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 2025  giugno 08 Domenica calendario

Emergenza salari, perché in Italia il lavoro è povero: strategie aziendali basate sulla compressione dei costi e sempre più precariato

I bassi salari italiani, il loro declino di lungo periodo, e il peggioramento delle condizioni lavorative nel nostro paese appaiono in tutta evidenza come una vera e propria emergenza economica e sociale. Il recente volume collettaneo “Lavoro e salari in Italia“, curato da chi scrive e edito da Carocci, fornisce un quadro approfondito ed empiricamente ben documentato degli aspetti quantitativi e qualitativi di questa emergenza, partendo da un’analisi delle diverse fragilità della struttura occupazionale italiana e delle cause che sono alla base dei bassi salari e della crescita del lavoro precario. Si mette altresì in evidenza come tali problematiche, oltre che dipendere da elementi specifici del contesto economico e istituzionale italiano, siano da connettere anche a forze e tendenze che agiscono su scala globale.
Con riferimento a queste ultime, bisogna ricordare come la storia economica di questo inizio di nuovo millennio è stata contrassegnata da profonde crisi su scala globale, da un rallentamento della crescita economica, degli investimenti (reali) e della produttività (in particolare nel continente europeo), da una iper-finanziarizzazione dei processi di accumulazione e da una crescente instabilità e conflittualità delle relazioni economiche internazionali, entrambe accentuate dalla prepotente ascesa di nuove potenze economico-produttive che hanno sottratto quote di mercato alle aree di più antica industrializzazione. Queste crisi, tensioni e difficoltà si sono scaricate sul mondo del lavoro, in particolare sui salari e sulle “condizioni d’uso” della forza lavoro, grazie anche a un trentennio di politiche neoliberiste che hanno favorito processi di deregolamentazione e delocalizzazione produttiva su scala globale che hanno messo in concorrenza i lavoratori delle economie più sviluppate con quelli dei paesi di nuova industrializzazione.

Se quelle citate sono tendenze globali della recente storia del capitalismo contemporaneo, le condizioni in cui versa il mondo del lavoro presentano elementi di specificità nei diversi contesti economici nazionali. In particolare, il contenimento della crescita, e in alcuni casi, la riduzione dei salari sono state più marcate nei paesi caratterizzati da strutture economiche più deboli e collocate in posizione subalterna rispetto a quelle dove si concentrano saperi, tecnologie, capitali finanziari. Nei paesi e nelle aree capitalisticamente più deboli la così detta “svalutazione interna” (ovvero la riduzione o il contenimento del costo del lavoro) ha costituto spesso la via principale per mantenere la competitività delle produzioni. Il declino di lungo periodo dei salari in Italia può essere quindi letto alla luce di questo quadro interpretativo, ovvero come il risultato della combinazione delle tendenze del capitalismo contemporaneo sopra richiamate e di una somma di fragilità specifiche della struttura economica e occupazionale del nostro paese, fragilità aggravate da un contesto di stagnazione economica e bassa crescita della produttività e da politiche economiche che non sono state in grado di indirizzare il sistema produttivo verso settori ad alto valore aggiunto. I contributi contenuti nel volume, organizzati in tre sezioni principali, entrano nel merito di queste fragilità, dei loro riflessi sui salari, sulle condizioni lavorative e sul ruolo svolto dalle politiche.
La prima sezione si focalizza sull’analisi strutturale delle determinanti dei bassi salari in Italia, diminuiti dal 2000 al 2023 dell’8,1%, a fronte di una crescita media del 5,3% nell’Eurozona. La contrazione dei salari reali in Italia è stata particolarmente accentuata nel settore terziario e in particolare nei servizi a più basso valore aggiunto. I diversi capitoli di questa sezione mettono in luce come la struttura occupazionale italiana, in combinazione con una specializzazione produttiva focalizzata su settori a media tecnologia e contenuto di conoscenza, contribuisca a mantenere bassi i salari e a promuovere strategie aziendali basate sulla compressione dei costi piuttosto che sull’innovazione e la qualità dei prodotti e processi produttivi.
La seconda sezione del volume analizza in profondità la composita area del “lavoro povero” in Italia. I diversi contributi evidenziano come la riduzione dei salari reali in Italia sia da attribuire in maniera prevalente alla crescente precarizzazione del lavoro, e in particolare al diffuso utilizzo di contratti a tempo parziale e determinato. Le statistiche indicano che la povertà lavorativa ha un chiaro connotato di genere: le donne sono particolarmente colpite, con il 19,2% delle lavoratrici a basso salario rispetto al 10,5% degli uomini. Si sottolinea inoltre come una corretta analisi della povertà lavorativa debba considerare tanto i redditi familiari quanto le condizioni individuali, ponendo particolare attenzione alle lavoratrici, spesso penalizzate in termini di avanzamento economico e vulnerabilità sociale.
La terza e ultima sezione del volume affronta il ruolo delle politiche pubbliche e delle relazioni industriali. Viene dato ampio spazio alla discussione sull’efficacia delle normative vigenti e sul potenziale impatto di un salario minimo legale come strumento per contrastare il lavoro povero. Si evidenziano anche i limiti di tale misura se non accompagnata da riforme complementari, come l’introduzione di nuove norme sulla rappresentanza sindacale. L’analisi suggerisce la necessità di ridefinire il quadro legislativo e istituzionale per rafforzare la posizione contrattuale dei lavoratori e promuovere una maggiore equità salariale.
Pur nella varietà dei punti di vista i vari contributi del volume sembrano convergere su strade da intraprendere per invertire il declino salariale e migliorare le condizioni lavorative in Italia: risulta prioritario ridare slancio alla produttività, connettendola tuttavia in maniera stringente ad un innalzamento della qualità e del contenuto di conoscenza delle produzioni; occorre ridurre il nanismo del tessuto produttivo e dare avvio a cambiamenti nel quadro politico-istituzionale in grado di ridare diritti, tutele, voce e forza contrattuale al mondo del lavoro.