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 2025  giugno 08 Domenica calendario

«Io, un marziano in Rai tra scoop e burocrazia»

Dal 3 giugno 2023 Gian Marco Chiocci è il direttore del Tg1, fortemente voluto da Giorgia Meloni. Da allora di lui e del suo lavoro si è detto di tutto («TeleMeloni», «Informazione di regime», «Burattino del premier» etc.), lui ha replicato adottando il profilo basso non ha mai parlato continuando a lavorare a testa bassa. Sul fronte dei risultati, il Tg1 ha retto, ha fatto anche grandi ascolti (grazie alle dirette sulla morte del Papa e il Conclave, i reportage dai fronte russo-ucraino, le interviste esclusive etc.) e da sette mesi è in netta crescita come hanno certificato i dati diffusi due giorni fa. Romano, 61 anni, quattro figli, Chiocci prima di arrivare a Saxa Rubra ha diretto con buoni risultati l’AdnKronos (2018-2023), il quotidiano Il Tempo (dal 2013 al 2018 l’ha praticamente resuscitato) e prima ancora per il Giornale ha firmato decine di celebri inchieste come Affittopoli (sfrattò Massimo D’Alema) e quella sulla famigerata casa di Montecarlo che travolse l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, e le sue ambizioni politiche.
È vero che Vittorio Feltri la chiamava “inviato immobiliare”?
«Sì. Il direttore, il mio maestro, mi prendeva in giro così. Con le case me la cavavo...».
E dopo due anni com’è il bilancio da direttore Rai?
«Esaltante, la macchina del Tg1 ha una forza pazzesca, ma anche – diciamo così – molto complicato».
Perché?
«La Rai è un mondo a parte, ha regole e riti che non esistono altrove, spesso incomprensibili per chi – come me – viene da fuori. Ho dovuto studiare tanto, prima e dopo: in tv non avevo mai lavorato».
Sia sincero: ne ha trovati parecchi di traverso?
«No, ma il fatto di essere un esterno – figura quasi mitologica in Rai – ha sicuramente moltiplicato le diffidenze. Il problema diventa serio quando uno che viene da fuori si scontra con la burocrazia, i sindacati e le cordate di vario tipo e colore».
A proposito, lei a gennaio è andato al congresso dell’Usigrai, il sindacato di sinistra dei giornalisti Rai, dicendo di sentirsi un marziano: era una sfida?
«No. Ho detto soltanto che, a prescindere dalle idee politiche, lavorare insieme è possibile ma un sindacato non può più andare avanti così, deve rinnovarsi, aprirsi. Anche per l’Usigrai serve una svolta epocale. Perché in Rai ci sono inefficienze insostenibili e privilegi inaccettabili».
Fa qualche esempio?
«C’è tanta gente che pretende una promozione solo perché in dieci anni non l’ha mai avuta. Oppure non si corre per una emergenza perché non ci sono troupe a sufficienza o perché un tecnico è andato a mangiare e non può essere disturbato. Se fuori dalla Rai per risolvere un problema basta una telefonata, qui bisogna seguire regole burocratiche assurde, mandare duecento mail, parlare con venti funzionari. A me da giornalista alla fine interessa solo fare buona informazione, veloce, ma per tanti in azienda questa è l’ultima preoccupazione».
Molti dicono che la faccia in maniera squilibrata: cosa risponde?
«(Sorride, ndr). Parlano per il mio Tg1 i numeri di istituti indipendenti come l’Osservatorio di Pavia e l’Agcom: politicamente siamo il tg più equilibrato. In alcune occasioni siamo arrivati a dare più voce all’opposizione che alla maggioranza, facciamo parlare partiti minori mai considerati. Questa storia di TeleMeloni non sta in piedi. Anche perché, numeri alla mano, è per il passato che si può parlare davvero di TeleRenzi, TeleConte, TeleGentiloni e anche TeleDraghi. In due anni il Tg1 ha intervistato la premier tre volte. Vogliamo contare gli altri premier? Sono fatti».
La svolta epocale di cui parlava al Congresso dell’Usigrai come dovrebbe iniziare?
«In quell’occasione il dibattito si è animato proprio su come oggi in Rai si fa informazione politica, come se scoprissero solo ora che in Rai si fa in maniera particolare. Per questo ho invitato il sindacato a fare un convegno per andare oltre certe logiche. Ho citato i sonori dei politici che mi arrivano, filmati autoprodotti che se non li mando in onda vengo sommerso dalle pressioni».
Tipo?
«"Se non mi passi quel sonoro, ti scateno una batteria di dichiarazioni contro il Tg1”. Ecco perché si fa ancora il pastone politico».
