corriere.it, 9 giugno 2025
Walter Di Francesco, professione mentalista: «Ho letto nel pensiero ad Achille Lauro ed Helen Mirren: ecco come. Le aziende mi chiamano per smascherare i bluff»
Walter Di Francesco, leviamoci il dubbio: lei è un mago?
«No».
Si sente un mago?
«Non ho poteri paranormali».
Legge nel pensiero?
«Non nel senso d’essere veggente».
Cosa è un mentalista?
«Le posso dire che tipo di mentalista sono io: osservo molto, studio il linguaggio non verbale, uso la tecnica. Non leggo il pensiero ma capisco abbastanza bene come si muove».
Segue degli indizi.
«Certamente».
Ce ne dice qualcuno?
«Sa tenere un segreto?».
Come no.
«Anche io».
Gag a parte, qualcosa rivelerà. In questa storia dobbiamo partire dall’inizio. Chi è Walter Di Francesco, il mentalista – appunto – che tutti vogliono e tutti cercano? Classe 1977, nato a Castano Primo nel Milanese ed emigrato a Chiarano nel Trevigiano «per amore», alle spalle ha una permanenza tra gli alpini («due anni a Merano»), un passato nella grande distribuzione (prima commesso e poi responsabile dei reparti audio-video), infine il grande salto: professione mentalista. Vocabolario alla mano: colui che crea l’illusione di leggere nella mente delle persone o di possedere poteri mentali speciali. Di Francesco argomenta: «Il mentalismo è l’espressione più raffinata dell’illusionismo. Un mago fa sparire oggetti, io faccio sparire certezze».
Lo incontriamo a Milano e, va detto, dal test del profano esce bene. Chiede di scegliere un orario, di memorizzarlo e non farne parola, poi guarda in faccia l’interlocutore e gira le lancette sul suo orologio da polso fermandole effettivamente dove l’altro aveva tacitamente deciso. Lo stesso avviene con il nome di un amico a cui domanda di pensare, arrivandoci una lettera per volta. Azzecca davvero ciò che ti ha fatto annotare su un foglio («per tutelarmi, scripta manent. C’è chi cerca di fregarmi cambiando in corsa (occhiolino)»). Intuiamo che la magia-non-magia s’annida lì dove il mentalista scruta ogni battito di ciglia dell’interlocutore, fa domande (in apparenza) scollegate dall’obiettivo, ascolta il tono di voce delle risposte. «Tecnica».
Ok ma, davvero, come fa?
«Ho studiato tanto, da autodidatta. Una competenza costruita attingendo a diverse discipline, senza percorso scritto da altri. Ci sono diversi mentalisti in Italia, qualcuno si presenta come piegatore di metalli (branca psicocinesi: illusione di poter muovere o piegare oggetti con il pensiero), altri esaltano le capacità mnemoniche. Io punto sull’empatia tra me e lo spettatore».
C’è gente molto empatica che però non indovina i numeri pensati dall’altro.
«Unisco esame del linguaggio verbale e corporeo, programmazione neuro-linguistica (un insieme di pratiche che si focalizzano sulla comunicazione), lettura della micro espressività, psicologia comportamentale, controllo della voce e parecchio altro».
I risultati ci sono. Sui social Di Francesco è virale, in televisione inanella ospitate, degli eventi aziendali è il re («C’è chi chiama un cantante e chi chiama il mentalista»). Recente la performance con un attonito (poi entusiasta) Checco Zalone – «con Checco ci siamo incrociati grazie al manager Michele Zanella, a Capodanno mi telefona: Walter sono con gli amici, posso chiederti una prova delle tue?». Tra i suoi fan Achille Lauro («Gli ho sbloccato il telefono mentre pensava i numeri del pin uno alla volta»), Perfrancesco Favino («Gli ho detto di pensare a un contatto in rubrica, ho beccato una lettera alla volta fino al nome»), Lino Banfi («Che mi ha voluto al matrimonio della nipote»), Luca Cordero di Montezemolo e Giorgia («Hanno pescato una carta, l’ho azzeccata»), Renzo Rosso («Dice che non c’è festa dell’azienda senza mentalista»).
Come definiamo le sue attività? Trucchi?
«Performance, effetti. Preferisco chiamarli così».
Ci racconta della chiamata con Checco Zalone a Capodanno?
«Ero con la famiglia a una festa e squilla il telefono: “Ciao Walter, sono Checco. Ho detto ai miei amici che conosco un mentalista: ci faresti un gioco dei tuoi?”. Ho avvisato moglie e figlio che mi sarei assentato poco prima di mezzanotte».
L’avranno presa bene.
«Di più: erano accanto a me durante la videochiamata. “Non ci perderemmo mai Checco Zalone”. Sono abituati, capita spesso che personaggi noti mi chiamino, anche in modo estemporaneo: “Mi fai un effetto?”. Il passaparola – mi esibisco per lavoro o semplicemente in amicizia – è la mia fortuna».
L’inizio del passaparola?
