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 2025  giugno 09 Lunedì calendario

Per quanto tempo la guerra sarà sostenibile, per la Russia? Bonus, homeless e muli: quali sono le crepe economiche al fronte (e perché non fermano Putin)

Alla fine degli anni ’70 l’Unione sovietica lanciò una guerra in Afghanistan che sarebbe durata dieci anni, sarebbe costata all’aggressore 13 mila morti e avrebbe contribuito alla sua implosione come entità sovrana. Quasi mezzo secolo dopo la Russia ha scatenato un’altra invasione, questa volta contro l’Ucraina, e in un terzo del tempo ha registrato fra 200 mila e 250 mila morti; naturalmente solo morti russi o più precisamente dal lato russo, inclusi il contingente nordcoreano e mercenari di molte nazionalità: senza contare le decine di migliaia di militari e civili del Paese aggredito. 

A un ritmo del genere, se la guerra durasse come quella che Leonid Breznev scatenò nei suoi anni del crepuscolo, l’Ucraina costerebbe a Mosca una cinquantina di volte più caduti dell’Afghanistan. E il Paese che ha scatenato la guerra oggi non è lo stesso di allora: la Russia di Putin ha poco più della metà della popolazione dell’Unione sovietica del 1979 e un’età media più alta; ogni caduto o ferito che torna dal fronte in uno stato fisico o mentale irrecuperabile pesa più di allora sulla struttura demografica e sul futuro del Paese. 
Solo nella fase apertasi nel febbraio 2022, questa guerra è già durata più della guerra di Spagna, più della guerra di Corea e appena un anno meno della Prima guerra mondiale. Attraverso le sanzioni, l’invio di denaro, di armi o armati, ha già coinvolto una quarantina di paesi in tre continenti da un lato o dall’altro. Comunque finisca, è già chiaro che le conseguenze non si fermeranno in Russia o in Ucraina. Siamo di fronte a un evento che definirà la storia dell’Europa e oltre in questo secolo.
Le «promozioni»
Anche per questo diventa urgente cercare di capire cosa sta accadendo nell’area di maggiore opacità: la Russia stessa. Perché dell’Ucraina sappiamo tutto, o molto. Ma della Russia sappiamo soprattutto che la guerra è coincisa con una torsione totalitaria del sistema, che ha completato la sua trasformazione nella copia più fedele dei regimi fascisti degli anni ’30 del Novecento. Una versione certo aggiornata ai tempi: più tecnologica ed incline ad affidarsi al mercato nel rastrellare il materiale umano da riversare in battaglia.
All’inizio dell’anno la Samara ha battuto tutti i record di ogni regione della Federazione russa ed è arrivata ad offrire 36 milioni di rubli (40.000 euro) solo di bonus d’ingresso per chi firma un contratto con l’esercito e accetta di andare a combattere. Tre anni fa i pagamenti forfettari erano intorno all’equivalente di cinquemila euro. Il loro aumento esponenziale probabilmente riflette la riluttanza crescente dei russi ad accettare lo scambio fra il denaro per le loro famiglie e la loro vita. 
Certo nel 2024 sembrano aver firmato per l’esercito in 450 mila e nei primi cinque mesi di quest’anno in 175 mila, secondo l’ex presidente Dmitry Medvedev. Ma fino a quando? Quanto a lungo Vladimir Putin riuscirà a far reclutare fra 30 e 40 mila uomini al mese per distruggerli nel tritacarne ucraino a un ritmo crescente? Mediazona, che studia gli annunci di morte e i lasciti ereditari, stima 90 mila caduti russi solo nella seconda metà dell’anno scorso. 
Le crepe nella macchina militare russa
L’unica risposta onesta è che non lo sappiamo. Non sappiamo fino a quanto la macchina da guerra di Putin terrà all’intensità attuale. Forse a lungo. La sola certezza è che iniziano ad apparire nell’apparato militare russo, non solo in quello ucraino, crepe che prima non c’erano. 
La Samara per esempio è stata la prima regione ad arrivare ad incentivi così alti per i volontari, ma anche fra le prime ad arretrare. Il suo penultimo aumento del bonus d’ingresso nell’esercito era stato ad ottobre scorso da 1,2 milioni a 2,1 milioni di rubli (23 mila euro, 26 mila dollari). Ma l’incremento successivo è arrivato all’inizio di quest’anno con una strategia di marketing di quelle che altrove si usano per un abbonamento in palestra o un servizio online: i 3,6 milioni di rubli valevano solo per chi firmava entro gennaio, poi il premio è calato. È probabile che Putin distribuisca promozioni ai governatori regionali in base al numero di uomini che quelli riescano a rastrellare per il fronte. Ma in questi ultimi mesi continuano a ripetersi episodi di amministrazioni che alzano i bonus d’ingresso per l’Ucraina, quindi li riducono di colpo perché evidentemente non riescono a sostenere la pressione finanziaria. 
