corriere.it, 9 giugno 2025
Norbert Niederkofler, 25 anni di stelle Michelin: «Ma a casa lavo i piatti. Programmi di cucina in tv? Ho detto tanti no»
Originario di Lutago, piccolo paesino di meno di 1.000 persone in provincia di Bolzano, Norbert Niederkofler è uno degli ambasciatori dell’Alto Adige nel mondo. La sua ultima creatura è il ristorante Atelier Moessmer a Brunico, in una villa del 19esimo secolo, storica sede dell’omonimo lanificio.
Zurigo, Milano, Monaco e New York: ci può raccontare cosa si è portato via da ognuna di queste quattro esperienze?
«Prima di tutto, è stata un’esperienza per la vita. Ero giovane e potevo permettermi di vivere il presente, il paese, e tutte le esperienze insieme a persone provenienti da tutto il mondo. Questo mi ha dato il bagaglio necessario per svolgere il mio lavoro: essere curioso, felice di ciò che faccio, ma allo stesso tempo avere sempre lo sguardo rivolto oltre, verso ciò che si trova dall’altra parte della montagna, senza mai fermarmi. Le esperienze più significative sono state soprattutto a livello personale. Da David Bouley a New York ho imparato moltissimo sulla cucina asiatica, grazie alla sua genialità era sempre un passo avanti rispetto a tutti gli altri. In Germania ho capito l’importanza del lavoro instancabile, ma anche quanto sia essenziale conoscere sé stessi: saper riconoscere i propri limiti e fare scelte consapevoli su fin dove ci si vuole spingere per inseguire un obiettivo. È facile lasciarsi trascinare da una spirale che può far perdere di vista ciò che conta davvero. Eckart Witzigmann, uno dei cinque grandi cuochi del secolo – l’unico non francese – diceva sempre: “Le tre stelle sono fatte per il 10% di genialità e per il 90% di duro lavoro”. È con questo bagaglio di esperienze, dopo 17 anni nel mondo, che sono tornato in Alto Adige».
Com’è andata con Ansitz Heufler a Rasun di Sopra?
«È di proprietà del nostro general manager Andrea Tomasini. Lui e sua moglie hanno svolto un lavoro straordinario di ristrutturazione, dando nuova vita a questo gioiello architettonico. È una dimora storica del 1580 con bellissime stuben curate con grande attenzione. Abbiamo capito fin da subito che inserirlo nel gruppo Mo-Food aveva perfettamente senso: una struttura che si allinea armoniosamente dal punto di vista architettonico con AlpiNN e che condivide con Atelier Moessmer non solo la filosofia e l’offerta gastronomica, ma anche l’unicità del progetto nel suo insieme».
Non le bastava Atelier Moessmer a Brunico, AlpiNN e Horto Milano?
«Ci sono delle logiche precise che guidano lo sviluppo di un’offerta imprenditoriale completa. Horto, ad esempio, è un posto magnifico a Milano, con un concetto di cucina creato da noi. Milano, in quanto centro economico e cuore della comunicazione italiana, è strategicamente importantissima. Brunico, invece, con Atelier Moessmer, AlpiNN e ora anche Ansitz Heufler, si trova in una delle zone più belle d’Italia, con un potenziale turistico enorme. Ansitz Heufler, in particolare, con le sue dieci suite, rappresentava un tassello fondamentale per completare l’offerta gastronomica. Grazie a un servizio shuttle dedicato, offriamo anche la possibilità di vivere una serata speciale in totale relax – magari anche con un buon bicchiere di vino in più».
Quest’anno sono 25 anni di stelle Michelin, la prima, infatti, l’ha conquistata al St Hubertus nel 2000. Le stelle hanno ancora lo stesso valore oppure vanno ripensate?
«Tutto il mondo sta cambiando e lo sta facendo a una velocità impressionante. Nel corso di questi 25 anni ho visto tante guide arrivare… e poi sparire. Con alti e bassi nella qualità, spesso tutto dipendeva soprattutto dalla persona che le seguiva e gestiva. La Guida Michelin è sempre stata un punto di riferimento solido, e lo è ancora oggi. A livello internazionale, insieme a “The World’s 50 Best Restaurants”, per me resta tra i leader assoluti. Michelin, in particolare, ha fatto un passo importantissimo nel 2020 introducendo la stella verde: un segnale forte verso i giovani e verso il futuro della gastronomia».
C’è qualche aneddoto di tutta la sua vita in cucina, con clienti e con colleghi, che ci può raccontare?
«Il bello di questo mestiere è sempre stato il contatto con le persone, quelle che scelgono di trascorrere del tempo nelle nostre sale e cucine. Ho spesso detto a chi lavora con me che abbiamo un’opportunità unica: parlare con persone che, nei loro ambiti, sono dei veri e propri geni o grandi imprenditori. E vengono qui, da noi, per scoprire cosa facciamo, per vivere un’esperienza e per rispetto verso il nostro lavoro. E questo ci mette sul loro stesso livello. Nel corso degli anni abbiamo avuto il piacere di ospitare tantissimi sportivi, ed è anche grazie a questi incontri che abbiamo avuto accesso al mondo della Formula 1, delle gare di sci più importanti, e persino ai grandi eventi musicali, come il concerto di Jovanotti al Plan de Corones. E poi Joe Cocker, Bruce Springsteen, i Dire Straits, Neil Young, solo per citarne alcuni».