«La volta che ho salutato Neri Marcorè dicendo: “Buon pomeriggio, sono il suo regalo” e lui ha risposto: “Speravo che dalla torta uscisse qualcuno di più carino”. Che risate. Neri si trovava a Treviso, dove vivo, per la prima di Leoni ed era stato invitato nel ristorante di un mio amico, il quale propone: “Ti pago io, serve l’intrattenimento per un pranzo vip”. Non ha fatto nomi. Il gruppo che doveva arrivare alle 12.30 si presenta alle 14.30: ero uscito dal lavoro con un permesso – facevo il commesso – e stavo perdendo la pazienza. Poi vedo Marcorè e mi viene un colpo: conosco tutti i suoi film. Quindi eccomi, “sono il suo regalo”. Sceglieva un orario e lo indovinavo, pensava a una città e la indovinavo. Ricordo la sua faccia: “Pazzesco”. Considero Neri un po’ un papà artistico: ha creduto in me dicendo che ciò che facevo doveva diventare spettacolo, non un passatempo. Un mese dopo mi ha voluto sul palco del Teatro Regio di Parma. Era il 2015».
Indoviniamo noi: da bambino faceva i trucchetti con le carte.
«Come molti bambini, intorno ai 5 anni, ho chiesto per Natale la scatola delle magie: carte, bicchierini, dadi. Mi sono appassionato. Ho cominciato ad andare in biblioteca a cercare libri sulla magia (non pozioni!), interessandomi non tanto alle tecniche dei prestigiatori (più basate sulla manipolazione fisica degli oggetti) quanto sull’illusionismo e le tecniche di persuasione che danno effetti apparentemente paranormali. Con papà abbiamo girato l’Italia setacciando le librerie. Allora non c’era internet: dovevi comprare i volumi o prenderli in prestito e ridarli dopo un mese, quindi fotocopiarli. Ho capito che esistevamo altri appassionati, i club li riuniscono. Ci scambiamo consigli».
Ha studiato psicologia?
«Alle superiori ho studiato contabilità: una strada un po’ diversa».
L’hobby è diventato un lavoro.
«Sono molto comunicativo, mi ha aiutato: tra gli alpini facevo formazione, idem per un marchio della grande distribuzione. Mi esibivo nel tempo libero, come quando mi ha chiamato il ristorante per Neri. Alla visibilità è seguita altra visibilità. Oggi mi esibisco in compleanni, eventi aziendali, trasmissioni televisive, teatri. Molto ma non tutto: niente feste di paese, c’è troppa dispersione e non si riesce a entrare bene in contatto con il pubblico».
Tra i tanti che ha stupito c’è Helen Mirren.
«Ritirava il Premio Apollonio a Lecce, io ero uno dei performer. Propongo: “Ora una roulette russa”, erano tutti preoccupati. Il gioco: scelta a caso una persona dal pubblico, doveva mettere di nascosto un chiodo dentro a uno dei 5 bicchieri posizionati sul palco. Helen avrebbe schiacciato con la mano i bicchieri su mia indicazione, evitando quello pericoloso. Si è fidata di me».
Un po’ sadico, non trova?
«Padroneggio la tecnica e non c’è mai stato pericolo, eppure sì: gli organizzatori erano terrorizzati e qualcuno scherzando (anche no) alla fine ha detto che per qualche minuto ha pensato che mi avrebbe chiesto i danni. È andato tutto bene. Il trucco? Segreto. Chi ha nascosto il chiodo è restato per qualche secondo sul palco, potrebbe essere che io dal modo di muoversi, dalle spalle, dallo sguardo, dalla camminata, abbia colto l’informazione utile...».
Il suo cachet?
«Dipende. Per preparare una performance speciale, tagliata sul soggetto, a tema, posso lavorare anche un mese. Dico solo che sto bene e posso fare stare bene la mia famiglia».
C’è una serie tv che ha reso noto il suo lavoro: The mentalist. L’ha vista?
«Sì. Il protagonista partecipa anche alle indagini della polizia e smaschera la menzogna».
Pure lei percepisce la menzogna?
«Ci sono alcuni elementi riportati anche nei libri. Se uno non dice il vero ed è in piedi spesso (spesso, non è legge) tenderà ad arretrare con una gamba, come per dissociarsi. Se una persona è al tavolo e parlando sposta oggetti (la tazzina, il cucchiaino) non è a suo agio e forse dissimula il non detto: è più un codice femminile».
Suo figlio e sua moglie la sopportano, con questi superpoteri?
«Mia moglie mi conosce perfettamente e giochiamo ad armi pari, oppure preme il tasto “off” quando torno la sera a casa. Mio figlio ha iniziato a studiare pure lui queste cose ed è una bella sfida».
Non le pesa “leggere” tutto subito?
«Intuisco un atteggiamento falso con più facilità di altri. Non sono certo l’unico».
Come il suo collega della fiction, è mai stato ingaggiato per lavorare a casi di cronaca?
«Non ufficialmente. Ho però partecipato a trattative aziendali».
Ovvero?
«Non posso dare dettagli, ma anche di recente sono stato chiamato al tavolo di una trattativa da osservatore. Mi chiedevano aiuto a decodificare l’atteggiamento della controparte, per stabilire se ci fossero bluff».
Chi è l’interlocutore più difficile?
«Quello scettico che poi cambia le carte in tavola. Una volta che si convince, può però diventare il tuo più grande fan. Gli ingegneri sono difficili, perché non amano le sfumature, e spesso non si fanno una ragione di come il mentalista abbia potuto indovinare qualcosa senza sapere precisamente come. Ma io tengo i segreti...».