il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2025
Fanfani gran bigotto, Craxi “Referendux” e l’Italia battiquorum
Caltanissetta, 26 aprile 1974. Nella piazza principale della città siciliana, Amintore Fanfani sferza la folla con voce roboante: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”. Lo racconta un giovane Antonio Padellaro, lo scoop sul Corriere della Sera indigna (e diverte) l’Italia che vive gli ultimi sussulti di una esasperata campagna referendaria dove ogni colpo è permesso. Infagottati di perbenismi, i messaggi dei comizi devono essere forti e diretti. Come nel ’48, quando le attiviste democristiane cantavano “sempre col papa sino alla morte/che bella sorte”. Mancano infatti soltanto sedici giorni al primo referendum della Repubblica, dopo quello storico ed istituzionale del 1946, quando gli italiani (e le italiane, per la prima volta ammesse alle urne) cancellarono il regno sabaudo. Per ventotto anni, la Dc sempre al governo ha eluso questo strumento di consultazione popolare, preferendo ricorrere al compromesso. Stavolta, è cruenta battaglia civile. Anzi, un vero e proprio test etico-politico.
Dal palco nisseno, il potente segretario della Dc trasuda moralismo, suggella la sua campagna per annullare la “diabolica” legge 898 sul divorzio, approvata all’alba del primo dicembre 1970, dopo un’interminabile seduta parlamentare. È il più autorevole portavoce del Comitato promotore che chiede di abrogare la legge “dannata”, capitanato da Gabrio Lombardi, col pieno sostegno dell’Azione Cattolica, dei vescovi, degli integralisti cattolici, di gran parte della Dc e dei missini di Giorgio Almirante, il quale ha arruolato pure i monarchici e ha tappezzato i muri d’Italia con manifesti che anticipano certi toni odierni: “Contro gli amici delle Brigate Rosse il 12 maggio vota sì”. E tuttavia, Fanfani che depreca la permissività (“vedremo se sarete dalla parte di Dio…”), a sua insaputa, è persino preveggente…
Perché l’Italia è cambiata. Se ne è accorto persino Paolo VI, il papa, che avrebbe voluto evitare il referendum, costretto la domenica del voto, dal Palazzo apostolico, ad affidare alla Madonna la scelta degli italiani. È tardi, però. Il Sessantotto, infatti, ha lasciato tracce profonde, anche tra il clero (e i cattolici democratici), come “un rasoio che separò il passato dal futuro” (Time), confine cruciale di un irreversibile processo di evoluzione: nel costume, nella società, nei diritti reclamati. La crociata fanfaniana naufragò: l’affluenza fu record, 87,7%. La pur compassata Stampa titolò correttamente “L’Italia è un paese moderno”, aveva vinto il “no” col 59,3%. Anche in Sicilia, nonostante gli sforzi di Fanfani. Che si dimise da segretario Dc. Giorgio Forattini disegnò una formidabile vignetta, sulla prima pagina di Paese Sera: da una bottiglia di champagne salta il tappo. È Fanfani…
Che i referendum possano dimostrarsi perfidi politicamente, è una realtà assodata. Chiedere a Matteo Renzi. Che ci rimise nel dicembre del 2016 faccia e potere. Dovette mollare Palazzo Chigi e rintanarsi per un po’ a Rignano sull’Arno, per ripigliarsi dal ceffone del voto popolare: aveva chiesto agli elettori se approvare o meno la riforma costituzionale proposta dal suo governo in cui si prevedeva, tra l’altro, la soppressione del bicameralismo paritario, la riduzione dei parlamentari, la soppressione del Cnel. Aveva trasformato il referendum in una sfida, si ritrovò solo contro tutti, o quasi. Perse clamorosamente, il “no” sfiorò i venti punti di vantaggio. Si dimise poche ore dopo.
Passo indietro. 1981, il quesito clou riguardava l’interruzione di gravidanza (abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto per rendere più libero il ricorso) proposto dai radicali ai quali si contrappose il Movimento per la vita che invece chiedeva norme più restrittive. Affluenza 79,4%: indizio che gli italiani, ma soprattutto le italiane, non sottovalutarono il problema. Vinsero i radicali. Poi nel 1985 andò in scena una resa dei conti all’interno della sinistra. Il governo Craxi aveva tagliato l’indennità di contingenza (20mila lire, mica noccioline). Il Pci di Natta, appoggiato dalla Cgil (allora il segretario era Pizzinato), vuole abolire la norma. Il Pci perse. Craxi gongolò. Sempre Forattini disegnò un Bettino in orbace. Titolo della vignetta: “Referendux”. Erano gli anni di gloria di Marco Pannella, il “grande diverso” della politica italiana, il partigiano delle sfide civili, promotore instancabile di referendum. Faceva sponda spesso con il leader Psi, sui temi che mandavano in bestia i democristiani (nonostante Cossiga) e i comunisti che si sentivano scavalcati sul fronte dei diritti civili e della revisione di alcune delicate questioni, come l’abrogazione delle norme limitative della responsabilità civile per i giudici che Craxi and company volevano. Uno dei suoi cavalli di battaglia era il fronte antinucleare. Riesce a convogliare Arci, Democrazia proletaria, Verdi, Sinistra Indipendente (3 quesiti, 1987). È un successo. Peccato che i giudici della Corte costituzionale, dieci mesi prima, avessero dichiarato inammissibili due referendum sulla caccia, un tabù italiano.
Non erano ancora i tempi del quorum – e del “battiquorum” che agita le attuali consultazioni. Le affluenze erano imponenti. E tuttavia, su alcuni temi (sicurezza, porto d’armi), gli sforzi radicali si sono infranti contro l’opinione pubblica scossa dal terrorismo, dal caso Moro, dalla paura dell’immigrazione (sollecitata dalle destre). Mani Pulite, poi, sancì la fine del craxismo e della Prima Repubblica, anche con lo strumento del referendum. Come quello promosso dal partito radicale e da Mario Segni il 18 aprile 1993. Si doveva decidere, per esempio, della sorte di tre ministeri. Del finanziamento pubblico ai partiti. Del sistema elettorale del Senato. Fu un j’accuse contro l’intera classe politica. In alcuni casi, il “sì” superò il 90%. Ma ormai la lotta referendaria si stava trasferendo dalle piazze agli schermi di tv e pc. Addirittura nel 2011 gli italiani votarono per la gestione pubblica dell’acqua, ma il referendum fu ignorato da tutti i governi, rimase… acqua morta. Oggi, è l’era del social referendum. Tutto passa dai podcast, da Instagram, Fb, X, Telegram, Mastodon. Ma la sostanza è la stessa del 1974, a cominciare dagli illeciti inviti all’astensione, vietati in caso di referendum. In ultima analisi, ci manca Pannella. E i suoi scippi di verità.