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 2025  giugno 08 Domenica calendario

Intevista a Brunori Sas

Facciamo il ritratto di Brunori...
«Aspetti che mi metto tipo Maja desnuda, oppure sdraiato qui sul divano mentre mangio l’uva come gli antichi romani...».
Una chiacchiera con Dario Brunori, cantautore nel senso classico del termine – «Dicono che le mie canzoni assomigliano a quelle di De Gregori? Mi fa piacere... È come dire a un calciatore che le sue giocate ricordano quelle di Platini» – oscilla fra profondità e ironia.
Scherzi a parte, come si vede?
«In pace con buona parte di quelle problematiche che mi facevano vivere con ansia e senza riuscire a godermi le cose. E anche sereno perché ho fatto un percorso, dagli esordi a qui, con le stesse persone: è un valore. Sento di compartecipare a un mondo musicale più largo, pur preservando lo spirito genuino degli inizi. Non tanto perché non ho tradito i principi della scena alternativa, ma perché non ho cambiato la mia natura. Temevo che il non prendersi sul serio non rispettasse dei codici definiti».
Lo scherzo al Quirinale
L’ironia è nel Dna?
«Viene da mamma. Però devo stare attento alla misura. Un po’ come Ricky Gervais, uno dei miei stand up comedian preferiti... lui dice che anche a fronte del dramma di un funerale non resiste alla battuta. A me serve per scaricare la tensione, non per essere dissacrante».
Non ha resistito nemmeno di fronte a Mattarella...
«Alla cerimonia dei David 2024 al Quirinale all’annuncio della nomination di Liberato, artista di cui nessuno conosce l’identità, ci siamo alzati io e Diodato...».
Sanremo e il brano sulla figlia
Sanremo le ha dato una nuova popolarità con un brano su sua figlia, il massimo del nazionalpopolare...
«Sono il primo a dire “che ruffiano”. La dedica e basta sarebbe stata retorica e ruffiana. C’è la mia compagna, ci sono io, c’è la Calabria».
Come è nata «L’albero delle noci»?
«Proprio dall’albero di noci che sta davanti a casa e che, poeticamente, credo contenga tutte le mie canzoni. I detrattori adesso lo taglieranno... Durante il Covid sembrava non volesse fare foglie e la rivoluzione della nascita di Fiammetta mi ha dato la suggestione per poi parlare di un concetto più ampio: le radici, il passare del tempo».
È arrivato al successo tardi...
«C’è speranza per tutti. Il tempo lento aiuta. Mi sono fermato a ogni gradino invece che avere un exploit. La cotta dura come una vampata, l’amore lavora nel tempo».
Non suona maschio alfa, per citare un suo brano...
«Mi rivedo più nei personaggi maschili di Troisi...».
Lui però nella vita privata era un latin lover...
«Io sono sempre stato timido. Aspettavo troppo per farmi avanti e alla fine superavo il limite del troppo amico».
Il sesso è un tema da storia della canzone. Lei però lo smitizza («La tensione erotica in una coppia di lunga data/ tende a scemare, è una cosa normale») direttamente davanti alla sua compagna, Simona Marrazzo, che suona nella sua band...
«Una delle ragioni del nostro legame è che certe connessioni le abbiamo trovate più con una canzone che con il confronto quotidiano. Quando le ho fatto ascoltare per la prima volta Per non perdere noi mi sono girato di spalle. Le sono scese lacrime, ma lacrime belle. Se hai pudore nello scrivere le canzoni, quelle belle non ti vengono».
Il lavoro come cassiere e le musiche per cartoni animati
Gli esordi?
«Finita l’università, Economia e Commercio a Siena, bivaccavo in Toscana: cassiere della Siena Parcheggi e musica per cartoni animati».
Concorrenza a Cristina D’Avena?
«Grazie a un forum che risale agli albori di internet avevo conosciuto Andrea Zingoni, artista di visual art e cyberpunk nonché inventore di Gino il Pollo, il primo contenuto virale in Italia. RaiPlay gli commissionò una serie ispirata ai classici del cinema e io mi occupavo delle musiche e della sonorizzazione».