Faccia qualche nome.
«Non c’è bisogno. Comunque non parlo solo di un caso».
Politici di che colore?
«Tutti i colori, più di sinistra che di destra. Ecco perché mi viene da ridere quando sento parlare di “politica fuori dalla Rai”. Ancora aspetto che l’Usigrai risponda al mio invito».
L’8 agosto entra in vigore l’European Media Reform Act, la legge europea che vuole tutte le tv di Stato libere dal controllo di Governo e Parlamento, i quali dovranno anche garantire una pianificazione economica: mancano due mesi, la politica ce la farà?
«Stando là dentro la vedo complicata. Questa cosa si sarebbe dovuta fare dieci, venti e anche trent’ anni fa».
In due anni si è piegato alla regola delle promozioni forzate?
«No. Ho fatto crescere soltanto chi, secondo me, lo meritava».
La sua foto sarà piena di freccette in chissà quanti stanze.
«Non lo so. Mi piace lavorare, ho sempre cercato di fare squadra e di portare a casa i risultati. Come con i social: quelli del Tg1 sono da mesi primi per visualizzazioni fra quelli d’informazione. E poi oggi il Tg1 fa scoop che prima erano davvero merce rara, da Garlasco a quello dell’inviata Stefania Battistini in Kursk (la collega è ancora ricercata dai russi, ndr)».
Oggi torna su Rai1 Pino Insegno con “Reazione a catena”, di cui lei si è spesso lamentato perché facendo pessimi ascolti non faceva da traino al Tg1: che ne pensa?
«Non ce l’ho mai avuta con lui, in passato ho solo detto che le cose non andavano bene, proprio come gli altri fanno a volte con me. Stavolta mi hanno garantito che Insegno andrà bene, speriamo sia così».
Il cda Rai del 5 giugno ha nominato la vicedirettrice del Tg1 Incoronata Boccia capo ufficio stampa della Rai: lei è la stessa che un anno fa disse in tv “l’aborto non è un diritto, è un crimine”. Intervento di cui lei si lamentò: contento?
«Non mi sono lamentato, mi sono solo raccomandato con lei e con tutti i miei redattori di essere prudenti perché lavorando al Tg1 ogni parola può essere strumentalizzata. Boccia è brava e ha accettato un incarico importante».
Per la famosa intervista a Sangiuliano le regole d’ingaggio come le avete stabilite?
«Niente di particolare. L’ho chiesta, l’abbiamo fatta. Sfido chiunque a dire che non gli abbia chiesto tutto quello che serviva. Infatti tutti i miei colleghi direttori mi hanno fatto i complimenti, tutti tranne uno che rosica sempre».
Un collega direttore di tg?
«No comment».
Da quando è al Tg1 spesso si parla di contrasti con l’attuale ad Giampaolo Rossi: conferma? Non neghi perché non ci crede nessuno.
«Ci sono stati momenti in cui ci siamo confrontati su alcuni temi, ma senza scontrarci. Lui fa il suo, io faccio il mio. Nessun problema».
L’ad Rossi pochi giorni fa ha dato il via libera al documento che ridefinisce il raggio d’azione della Direzione editoriale per l’offerta informativa, guidata da Monica Maggioni. In pratica, sulla carta l’ex direttrice del Tg1 controlla tutta l’informazione Rai: Sangiuliano corrispondente a Parigi, per esempio, è una decisione sua o della Maggioni?
«Mia, no. Sangiuliano però è una risorsa Rai, aveva i requisiti e sta facendo bene. È tutto a posto».
Questo superpotere della Maggioni come incide sulla quotidianità del Tg1? Deve chiedere a lei se vuole far partire un inviato?
«Assolutamente no. È una struttura che sovrintende a determinate cose ma non entra nella vita del Tg1, anzi: c’è collaborazione».
Le sue interviste hanno grande successo: più faticoso quella con Papa Francesco o Fiorello?
«Con Fiorello siamo entrati in profondità ed è stato sorprendente vederlo così diverso dal solito».
Sinner le ha confessato di aver pensato di mollare tutto: lei in due anni quante volte l’ha fatto?
«Qualche volta, ma è durato poco».
Sul sito Rai c’è scritto che guadagna 200 mila euro: con la conferma è arrivato al tetto di 240 mila?
«Sì».
Prima della Rai guadagnava di più?
«Sì. Ma la sfida era troppo allettante».
La tv, una volta scoperta, è come i diamanti: per sempre?
«Sì, certo. Ma chi può dirlo?»
Potrebbe entrare in politica?
«Non ci penso proprio».