guerre in Ucraina e Medio Oriente «spengono i riflettori sulle tensioni crescenti nel Sud-Est asiatico che potrebbero sfociare in un momento all’altro in nuove guerre». È in questo confronto tra Washington e Pechino che l’America vede la vera posta in gioco della leadership globale (anche Biden mantenne i dazi alla Cina e li spostò sui microchip). Su tutto ciò aleggia una data: 2027, quando la Cina avrà, secondo la Cia, le capacità militari per invadere Taiwan.
Nel capitolo finale, Pagliara usa la celebre espressione «It’s the economy stupid», coniata da James Carville, stratega della campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992, per spiegare che l’economia era la chiave di volta; stavolta «It’s China, stupid» è la frase che può aiutarci a capire l’origine di «molte delle spericolate, provocatorie, scioccanti mosse del presidente Trump: dalla guerra commerciale con imposizione dei cosiddetti dazi reciproci alla minaccia di usare la forza per acquisire il controllo della Groenlandia e del Canale di Panama, fino alla messa in discussione del confine con il Canada». Dai negoziati con i partner tradizionali emerge una costante: gli Stati Uniti non chiedono solo provvedimenti tesi a riequilibrare la bilancia commerciale ma anche misure a volte a isolare la Cina, per creare una sorta di fronte unico con gli alleati e impedire a Pechino di eludere i superdazi Usa. Ma come spesso accade con Trump, l’obiettivo finale non è ancora chiaro – osserva Pagliara – perché nell’amministrazione ci sono diverse scuole di pensiero, i falchi da una parte e dall’altra coloro che (come lo stesso presidente) vorrebbero raggiungere un accordo commerciale con Pechino, il suo «sogno proibito» sin dal primo mandato.