il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2025
Genova, l’incubo prescrizione pesa sul processo Morandi-bis
La strage del Ponte Morandi ha dato vita, finora, a due maxi-processi: il primo riguarda i 43 morti del disastro di Genova e la manutenzione non fatta sul viadotto; il secondo le presunte falsificazioni su centinaia di altri viadotti, gallerie e barriere autostradali. È in quest’ultimo fascicolo, insomma, che sono state radunate le prove di quello che sarebbe una condotta sistematica della concessionaria Autostrade per l’Italia (Aspi) negli anni prima del 2018. Ma dei due procedimenti è proprio questo quello che rischia di essere nato morto. Una profezia che circola da tempo nei corridoi del palazzo di giustizia genovese: per bene che vada la prescrizione, attesa per il 2030, cancellerà tutto. Ma questa non è l’unico argomento che grava sul destino del processo.
Per dare una risposta ai familiari delle vittime, il tribunale ligure ha messo in campo risorse senza precedenti. Per evitare la prescrizione il processo principale è andato avanti a tappe forzate: tre udienze a settimana. Il dibattimento, cominciato nel luglio del 2022, si è chiuso questa primavera, in meno di due anni. Un risultato miracoloso, se si considerano la mole di atti e il numero degli imputati (58), che ha però un rovescio della medaglia: per salvare il processo più importante ed esposto mediaticamente, sono stati sacrificati migliaia di processi ordinari. Una scelta strategica contestata anche dall’ordine degli avvocati.
È la realtà quotidiana della giustizia italiana: la coperta è corta. Un dato di fatto con cui deve fare i conti anche il processo gemello del Morandi. La verità, che nessuno può ammettere ufficialmente, è che un tribunale come Genova, pur di dimensioni medio-grandi, non si può permettere di celebrare due processi simili in contemporanea. Non solo per mancanza di risorse ma anche per ragioni pratiche: gran parte degli avvocati e degli imputati coinvolti sono gli stessi. Dunque, se il processo principale arriva in fondo solo con un ritmo forsennato, non si può pensare che anche il secondo viaggi alla stessa velocità. Infatti in questo caso le udienze fissate finora sono state una al mese. Per forzare i ritmi sul secondo occorrerebbe in sintesi attendere che il primo sia finito. Ma la sentenza di primo grado per la strage del viadotto è attesa non prima della metà del 2026.
A complicare lo svolgimento del processo Morandi bis ci sono però anche altre questioni. La prima riguarda la competenza territoriale: per molti difensori ogni singolo reato dovrebbe essere giudicato da un tribunale diverso. La seconda è l’esclusione come responsabile civile proprio dell’attore principale a cui guardavano le parti civili: Aspi. La contestazione dei pm è di aver ridotto la rete in condizioni critiche perché per anni non è stata fatta un’adeguata manutenzione. Il degrado sarebbe stato mascherato con rapporti copia-incolla, configurando così migliaia di reati di falso.
Autostrade per l’Italia – che oggi ha cambiato proprietà, passando dal gruppo guidato dalla famiglia Benetton alla cordata guidata da Cdp – è riuscita a essere esclusa dal processo penale grazie a un appiglio procedurale: durante le acquisizioni informatiche dei documenti la società non era rappresentata come responsabile civile, ma solo per la responsabilità amministrativa. Per quest’ultimo aspetto Aspi ha già patteggiato. Va detto però che la posta in gioco, per le parti civili, potrebbe essere un’altra: un eventuale verdetto di colpevolezza in primo grado potrebbe bastare per avviare, un domani, delle azioni civili, anche contro la società, esclusa in sede penale.
C’è infine un’ulteriore incognita. Da tempo è aperta a Roma una terza costola dell’inchiesta. I pm capitolini ipotizzano falsi in bilancio e reati finanziari nei confronti di alti manager di Aspi. In questo fascicolo, come negli altri, è coinvolto l’ex ad Giovanni Castellucci. La contestazione riguarda presunte distrazioni degli introiti dei pedaggi: lo Stato li riconosceva ad Aspi per effettuare investimenti sulla rete, ma la società li usava per pagare ricchi dividendi agli azionisti. Questa tesi, ragionano alcuni difensori, potrebbe essere parzialmente in contraddizione con quella portata avanti nel processo bis, perlomeno nei confronti di alcuni imputati: a Genova si contesta a funzionari e tecnici di non aver fatto le manutenzioni, a Roma che i vertici societari sottraevano i fondi necessari dai bilanci. Un potenziale cortocircuito. Il processo bis genovese ha di fronte a sé una lunga strada in salita, senza più il soggetto principale: la società per cui lavoravano gli imputati.