il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2025
Clint e i suoi 95 anni da Oscar: dal fronte agli occhi di ghiaccio
Andato via malamente il suo amico Gene Hackman, ci resta lui, il magnifico Clint Eastwood che ha appena compiuto i suoi 95 anni, settanta dei quali passati nei pressi di una cinepresa – 78 film da attore, 45 da regista, 5 Oscar, 6 Golden Globe, Gli spietati, Mystic River e Gran Torino i suoi capolavori – a raccontarci l’America degli eroi solitari che tengono il timone nella tempesta della vita, fronteggiano le sue ondate capaci di travolgere la rotta dei destini, anche se mai del tutto, bastando un relitto per tenersi a galla, come effettivamente gli accadde una notte di tanto tempo fa al largo di Point Reyes, costa californiana, dove in lontananza lampeggiava il faro che gli salvò la vita.
Era un soldato, a quel tempo, arruolato nella guerra di Corea, anno 1951, immaginando ancora nulla del suo futuro cinematografico che lo avrebbe innalzato a narratore della eterna lotta tra il bene e il male, affrontata qualche volta con munizionamento adeguato, il calibro 44 della sua Magnum, altre con la sola ostinazione dello sguardo, mentre si allontana a cavallo, masticando quel che resta del suo mezzo sigaro e della sua intera vendetta.
“Il cinema non è uno sport intellettuale – ha detto un anno fa a consuntivo di una carriera che non si è ancora fermata –. Ma è un mestiere emotivo”. Lui ha saputo metterci il corpo, i silenzi, il cuore.
Sergio Leone lo scelse per lo sguardo scavato nel ghiaccio. Don Siegel per la mandibola intagliata nella pietra. Nella trilogia che rivoluziona il western, culminata nel capolavoro Il buono, il brutto, il cattivo, è lo “Straniero senza nome”, con il poncho pieno di polvere che Leone ordinò di non lavare mai fin dal primo set, quello di Per un pugno di dollari e in quello del secondo capitolo, Per qualche dollaro in più, icona di quel tempo eterno che il cinema incorpora, come il poncho la polvere, quando riesce a trasformare il sogno di un racconto in vita vera.
Don Siegel lo volle ne L’uomo dalla cravatta di cuoio e poi nello spettacolare e controverso Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo!, dove sgombera le strade di San Francisco dal crimine, fa della giustizia la sua giustizia, secondo i canoni del libro sacro, la Bibbia dell’America protestante, bianca, repubblicana, attenuati da una ironia che smonta il pericolo del fanatismo, accetta l’imperfezione degli uomini, che è naturale e in fondo senza davvero rimedio.
Estratto da un quadro di Edward Hopper, di quelli in cui è il vuoto della solitudine che riempie la scena, Clint viene da lontanissimo, l’America del 1930, sobborgo di San Francisco, padre operaio metalmeccanico, madre impiegata. Cresce atletico. Carattere introverso. Poca voglia di studiare, molta per l’avventura, il pianoforte, il jazz. Il primo Pick-up a 16 anni, i viaggi nella natura incontaminata che si porterà per sempre dentro, dai boschi ai deserti, considerandoli con il rispetto che si deve ai misteri sigillati da esplorare, ma solo fino a un certo punto. Come le donne che amerà, due mogli, due divorzi, otto figli da sei donne diverse, altrettante fidanzate, lungo una privacy mai sfiorata da incendi troppo estesi.
All’inizio fa i lavori che trova, il boscaiolo, l’autista, il guardiano notturno, il pianista. A 21 anni lo chiama l’esercito, destinazione Corea. Nel volo di trasferimento, il cacciabombardiere su cui viaggia resta senza benzina. Ammarano. Lui e il pilota riescono a uscire prima che l’aereo affondi. Tre miglia a nuoto nel nero dell’Oceano, la nebbia intorno, il faro che lampeggia, fino agli scogli della salvezza.
La nuova vita arriva con un provino negli Studios e l’ingaggio della Universal per una serie tv, 75 dollari a settimana, e un paio di b movie del genere cow-boy sbarbati e stirati. Leone lo pesca da quella risacca inconcludente, lo vuole con la barba sfatta e un massimo di tre parole a ogni battuta in primissimo piano. Dirà che di Clint gli piacciono le due espressioni: “Con il cappello, senza cappello” e tutto il mistero intorno.
Negli anni a seguire, il cappello sparirà, il mistero no. Fino a diventare carisma quando comincia a maneggiare lui la macchina da presa e a diventare produttore indipendente con la sua Malpaso, fondata nel 1968, esordio con Brivido nella notte, storia di un dj ossessionato da una stalker, poi una serie di polizieschi metropolitani, fino a Bird, la storia folgorante di Charlie Parker, uno dei suoi musicisti più amati, con vita bruciata a 34 anni, che nel film ha gli occhi in fiamme di un quasi esordiente, Forest Withaker.
Cavalca i suoi anni d’oro con Gli spietati, anno 1992, western crepuscolare con cast di grandi attori, lui, Gene Hackman, Richard Harris, Morgan Freeman, dedicato, nei titoli di coda, a Sergio e Dan, omaggio e congedo dai suoi maestri, oro agli Oscar, incassi stellari. È la sua maturità artistica. Che passa lungo le sponde del Mystic River, dove un gruppo di uomini, Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon, fa i conti con la loro fatal flow, la ferita fatale dell’infanzia: una violenza sessuale subita da uno di loro, che cambierà le vite di tutti, fino al rendiconto che finisce per abbattersi sull’uomo sbagliato, l’innocente. A dire quanto siano crudeli le carte del destino e indifferente il fiume della vita che passa.
Poi tocca alla scintillante carrozzeria di Gran Torino, l’auto tesoro del protagonista, un Clint Eastwood ex operaio Ford, irascibile e razzista, infastidito dai “musi gialli” che stanno conquistando il quartiere, respirando anche loro il sogno americano della integrazione. Lui prima ostile alla nuova famiglia dei vicini, poi al loro fianco quando servirà a raddrizzare i soprusi.
Sempre le vene dell’America, corrono nelle sue storie, dal ring di Million Dollar Baby omaggio al sudore e alla sofferenza, agli incubi di American Sniper, il cecchino imprigionato dai suoi rimorsi. Tutti film con il pessimismo incorporato, cifra del suo disincanto e insieme del suo ostinato patriottismo, spesso in contromano, rispetto alla comunità liberal di Hollywood, come quando nel 2016 appoggia la candidatura di Donald Trump, salvo pentirsene negli anni a seguire.
Un miracolo creativo, il suo eclettismo. “Bisogna essere attivi, felici e capaci” ha detto, intervistato nello studio della Warner dove lavora da quarant’anni, senza mai cambiare arredi, una finestra davanti agli alberi, lui che ogni mattina mette sul davanzale il cibo per gli scoiattoli che se ne vanno in giro tra la scrivania e le sue carte. Gli danzano intorno. Proprio come fanno le idee quando, da grande vecchio, ancora pensa al cinema che farà