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 2025  giugno 09 Lunedì calendario

Intervista a Massimiliano Buzzanca

La pagella nel brodo.
«Mio fratello Mario gliela consegnò tutto tremante, era piena di brutti voti. Papà lo guardò con due occhiacci così, la strappò in tanti pezzettini e gliela buttò nella minestra. “Adesso te le mangi, vediamo se così capisci che devi studiare”. Adesso fa ridere, ma allora ne fummo terrorizzati, lui avrà avuto 11 anni, io 5». 
Massimiliano Buzzanca, 62, attore come lui, è il secondogenito di Gerlando detto Lando («Ma a casa lo chiamavamo Gigi»), il «Merlo maschio» della commedia nostrana degli anni ’60 e ’70 (Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonata, Il magnifico cornuto, Quando le donne avevano la coda) scomparso il 18 dicembre 2022 a 87 anni. E su di lui ha scritto il libro Ma che sei il figlio di Lando? (esce il 13 giugno per Baldini+Castoldi), la domanda che gli fanno tutti. «La levatrice, appena nato, ci aggiunse: “Anvedi, gli hai staccato la testa!” Ci somigliamo tanto».
A casa volavano ceffoni.
«Papà era duro, specie con Mario. Se meritava uno schiaffo gliene dava tre. Mio fratello ne ha prese troppe, però ne combinava tante. A 6 anni, in Sicilia, salì sul tetto e tagliò i fili della luce con la forbice, a rischio di morire fulminato. Restò al buio tutto il palazzo. Io mi salvavo perché ero esile, appena mi sfioravi mi usciva il sangue dal naso. Il resto ce lo dava mamma con il cucchiaio di legno».
Lando non era cattivo.
«No, si preoccupava per la nostra educazione, lui era cresciuto con un padre che gli dava le cinghiate, ai tempi si usava così. Il libro sul metodo Montessori non l’ha mai letto, ce lo tirava dietro».
In famiglia non sorrideva mai.
«L’ho sempre visto corrucciato, torvo, nervoso, incazzato con la vita. Anche se le cose andavano bene, aveva paura che tutto ciò che aveva costruito potesse crollare, sentiva la responsabilità di una moglie e due figli. Si sposò a 22 anni, senza arte né parte, con l’incubo di perdere la dignità e l’onore. Fuori, chiunque lo incontrasse, mi diceva: “Ma quanto è simpatico tuo padre”. Pensavo: “Non è che ne ho due e non lo sapevo?”».
Un ricordo speciale.
«Noi tre sdraiati sul lettone a dire cavolate. “Qual è il mare che arresta tutti i delinquenti? Il maresciallo!”».
Le carezze solo mentre dormivate.
«Così si usava in Sicilia. Baci mai. Manteneva una sorta di atteggiamento da viceré, ottocentesco. Da grande lo prendevo in giro salutandolo con un “Buongiorno padre” che lo divertiva. Una volta, già anziano, mi telefonò allarmato perché non funzionava la tv. “Sei sicuro di aver inserito la spina?”. Rispose adirato: “Mi prendi per un rimbambito?”. Poi ammutolì, accorgendosi che in effetti era staccata. Passai da lui. Aprì la porta e cominciammo a ridere, è stata una delle poche occasioni in cui ci siamo abbracciati».
La sorprese a fargli l’imitazione.
«Avrò avuto 14 anni, ero al Circeo con gli amici. Recitai: “Son Buzzanco, che le donne ama a branco, sì lo so piacere piaccio, ma a ‘ste donne che ci faccio?”, battendo i polsi come faceva lui. Di colpo mi arrivò un ceffone sulla nuca. “Guarda che con questo personaggio io ti ci manderò all’università, non deridermi”».
Aveva fatto la fame.
«Era venuto a Roma a 18 anni, non aveva nemmeno i soldi per una stanza in un ostello, di notte si riparava negli androni o camminava per ore, per passare il tempo, canticchiando: “Non lo so, non lo so, se stasera mangerò”. Una mattina, erano le 4 e mezza, entrò in un bar che stava aprendo per chiedere acqua e zucchero. Vide il piattino con le mance. “Posso prendere qualche monetina?”. Il barista annuì. E lui allora le usò per pagarsi un caffè. Possedeva un paio di calzini, ogni giorno li lavava alla fontanella e quando erano asciutti se li rimetteva. Una volta lui e mamma trovarono un barbone che dormiva nella loro auto. Papà lo lasciò stare. “Eh, se avessi avuto una macchina in quelle notti passate al freddo”».
