La Stampa, 10 giugno 2025
"I Modà a San Siro? Un punto di partenza So che tutto può finire"
C’è voluto un po’ di tempo – e il sostegno di Amadeus – prima di riuscire a parlarne. Non era facile guardare in faccia quel buio profondissimo e lasciare che anche i suoi fan si perdessero, con lui, lì dentro. Faceva paura. Faceva male. E sì, «un po’ mi imbarazzava». Perché quella parola – depressione – si trascinava dietro un terrore, letteralmente, paralizzante: dieci giorni inchiodato al letto perchè il suo corpo non rispondeva più. Eppure proprio perché spaventava, Francesco Kekko Silvestre ha deciso di parlarne. Lo ha fatto per la prima volta a Sanremo 2023, dove cantava Lasciami, e continua a farlo adesso, anche se sta meglio e ad attenderlo c’è uno stadio San Siro di Milano già sold out. Oltre 55 mila fan lo attendono lì, giovedì sera, per La notte dei romantici: un concerto evento, che anticipa la tournée autunnale e ripercorre i 20 anni di carriera. «La depressione non può essere un capitolo chiuso: non si guarisce, non è come un virus che poi passa – spiega il leader dei Modà, di cui è uscito il nuovo album 8 canzoni – so che non potrò cambiare il mondo con la mia musica, ma magari posso aiutare qualcuno». Perché è questo che deve fare la musica: «Dare dei messaggi, lasciarti qualcosa».
Non è una visione un po’ troppo romantica delle canzoni?
«So bene che il panorama musicale va in ben altra direzione. A parte alcune felici eccezioni, come Alfa e Olly, per il resto è uno schifo. Ascolti 100 canzoni, e cosa ti resta? Qual è il messaggio? A furia di tormentoni abbiamo perso di vista la potenza sociale racchiusa nella musica».
Oggi si parla molto di depressione: nel modo corretto?
«L’importante è parlarne – male, bene: non importa – e che lo faccia proprio chi, come me, può sembrare un supereroe. Non fu facile portare a Sanremo Lasciami: io avrei preferito Come hai sempre fatto ma Amadeus insistette e ci vide giusto. Il primo passo per combattere la depressione è proprio parlarne, non avere paura di affrontare l’argomento».
Lei, Sangiovanni, Angelina Mango: siete in tanti. È colpa del sistema?
«Viviamo in una società dove anche solo stare al mondo è complesso. Se vuoi essere indipendente, devi essere super performante perché non basta più il lavoro da mille euro. È un problema strutturale. Quanto alla musica, Angelina e Sangio sono stati travolti da un sistema che invece di proteggerli li ha stritolati. Per me è stato diverso: mi avevano rubato un sogno. Dopo che nel 2016 ho lasciato la mia casa discografica, di colpo nessuno voleva più i Modà. Per riemergere ho investito 100 volte le mie energie trascurando problemi ben più grossi. A quel punto la mente mi ha bloccato costringendomi a fermarmi».
Se tornasse indietro tenterebbe altre strade?
«Sono uscito di casa molto giovane, a soli 17 anni, e ho iniziato a lavorare come corriere espresso internazionale dedicato. Giravo tutta Europa in auto, recapitando oggetti. Mi piaceva un sacco. Aprii anche un’azienda di corrieri espressi tutta mia, bella grossa, con 50 dipendenti. In parallelo facevo anche musica e quindi a un certo punto dovetti scegliere: cedetti la società al socio. Se tornassi indietro, la terrei».
Kekko lo Zuckerberg dei rider?
«Diciamo che forse la vita da ufficio mi sarebbe piaciuta. La musica mi ha dato tantissimo, ma mi ha anche tolto molto: la privacy, il tempo da trascorrere in famiglia».
Ha spesso messo in discussione il suo lavoro da cantante ma mai il matrimonio con sua moglie Laura. Perchè?
«Pasqualina – in casa la chiamiamo così – mi ha salvato la vita. Non sarei l’uomo che sono, senza di lei. Poi, certo, in 26 anni di matrimonio le crisi ci sono: una grossa nel 2009, perché eravamo ancora molto giovani, e poi una seconda, altrettanto tosta, nel 2013. Quella fu colpa mia: era un periodo felice e pensavo che il mondo girasse intorno a me. Oggi invece la prima cosa che faccio è chiedere del lavoro a mia moglie, interessarmi di lei. Parlo pochissimo di me, o comunque sempre in seconda battuta. La chiave per superare le crisi è stata il dialogo».
Dice di amare prima di tutto i difetti di Laura. In che senso?
«Ci lamentiamo spesso del partner ma noi siamo davvero migliori? Non credo proprio. Amare è accettare e accettarsi. La tossicità di molti rapporti nasce dalla leggerezza con cui ci si lascia, come se il problema fosse sempre l’altro. Cambi compagna pensando che andrà meglio, invece i problemi tornano perchè l’ostacolo spesso... siamo noi».
Anche la sua band deve amarla molto: non si è mai snervata per le sue periodiche crisi?
«Mai. Mi hanno sempre aspettato, senza fare pressioni. Sono stati fantastici. Per me sono una seconda famiglia. Per fortuna loro insegnano musica quindi non lascio nessuno per strada, ma il loro rispetto ogni volta mi commuove».
Possiamo considerata archiviata l’ipotesi del ritiro?
«No. Ora sono felice, vado avanti e sogno un tour con 20 stadi – sono realista ma anche un sognatore – però quando sei fragile dentro, devi affrontare la vita giorno per giorno, senza guardare troppo avanti. Sapendo che tutto può finire».