Dal 5 giugno i «volontari» della Baschiria, nel distretto del Volga, ricevono alla firma un premio ridotto da 1,6 milioni di rubli (17.700 euro) a un milione. Nell’Oblast di Belgorod, ai confini con l’Ucraina, il bonus d’ingresso dall’inizio dell’anno è stato tagliato da tre milioni a 800 mila rubli (anche il quel caso dopo una «promozione» di tre mesi). Il distretto autonomo dello Yamal-Nenets sul mare di Kara, nell’estremo nord, ha prima lanciato la sua promozione e poi in aprile ridotto fortemente il denaro in offerta. E in tutta la Federazione russa i pagamenti a forfait sono cancellati del tutto dal primo gennaio 2025 per chi «stava scontando una pena sotto forma di incarcerazione» al momento della firma con l’esercito. 
I cimiteri traboccano di tombe
Gli aumenti vertiginosi dei pagamenti ai soldati segnalano che nella società russa oggi c’è un’idea piuttosto precisa delle probabilità di morte in Ucraina. Nelle città di provincia gli spazi dei cimiteri vengono allargati perché ormai traboccano di tombe. Il «bonus di uscita», per chi torna in una sacca funeraria, in tre anni è raddoppiato dall’equivalente di circa 80 mila euro a 157 mila alle ultime quotazioni. E così per i feriti. Ma i tagli recenti rivelano anche qualcos’altro: una tensione fra le pressioni di Mosca per avere in mano sempre più uomini da gettare nella fornace e la capacità finanziaria del sistema, in una fase in cui il petrolio russo si vende di quasi venti euro a barile sotto ai prezzi stimati per il bilancio di Mosca del 2025. 
L’errore afghano
È probabile che Putin non cercherà di risolvere il problema con un’altra mobilitazione. Niente chiamate forzose, non per ora. Quella del settembre 2022 scosse le basi del consenso per l’«operazione militare speciale» e dunque per il regime. Ossessionato dalla storia imperiale della patria, il dittatore ricorda senz’altro anche la lezione dell’Afghanistan negli anni ‘80. I tredicimila morti sovietici contarono così tanto perché nessuno fra loro aveva mai scelto di essere lì. Erano coscritti, rastrellati contro la loro volontà dalle periferie sovietiche come dalle élite culturali di Mosca o San Pietroburgo; ma proprio queste ultime – toccate nei figli – furono determinanti nel minare la credibilità del sistema. 
I senza tetto reclutati nell’esercito
Putin, se può, non ripeterà lo stesso errore. Per questo stanno emergendo nel vasto territorio russo forme più o meno camuffate di cattura coatta di sempre nuove reclute di qualità militare sempre peggiore. Dunque, trattate come carne da cannone: utili da mandare avanti a farsi sparare addosso per svelare le posizioni del nemico. 
Così in Yakuzia (immagine sotto) il mese scorso la commissaria «per i diritti umani» della repubblica, Sardana Guryeva, ha lanciato un programma chiamato «cambia la tua vita» rivolto agli homeless, in gran parte alcolisti o tossicodipendenti: raccolti per strada, curati e nutriti per mandarli all’«Operazione militare speciale» (un terzo di loro è risultato affetto da tubercolosi, sifilide o qualche forma di epatite).
Anche i tribunali locali hanno un ruolo sempre più utile per l’esercito, ha notato Maria Vyushkova. Vyushkova è una dissidente della Buriazia, una repubblica russa ai confini con la Mongolia. In esilio negli Stati Uniti, lavora a un libro sui soldati di Mosca; gli ucraini stessi l’hanno invitata più volte a intervistare in collegamento i prigionieri di guerra russi di origine buriata. Di recente Vyushkova ha notato delle novità nei metodi di reclutamento russi. Dice: «Da anni seguo centinaia di interviste di prigionieri di guerra, necrologi, storie di soldati fra i miei conoscenti e familiari. Ma nelle ultime settimane – continua Vyushkova – mi sono imbattuta in tre vicende simili da regioni diverse: uomini non più giovani finiti sotto processo per piccoli reati e spinti dai giudici a entrare nell’esercito con la minaccia di pesanti condanne». 