Comparsa in «Ben Hur».
«Lui e Giuliano Gemma, erano due schiavi. In una scena sono accanto a Charlton Heston. Hanno appena attraversato il deserto, sono sfiniti, ma nel copione dicono: “Acqua, per favore!”. Inverosimile, ci abbiamo sempre riso».
Il conto non pagato.
«In una trattoria del centro di Roma. Mangiò, poi disse: “Vado in bagno” e sparì. Anni dopo capitai nello stesso ristorante. L’oste, un omone, mi chiese: “Ma lei è il figlio di Buzzanca?”. Al mio sì staccò un quadretto dal muro: una vecchia ricevuta del 1959. “Questa è di suo padre”. Credetti che volesse farmi saldare l’arretrato. Invece no. Era un fan di Lando, se l’era tenuta come una reliquia».
La fama da «Homo eroticus», come un suo film.
«Le mamme delle mie amiche, preoccupate, non volevano che mi frequentassero, se non in gruppo. Una impose alla figlia Simona di farsi baciare solo tra naso e mento».
Lando non fu proprio un marito fedelissimo.
«No, però mi ha sempre detto: “Ho fatto l’amore soltanto con mamma, il resto era un fatto fisico, senza sentimenti”. “Papà, il tuo è un ragionamento da parac…o”. “Io sono a posto con la mia coscienza”».
Era indotto in tentazione.
«Non era mai lui a cercare l’avventura, erano le donne che gli rompevano le scatole. Durante una tournée teatrale un’attrice bellissima e famosissima, allora ventenne, gli bussò alla porta in hotel, in accappatoio. “Devo farmi la doccia”. “E non ce l’hai in camera tua?”. “Da te è meglio”».
Ingegnose.
«Un’altra scavalcò il balcone per entrare nella sua stanza. Chi l’avrebbe mandata via? Però nell’affetto era fedele. La sera è sempre tornato a casa. Mamma lo aspettava sveglia, gli toglieva i vestiti per sentire se addosso aveva un profumo diverso. Per tre volte gli ha mollato uno schiaffone».
E lui?
«Zitto. L’ha amata per tutta la vita, quando ha rischiato di perderla, nonostante l’atteggiamento da uomo di Neanderthal, tornava da lei con la coda tra le gambe».
Le portò Gianni Morandi in camera da letto.
«Con l’entusiasmo di un bambino. “Lucia, guarda chi c’è!”. Senza rendersi conto di essere stato inopportuno, lei era in camicia da notte».
Lando come un fumetto spinto anni Settanta.
«La faccia era la sua, a volte quella di Celentano. Papà era furioso, temeva che gli rovinasse la carriera».
Era considerato di destra.
«Un certo tipo di sinistra è stata classista con lui, lo tagliava fuori, anche se fascista non è stato mai, ma socialista-cristiano. Ci ha sofferto. Mi raccontò: “Ho salutato Scola, ha finto di non vedermi”».
Nel 2013 tentò il suicidio.
«Lo trovò la governante nella vasca da bagno, si era tagliato le vene. Era depresso, lo sapevamo. Dopo la morte di mamma si sentiva solo, lei lo tranquillizzava, anche nel lavoro. Si sentiva finito, non era più il Lando di prima e si è spaventato».
All’inizio lo smentì.
«Stava girando Il Restauratore per la Rai, temeva di pagare una grossa penale».
Si è rialzato.
«Ha accettato questi suoi nuovi limiti».
La malattia, qualche anno dopo.
«Aveva grossi problemi di memoria, ma in scena sapeva come mascherarli. Nel 2021 invece, dopo una caduta in cui ha sbattuto la testa, non si è più ripreso. Mentre lo portavamo all’ospedale mi ripeteva: “Ti amo, ti amo, ti amo”, come fosse il suo testamento. Forse è l’unica volta in cui mi ha detto che mi voleva bene».
L’ultima compagna, Francesca Della Valle, attrice, è stata rinviata a giudizio per circonvenzione di incapace.
«C’è un processo penale. Per lui non era una storia seria, voleva solo darle una mano. Una donna più giovane accanto lo divertiva per mezzora, ma papà non ha mai voluto che nessuna restasse a dormire nel suo letto, dopo la morte di mamma. C’era ancora la sua vestaglia sulla poltrona. E la fede sul comodino».