Corriere della Sera, 9 giugno 2025
Così scrisse la Gentile Signora
La négresse inconnue la chiamava Eugenio Montale, ma anche «la Sévigné del nostro secolo». Era Lucia Rodocanachi, la «Gentile Signora» (così le si rivolgeva Carlo Emilio Gadda) che prestò il suo talento di traduttrice a tanti amici scrittori: oltre a Montale e Gadda, anche a Elio Vittorini e a Camillo Sbarbaro. Prestò il suo mestiere di «negra», tra gli anni Trenta e Quaranta, per lo più restando nell’anonimato e con una riconoscenza minima. Ne sono testimoni centinaia di lettere inviatele dai suoi illustri interlocutori e accuratamente conservate dalla gentile négresse. Viceversa, le sue, quelle di Lucia, pochi si preoccuparono di conservarle. L’eccezionalità del carteggio che esce ora sta proprio qui, nell’essere un vero carteggio che contiene anche le lettere di Rodocanachi, ed è una voce sorprendente finora oscurata da «pagatori non troppo solleciti» che per anni le chiesero di «buttar giù» in incognito traduzioni da D.H. Lawrence, da Erskine Caldwell e da William Faulkner, a cui poi avrebbero aggiunto, ciascuno a suo modo, una patina poetica. Il carattere di quella collaborazione è ben chiaro in una lettera di Montale, che nel 1942, riguardo al romanzo Green Mansions di William Henry Hudson, scriveva all’amica: «Si potrebbe tradurlo insieme (…). Si potrebbe fare così: tradurlo per conto nostro, senza parlarne a nessuno, e a cose fatte vendere il ms (manoscritto, ndr) a Einaudi o a qualche altro, s’intende col mio nome».
Questo nuovo epistolario ci offre dunque per una volta il privilegio di sentire anche la parte femminile. Titolo: Carissimo Billy, dear Lucky, a cura di Benedetta Vassallo (8tto Edizioni). È lo scambio con Guglielmo Bianchi, poeta, artista, mecenate, dandy giramondo sconosciuto ancora più di lei, nato a Lavagna, in Liguria, nel 1899 e morto nel 1966. Il suo merito maggiore – lo racconta Silvia Falcione – è quello di aver fondato e finanziato (grazie al ricco patrimonio di famiglia) la rivista «Circoli», a cui avrebbero collaborato i maggiori poeti del tempo, a cominciare dallo stesso Montale (il quale nel 1931 scrive a Salvatore Quasimodo che per la rivista «quel Bianchi ha tirato fuori 12000 lire»). Il primo comitato di «Circoli» (che nel nome alludeva ai cerchi concentrici formati dalla caduta di un sasso in acqua) presenta, con Bianchi e Montale, nomi famosi, come Giacomo Debenedetti, Sergio Solmi, Adriano Grande, Camillo Sbarbaro, Angelo Barile. L’apertura alle letterature straniere produrrà, tra l’altro, un numero monografico dedicato alla poesia anglo-americana con la traduzione integrale di Waste Land di T. S. Eliot e la pubblicazione di autori del calibro di James Joyce, Ernest Hemingway, Ezra Pound, Max Jacob, Tristan Tzara. Il 6 marzo 1938, da Parigi, Guglielmo invia a Lucia alcune poesie di W.H. Auden, allora sconosciuto in Italia, chiedendole di tradurle («possibilmente piuttosto alla lettera») e di dargliene un parere, e raccomandandole di non farne cenno a nessuno per assicurarsi la primizia destinata a «Circoli».
Quando la rivista si trasferisce a Roma, Bianchi sente che il progetto iniziale sta venendo meno a vantaggio di un orientamento autarchico. Nell’agosto 1939 Grande lascia la direzione di «Circoli» e pochi mesi dopo se ne decreta la chiusura, come scriverà Lucia in una lettera del 3 novembre 1939 indirizzata all’amico Guglielmo, già all’estero. Bianchi ha pubblicato due raccolte di poesie e un libro di prose; come pittore di buone speranze, ha ottenuto qualche riconoscimento critico ma senza sfondare, e nel 1938 ha dovuto subire l’umiliazione di essere escluso dalla Biennale di Venezia: così, alla fine di quell’anno decide di raggiungere il fratello e stabilirsi definitivamente a Buenos Aires sottraendosi, in una sorta di esilio volontario, alle amicizie e alla ricerca artistica e letteraria. Rimane però la corrispondenza con Lucia.
Lucia Rodocanachi è in verità Morpurgo (cognome da nubile), nata a Trieste nel 1901 in una famiglia agiata: nel 1914 il padre, commerciante di caffè di origini ebraiche, decide di trasferire la famiglia a Genova, dove Lucia consegue il diploma magistrale, coltiva una passione divorante per la lettura e per le lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo), l’amore per la pittura, la decorazione e il ricamo, si iscrive all’accademia d’arte.