Gli esempi non mancano, fra i prigionieri di guerra oggi in mano agli ucraini. Yuri Usov, un quarantacinquenne di una zona rurale della Buriazia, nell’autunno scorso è stato arrestato per un piccolo furto. Il giudice e l’avvocato d’ufficio gli hanno detto che avrebbe subito una condanna a sei anni, annullabile se avesse firmato per l’Ucraina; solo dopo ha scoperto che la pena massima per il suo reato era prevista a diciotto mesi. Anche un vecchio compagno di scuola del marito di Vyuskova, detto «Lyoha», ha firmato con l’esercito per evitare una condanna per furto nel Kurgan, al confine kazako; di recente i familiari hanno ricevuto giusto alcune parti del suo corpo in una bara e l’indennità, che stanno consumando nell’alcol. 
Simile il caso di quarantacinquenne di Ulan Ude, Alexander Manzherov, sotto processo verso la fine dell’anno scorso per aver provocato un incidente stradale; il tribunale gli ha offerto di convertire la pena in un contratto da conducente di camion – non combattente – nel Donbass; naturalmente nel giro di pochi mesi Manzherov si è trovato in prima linea e poi prigioniero di guerra. In Russia inganni del genere per attrarre uomini al fronte in realtà erano usati già da anni sui migranti indiani, kazaki o nepalesi. Ma ora tocca ai russi stessi. “Muratore”, “addetto alla sicurezza”, “ingegnere”: negli ultimi mesi, i falsi annunci dietro i quali c’è la realtà brutale del campo di battaglia hanno raggiunto i centri di reclutamento anche a Mosca o le piattaforme di piccola pubblicità online come Avito. 
Intanto l’età media delle reclute sale, con uomini al fronte oltre i sessant’anni, mentre persino la stampa autorizzata dal regime registra negli ultimissimi mesi parla di casi di feriti pestati selvaggiamente nei centri di raccolta se rifiutano di tornare al fronte prima di una completa guarigione. Esempi verificati di questo tipo arrivano da Tuva e dalla Yakuzia, mentre in maggio un gruppo di militari del 54esimo reggimento motorizzato ha denunciato su Telegram un comandante che mandava all’assalto uomini in stampelle. Nei primi anni di guerra, ai feriti russi veniva dato almeno tutto il tempo di recuperare: non più.
«Storie del genere stanno diventando più frequenti – osserva Vyushkova, la dissidente che studia le vite dei soldati russi –. Mostrano che il Cremlino e i suoi rappresentanti come (il negoziatore di Putin, ndr) Vladimir Medinsky mentono, quando dicono di avere a disposizione “risorse umane senza fine"». E quel che è vero degli uomini, inizia ad esserlo anche dei mezzi: con 23 mila veicoli corazzati da trasporto persi dall’inizio della guerra e i magazzini di era sovietica ormai svuotati, i canali Telegram vicini ai militari russi hanno preso a denunciare che alle unità vengono assegnati muli per trasportare il materiale bellico nelle retrovie (screenshot sopra).
A essere onesti, la Russia non è sola a non poter più nascondere i problemi. Anche l’Ucraina fatica a trovare sempre nuove risorse per difendere il fronte e di certo è ben lontana – avendo una popolazione di oltre quattro volte più piccola – dal poter reperire 35 mila uomini al mese. La settimana scorsa in un centro di reclutamento a Kiev è scoppiata una rivolta, forse perché le reclute vengono chiuse nei compound per prevenire le defezioni.
La domanda resta: queste crepe nel sistema putiniano significano che il dittatore potrebbe essere più vicino ad accettare una tregua o un compromesso? 
Purtroppo, temo sia vero il contrario: l’aggressione sembra sul punto di diventare ancora più violenta e più cieca. In primo luogo, Putin probabilmente non ha capito. La piramide del potere in Russia è strutturata in modo tale che le cattive notizie non viaggiano dalla base al vertice. Spiega Boris Bondarev, l’unico diplomatico di Mosca ad aver fatto defezione dal 2022 – i sottoposti si tutelano attraverso l’omertà: espungono le cattive notizie dai loro rapporti ai superiori, che restano beatamente all’oscuro di molto.
  
Ma se qualcosa rivelano la coercizione sui feriti per rigettarli al fronte, la cooptazione dei tribunali nella macchina militare, la spesa oltre ogni limite pur di avere uomini da bruciare negli assalti, è che questo regime è totalmente identificato con la guerra. Per essa è disposto a scelte folli nella logica di una società democratica in tempo di pace. Il regime russo vive per la rivincita; per la revisione dell’ordine europeo dopo la percepita umiliazione subita per mano dell’Occidente con il crollo dell’Urss («la più grande tragedia geopolitica del ventesimo secolo», secondo Putin). Una terribile guerra d’attrito continuerà: l’Ucraina senza più il sostegno americano può resistere solo se l’aiuteremo noi europei, con fermezza, ad allargare le crepe nel muro del Cremlino.