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 2025  giugno 10 Martedì calendario

Inni e propaganda ad Artek, il campo di Stalin che ora «ospita» i bambini rapiti da Putin

Dove Palmiro Togliatti venne a fare il suo ultimo discorso prima d’accasciarsi – «cari pionieri della gioventù, assieme lottiamo per la pace e la fratellanza…!» —, adesso giocano a pallone i bambini. Il malore che uccise il Migliore, qui non se lo ricorda più nessuno.
Ad Artek, la storia è andata avanti. Abbandonata con la fine dell’Urss, riaperta con l’indipendenza dell’Ucraina, quindi riinvasa da Putin, infine restaurata, la colonia estiva sul Mar Nero che un tempo ospitava i Giovani Pionieri del comunismo, oggi alloggia i piccoli prigionieri del putinismo: 19.546 minorenni, secondo il governo di Kiev, rapiti fin dall’inizio dell’invasione e poi sparsi un po’ ovunque. Più di 4mila, fra i 6 e i 16 anni, anche in questa cella dorata nella Crimea occupata: «Artek è un campo di proprietà del governo russo», dice un rapporto del Dipartimento di Stato americano, dove ai bambini ucraini «vengono impartiti programmi di rieducazione patriottica» che violano la volontà delle famiglie e le convenzioni dell’Onu. Veri crimini di guerra. Quelli per cui Putin è un ricercato internazionale.
Artek è un bel posto. Immerso nelle querce e nei carpini, 4 chilometri quadrati, 150 edifici, ospitalità fino a 27mila bambini. Una grande statua di Lenin che vigila dalla collina. La colonia, la costruirono cent’anni fa esatti per un’ottantina di piccoli tubercolotici, che venivano a mangiare bene e respirare meglio. Ma Stalin decise presto di farne altro, «rieducazione fisica e formazione ideologica». Le visite del maresciallo Budyonny, i discorsi di Clara Zetkin ai piccoli pionieri, la ginnastica collettiva, i bagni e le camerate, libro&moschetto. In più di mezzo secolo, per Artek sono passati 300mila rampolli di regime, figli dell’Internazionale, comunisti in fiore. Negli anni ’80 Samantha Smith, una ragazzina americana, scrisse una lettera a Yuri Andropov – «non scatenare la guerra atomica, ti prego!» – e il leader supremo la tranquillizzò offrendole una vacanza proprio ad Artek, «vedrai che bello», a dimostrazione che i bambini lui non se li mangiava.
C’è voluto Putin con le manie neo-imperiali e l’invasione della Crimea, per rifare della colonia quel che fu ai tempi dell’Urss: «Un modello della rinascita russa e un ponte col passato sovietico – spiega lo storico Mathias Neumann, dell’East Anglia University —, per modellare le menti, promuovere le versioni ufficiali della storia, coltivare la fedeltà allo Stato». I cosiddetti «programmi d’amicizia», che negli ultimi anni avevano coinvolto anche i figli del dittatore siriano Bashar al-Assad, ora s’adattano benissimo alla «russificazione» che Mosca impone ai bambini ucraini deportati da Karkhiv, Kherson, Zaporizhzha. Negli ultimi mesi, con la mediazione vaticana, qualche centinaio di piccoli è rientrato in patria. Ma agli altri «non è permesso di tornare – scrive un rapporto Ue – e vengono spinti a mostrare sostegno alla Russia». Il direttore del campo, Kostantin Fedorenko, è sulla lista internazionale dei sanzionati. La responsabile del «programma ucraino», Tatiana Makarova, sostiene che «il nostro compito è eliminare la pressione psicologica che i bambini hanno subìto prima d’arrivare qui». Pochi video clandestini usciti da Artek mostrano i piccoli prigionieri che cantano l’inno russo all’alzabandiera. «Li trattano bene», dicono le famiglie, «hanno camere d’albergo, piscine, una buona mensa. Ma devono stare lì». Non si sa quanto duri, l’educazione crimeana.
Tre anni fa è uscito un film fantasy russo, «Ritorno ad Artek», produzione governativa. Trama: un gruppo d’amici che rivedono il campo estivo della loro infanzia sovietica. Messaggio: solo ad Artek, abbiamo imparato l’amore per la patria.