Sempre a Genova conoscerà anche Bobi Bazlen, che sarà tra i fondatori di Adelphi, mentre il primo contatto con Montale avviene grazie all’incontro con il futuro marito Paolo Stamaty Rodocanachi, detto Cian, pittore amico di scrittori e pittori (tra cui Oscar Saccorotti), frequentatore e animatore dei più vivaci caffè e centri culturali cittadini. Ben presto Lucia intrattiene rapporti diretti e autonomi con pittori, scultori, scrittori, ne diventa amica e sodale, specie da quando la coppia si sposa e si trasferisce, nel 1930, da Genova ad Arenzano, stabilendosi dal 1934 nella «casa rossa delle agavi» progettata da Cian. Lì la Gentile Signora, forse per rimediare al senso di isolamento e di solitudine, comincia ad accogliere numerosi amici almeno due volte l’anno, nei raduni di Santo Stefano e del Lunedì di Pasqua. Un «libretto dei visitatori» registra, negli anni, oltre agli illustri collaboratori di «Circoli», i molti nomi degli artisti critici poeti di passaggio, tra cui Carlo Bo, Giansiro Ferrata, Henry Furst, Mario Mafai, Giovanni Ansaldo, Elena Vivante, Bazlen, Vittorini, Gadda eccetera. L’isolamento non le risparmia, nel ’43, di essere arrestata per ragioni razziali e portata a Genova, con la minaccia di essere mandata in Germania, ma l’intervento di Cian presso un influente amico di gioventù riuscirà a riportarla a casa.
Nel 1977, un anno prima di morire, intervenendo ad Albisola in un convegno su Barile, Lucia Rodocanachi avrebbe evocato i remoti ritrovi ad Arenzano approntati per dar modo a Montale, venuto da Firenze, dove dirigeva il Gabinetto Vieusseux, di incontrare gli amici liguri. Tra gli immancabili ospiti («in attesa della bufera che stava per travolgerci»), «quel bizzarro e immediatamente dimenticato, fondatore e sovvenzionatore di “Circoli” che fu Guglielmo Bianchi». Accennò ai legami sudamericani dell’amico, ai suoi frequenti soggiorni a Parigi, alla conversazione «brillante, aggressiva e paradossale» di quell’uomo che «sprecò tutte le sue qualità e possibilità senza saperle organizzare e sfruttare». Ricordò il libro di poesie, Sestante, qualche prosa e le poche pitture consegnate ai posteri da Bianchi. Si soffermò su nostalgie e rimpianti, sull’esistenza inquieta e infelice di quell’idealista «furibondo di gloria» (come lo definiva Sbarbaro), diviso tra la sua terra e l’Argentina.
La scelta di strutturare il carteggio per sezioni tematiche non è la più efficace, perché sacrifica lo sguardo progressivo sulla relazione amicale, frammentandola in nuclei non sempre significativi. Delle 113 totali, vengono scelte 34 epistole che coprono l’arco di anni compreso tra il 1936 e il 1947, tagliando la parte iniziale dell’amicizia nata burrascosamente a causa, soprattutto, del carattere fin troppo diretto e provocatorio di Guglielmo. Il quale scrive, per esempio, il 20 dicembre 1937 da Parigi annunciando la pubblicazione in prosa: «A Pasqua il mio libro sarà pronto. Lo ritengo un piccolo capolavoro. Lei mi darà il suo avviso. Non come per la poesia per la quale allora ha avuto acqua in bocca. Segno che lei non l’ha apprezzata troppo». E ancora un mese dopo torna sull’argomento con toni risentiti: «Sestante ha avuto poco interesse per lei ed è anche ammissibile: quello che lo è meno è che lei non abbia avuto il coraggio di prendere posizione quasi temesse che i miei sentimenti nei suoi riguardi possano essere compromessi. Che io non sia un “big poeta” transeat, ma che sia un “little man”, ah questo no».
Fatto sta che lo scambio epistolare tra Lucky e Billy, che passeranno al tu solo verso la fine del ’39, è pieno di suggestioni ambientali e culturali. Quelle ambientali ci restituiscono la quotidianità degli anni della guerra con toni talvolta drammatici, quelli che Rodocanachi riporta all’esule malinconico: «Al caffè causa l’oscuramento ci si va molto meno e si rincasa prima. Anche l’oscuramento nonostante tutte le scomodità ha dei vantaggi per chi ami i piccoli diversivi poiché la notte tous les chat sont gris. Ma quali terribili sorprese per i maschi incauti che agiscono così nell’oscuro. Perché in questo caso, e non solo, è la volontà femminile che predomina. Certo che una città illuminata ci sembra già una cosa del passato (…)». Non di rado gli accenti sono ricchi di colore nel descrivere la piccola bohème locale: una «riviera infestata dai ruderi del futurismo, e da qualche baguttiano che in combutta fanno malinconiche orge».
In genere le lettere non risparmiano sfumature affettuosamente ironiche, quando per esempio Lucia insiste nel chiedere all’amico un invio di ricette argentine e di caffè per sé e per gli amici; e non mancano i reciproci auspici di tornare a rivedersi (Bianchi rientrerà nel dopoguerra quasi timoroso, con lo spirito dello straniero in patria). Ci sono annotazioni di lettura: «Sto cercando le pepite d’oro nelle sabbie di Balzac che ho letto in gran parte». E piccoli squarci di vita: «Eusebio (il soprannome di Montale, ndr) è triste lui pure, tanto che mi scrive spesso, anche per confortarmi. Bobi (Bazlen, ndr) è sempre in via Margutta e vi fa delle cure dietetiche di uva e cipolle che, dice lui, gli rimettono a posto fisico e morale. Per me ci vorrebbe altro». Bobi lo sa, che per lei ci vorrebbe altro. E a un certo punto, per provare a risanare l’amica in chiaro stato di abbattimento psichico, le consiglia di leggere Eliot. E Lucia annota: «Importante passo verso la guarigione».