C’è qualcosa della sua vita, professionale e privata, che vorrebbe cancellare?
«No, penso che tutto sia servito, anche se magari ha fatto male, ti ha colpito… ma è servito. Se c’è una cosa che un po’ mi rimprovero, è di non aver mai veramente preso il tempo per le persone importanti: per la famiglia, per gli amici, ma soprattutto per i bambini. Oggi, alla soglia dei 64 anni, mi rendo conto sempre di più che il tempo mi sta sfuggendo, e che certi momenti – momenti davvero importanti – non riesco più a recuperarli. È l’unica cosa che, a volte, mi fa riflettere profondamente. Ma tutto questo non ha a che fare con il nostro mestiere. È una scelta di vita. E dipende solo da te, perché in qualsiasi lavoro devi essere tu a capire fino a dove vuoi spingerti. E per certi traguardi, le classiche otto ore al giorno per cinque giorni a settimana non bastano».
La cosa di cui va più fiero?
«Se si parla di cucina, sicuramente il traguardo più importante è stata la terza stella Michelin. Ma ciò che ha reso questo riconoscimento davvero speciale è il fatto che siamo stati i primi al mondo a raggiungerlo con un concetto basato sulla natura che ci circonda. “Cook the Mountain” è un modo di pensare, un approccio alla sostenibilità che parte dal rispetto per il territorio, per le materie prime e per le persone che ci lavorano dietro. Siamo riusciti a dimostrare che è possibile ottenere tre stelle anche valorizzando ciò che ti sta attorno: la montagna, la natura, la cultura locale. Non importa se sei in montagna, in Sicilia, in Umbria o a Milano: se rispetti profondamente quello che trovi in un determinato luogo, puoi farcela.
E questo approccio permette anche di mantenere viva la cultura e la tradizione del territorio in cui ti trovi».
Cosa ne pensa di Giancarlo Perbellini che ha deciso di chiudere il suo ristorante tristellato di Verona dal sabato sera al lunedì?
«Queste sono scelte che di solito si fanno anche con delle analisi di mercato, oppure delle scelte private. Può essere che il business il fine settimana non sia quello che serve per affrontare i costi oppure può essere una scelta privata per avere tempo di stare con la famiglia».
Non ha mai pensato di darsi alla televisione, al di là delle comparsate? Le è mai arrivata qualche proposta?
«Di proposte ne sono arrivate, ma spesso non era il tema che mi interessava. Tanti anni fa volevo fare una trasmissione con i bambini, per sensibilizzare i loro palati e dare cultura già negli asili e nelle scuole, ma non ho trovato nessun programma e produttore che fosse interessato. Per il resto siamo molto lontani dai luoghi dove vengono fatti e creati questi programmi, per questo motivo è molto difficile seguire questo mondo».
Lei si sente italiano o tedesco?
«Italiano al 100% e quando vado all’estero mi sono sentito molto più italiano di prima. Nonostante sia nato sotto la vetta d’Italia sono più italiano di tanti delle grandi città di tutto il nostro bellissimo Paese. Mi piace il modo di pensare, di vivere la giornata nonostante i problemi e le difficoltà spesso soprattutto burocratiche che ci sono».
Vorrebbe che i suoi figli seguissero le sue orme?
«Innanzitutto siamo molto contenti che crescano a Brunico e totalmente bilingui. Questo per mia moglie Christine e per me è la base. Thomas sta facendo la scuola alberghiera a Brunico, per sua scelta. Sono liberi di fare quello che gli piace. Non è un problema se non diventano attrici come Christine o ristoratori come me, basta che facciano un mestiere che gli piace e che dia loro delle soddisfazioni».
Quando è a casa o in vacanza, cucina? Se sì, che cosa le piace cucinare?
«La “Signora della casa”, Christine, è una grandissima cuoca con tanta passione come per il suo mestiere sul palco. Io ne sono super felice e cerco di passare il tempo con i bambini e lavo anche i piatti».
Se stasera fosse la sua ultima cena, che cosa vorrebbe mangiare e bere?
«Sono una persona molto semplice. Probabilmente sceglierei i canederli con il formaggio Graukäse che mi ha fatto sempre mia madre, ma soprattutto sceglierei il fatto di stare con la mia famiglia. In merito al bere, sicuramente sceglierei di restare in Italia».
Ha 64 anni ma non sembra che abbia intenzione di smettere di lavorare. O ci sta pensando?
«Fermarsi no ma cambiare sì, ovvero lavorare in maniera diversa. Per questo da sempre ho voluto lavorare con giovani, dare a loro tanto spazio per me significa stare sempre al passo di come loro vedono il momento del cibo e della vita. Questo sicuramente mi ha portato a rimanere giovane di testa, anche se il mio fisico ogni tanto dice qualcos’altro».
Ci sono ancora sogni nel cassetto? Se sì, ce ne dice almeno uno?
«Ho sempre gestito la mia vita facendo programmi a cinque anni, ma passati i primi tre ho sempre reimpostato i successivi cinque. Questo mi ha sempre portato a essere un passo avanti e, come detto prima, lavorando con giovani riesci anche a stare al passo con i tempi. Non si sa mai cosa c’è dietro l’angolo, ma sono sicuro che spunteranno alcune cose. Forse cose già fatte, ma reinterpretate in una chiave nuova».