La morte del padre
La musica «seria»?
«Su quello stesso forum ero entrato in contatto con il mio attuale manager Matteo Zanobini. Fondammo una band, i Blume: io suonavo la chitarra e scrivevo le canzoni. Ero già grandicello...».
A 30 anni muore papà...
«Scappo giù e mi occupo della ditta di mattoni di famiglia, la vera Brunori SAS. Da musicista a venditore di mattoni. Mio padre avrebbe voluto che portassi avanti la tradizione mattonara, e adesso lo faccio con canzoni pesanti come mattoni... Allora pensai che fosse finita con la musica, ma Zanobini mi convinse a scrivere: vennero canzoni come uno sfogo e a 32 anni feci il primo disco. Andavo in giro solo, senza band, mi bastava l’idea di fare qualche birreria a Parma...».
Il tour nei palazzetti, due concerti con orchestra (17 giugno Circo Massimo e 3 ottobre Arena di Verona)... Da Brunori Sas a SpA?
«Sogno una SpA che si quoti in Borsa con conseguente crac finanziario e fuga... In realtà voglio rimanere Sas, una società di persone e non di capitale».
Il vino naturale in Calabria
Nelle ultime canzoni racconta la crisi di mezza età...
«La crisi la viviamo tutti e credo sia ormai cronicizzata, dai 40 anni in avanti ci siamo dentro tutti: siamo dei post-adolescenti cronici. Io la vivo con gioia e ironia e non con senso di colpa. Faccio pure attività fisica... Ho perso dieci chili e sono fiero di aver recuperato il mio corpo che ho maltrattato per anni. Giocavo con lo stereotipo dell’uomo de panza e del cantautore gucciniano, nel senso di buongustaio e vignaiolo. Jovanotti mi ha fatto capire che la fragilità del corpo si scopre con l’età: ero terrorizzato dall’idea di non reggere il ritmo di Sanremo. Mi sono rimesso in forma e ho scoperto la bellezza di stare bene, senza perdere il lato godereccio».
Vignaiolo lo è veramente.
«Ho registrato il mio quarto disco nella cantina di amici in Calabria. Grazie a loro ho scoperto il mondo del vino naturale e mi sono salvato il gusto. Non riuscivo più a bere vino bianco perché mi dava bruciore allo stomaco... Durante la pandemia siamo diventati soci e la sede della cantina “Le Quattro Volte” è anche il mio quartier generale musicale».
Che papà è?
«Uno che cerca di tenere fede a una visione, che prova a creare un’atmosfera giocosa e scherzosa, che vuole trasferire energia e creare un milieu in cui costruire qualcosa di educativo. Voglio vivere questo rapporto con Fiammetta come uno scambio, capire come vede lei le cose, spiegarle quelle che non avevo capito io. Però devo essere papà, cioè un riferimento, in alcuni casi anche una figura da contrastare, non un amico».
Lei vive a San Fili, comune di 2500 anime in provincia di Cosenza: idolo del paese?
«Ho capito che tanti mi hanno scoperto a Sanremo e adesso nel bar tutti vogliono la foto. Sono una star locale. Non vedo l’ora del gelato alle noci Brunori, della torta Brunori...».
Quanto è calabrese?
«Lo sono nell’approccio sanguigno a quello che faccio. Nella musica è in quella veemenza del live dei primi anni che ho ripreso inserendo un momento metal nel tour: sembro un tarantolato. Sono calabrese nello sguardo alle cose: c’è il disincanto e il desiderio di rivalsa di un Sud marginale e di provincia. Non mi sento calabrese, invece, quando la fierezza diventa un campanilismo che nasconde fragilità oppure finisce per essere un elemento che esclude».
Il quadro è troppo elogiativo. C’è un Brunori odioso?
«Lo nascondo a scopo marketing... Dovrei fare video in cui picchio qualcuno per uscire da questa immagine di buonismo parrocchiale».