La Stampa, 9 giugno 2025
Beatrice Monti della Corte: “Ho creato il paradiso degli scrittori. Qui Chatwin veniva a rifugiarsi”
Come Gertrude Stein nella Parigi della Belle Epoque che fece conoscere al mondo l’arte cubista di Picasso e Matisse e fu la promotrice dei romanzi di Hemingway, Ezra Pound e degli scrittori della Lost Generation. Come Madame de Staël, baronessa anche lei, che nella Francia napoleonica ebbe l’ardire, nel suo salotto sul lago di Ginevra, di esaltare il Romanticismo tedesco di Goethe e Schiller.
La baronessa Beatrice Monti della Corte von Rezzori
Beatrice Monti della Corte von Rezzori ha fatto diventare il suo casolare a Santa Maddalena, nel territorio di Reggello, a 30 chilometri da Firenze, nel paradiso della letteratura, nel buen retiro degli scrittori che si rifugiano nella campagna toscana per catturare l’ispirazione e le parole giuste per i loro libri. «Li abbiamo contati in questi giorni. Siamo vicini ai 300. Un bel numero in meno di un quarto di secolo». È da uno dei salotti di Santa Maddalena che la baronessa Monti della Corte, 99 anni che si sentono solo perché la sua vita è stata così avventurosa e piena di incontri con grandi artisti e personaggi eccelsi, che non ne basta una sola per contenere tutto.
Quali sono gli scrittori che ricorda con più affetto?
«Quelli che ricordo di più sono gli ultimi. Accanto a me ora c’è Colm Tóibìn, scrittore irlandese che ha vinto tanti premi ed è un grande amico».
Si ricorda il suo primo ospite?
«Me la ricordo molto bene. Era Anita Desai, scrittrice indiano-germanica che qui trovò ispirazione per i suoi Racconti. Subito dopo venne Tòibìn. Scelgo io gli scrittori da invitare, sono una lettrice appassionata e i miei gusti fanno la selezione».
Emmanuel Carrère disse la stessa cosa. Non c’è un algoritmo o una reception on line per essere accolti nel suo paradiso degli scrittori.
«Carrère è mio amico da 15 anni. Viene spesso, ma non in maniera regolare, arriva quando può e quando vuole. Chiede se c’è posto, non lo fa mai sapere, non ama la propaganda e non vuole vedere nessuno».
Ha inaugurato la Biblioteca del Bosco, uno dei suoi sogni e di suo marito Gregor von Rezzori?
«Non l’abbiamo ancora inaugurata, è finita, più o meno e la mostriamo agli ospiti. Ho un bravissimo direttore, Pablo Moret, parla sette lingue, insegna all’Università ed è un grande specialista di libri. Era un sogno mio e di mio marito. Avevamo il permesso di costruire in quella zona, che non era particolarmente bella, c’erano degli alberi mingherlini. Ma l’esposizione è splendida, mi sembra guardi ad ovest, non sono mai precisa in queste cose».
Perché tanti anni per realizzare quel sogno?
«Non pensavamo di fare una cosa così grande, volevamo una biblioteca come archivio. Intanto il tempo passava, Grisha è morto, come sa le sue ceneri riposano nella piramide nel giardino. In un anno abbiamo fatto una bella costruzione, abbiamo tagliato quegli alberi e abbiamo aperto un panorama meraviglioso».
C’è la cinquina di finalisti del premio 2025. Chi è il favorito tra Kaveh Akbar, Jenny Erpenbeck, Ferdia Lennon, Adam Thirlwell e Leo Vardiashvili?
«Lo saprà come tutti gli altri, tra due giorni».
È contenta del Pegaso d’oro che le ha conferito la Regione?
«Mi sorprende un po’. Ho visto che il primo premiato è stato Gorbaciov. Non ho molto in comune con lui, sicuramente ho meno potere. Meno male che non era Putin. Sono molto onorata del premio, amo molto questo territorio».
Che cosa è per lei la letteratura?
«Ho avuto la fortuna di crescere a Capri. Quando ero piccola era magnifica, era piena di scrittori, artisti, attori. Ero una ragazzina molto curiosa, Moravia, Elsa Morante e gli altri mi hanno adottata, come un cagnolino li seguivo ovunque. I libri sono stati i miei amici da sempre, mi hanno aiutato quando ero sola in una grande casa, con mio padre e la sua seconda moglie, dopo la morte di mia madre. Sono con me quando sono felice e anche quando sono triste».
Il paradiso degli scrittori nasce dopo i suoi anni da gallerista a Milano?
«La galleria era un luogo fantastico, tutti i grandi artisti volevano esporre lì, da Jasper Johns a Cy Twombly e Bob Rauschenberg. Pittura e letteratura hanno tante cose in comune, per questo ho sposato Gregor von Rezzori, un ottimo scrittore. A lui non piaceva stare a Milano, così trovammo questo posto che era il contrario del Chianti. Isolato, ma non troppo perché io dovevo andare spesso a Milano, e Firenze è vicina. La casa era del ‘600 e apparteneva ai Guicciardini, ma era tutta da rifare. Ci ha aiutato l’architetto Marco Zanuso. Comprammo anche la torre che è diventata un simbolo. Io e mio marito eravamo ospitali, tanti scrittori vennero subito a Santa Maddalena. Dopo la morte di Gregor, che mi aveva dissuaso dal “diventare una vedova triste”, ho allargato la cerchia di scrittori».
Ha portato anche fortuna a tanti autori.
«Sono nate tante amicizie, diversi progetti in comune. Molti mi hanno confessato di aver superato blocchi creativi venendo qui».
Sicuramente è successo a Isham Matar.
«È stato il primo scrittore che ha vinto il premio von Rezzori. Non cerchiamo autori celebri, puntiamo sui talenti nascosti. Isham Matar è tornato altre volte, qui ha imparato ad amare l’arte. Decise di passare un mese a guardare due quadri alla Pinacoteca di Siena, dopo essere stato da noi. E poi lo ha raccontato in Un punto d’approdo».
Cosa ricorda di Maaza Mengiste?
«Una scrittrice bravissima, intelligente. Con lei ricordavo i miei viaggi in Etiopia da bambina con mio padre e Curzio Malaparte. Purtroppo abbiamo perso due giurati del premio, dopo Ernesto Ferrero è scomparso anche Edmund White pochi giorni fa. Era un mio grande amico, è lo scrittore americano che ha dato voce alla comunità gay, era come un membro della famiglia, con un occhio acuto sulle cose e un bell’appetito a tavola. Una grande perdita, Maaza Mengiste ha preso il suo posto nella giuria».
Non può non citare Bruce Chatwin, alla fine.
«Era un amico personale, mio e di mio marito. Ha passato dieci Natali di seguito qui a Santa Maddalena, si fermava dopo i suoi viaggi. Ho una casa in Grecia, Bruce veniva anche lì. Ha passato un inverno nella torre, dove ha scritto On the black hill. È stato il primo a dirmi che la torre era un luogo magico, era il suo ricordo talismano quando, in Africa, si trovava in mezzo a qualche guaio».