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 2025  giugno 07 Sabato calendario

Nel bosco di Rogoredo torna l’allarme per la presenza di nuovi tipi di droghe

Un ragazzo scopre parte del pantalone e indica il polpaccio: è devastato dalle piaghe, la carne viva pare divorata da qualcosa di sconosciuto e devastante. Un altro mostra il ginocchio, gonfissimo e solcato da un’ampia ferita che pulsa e un’infezione che sembra dilagare. Dall’ombra del bosco di Rogoredo, il non-luogo che si spalanca oltre il limite della stazione ferroviaria, filtra un nuovo volto della dipendenza: girano ancora la “nera”, l’eroina a basso costo, e la “bianca”, la cocaina, ma si consolida sempre più il timore che circolino anche sostanze sconosciute, non ancora intercettate dai meccanismi di allerta, usate per tagliare la “roba” o assunte direttamente, anche inconsapevolmente. Fino a poco tempo, fa il corpo dei ragazzi, pur debilitati dalla dipendenza, non era martoriato da segni del genere. «Sono immagini spaventose», racconta lo psicologo ed educatore Simone Feder, coordinatore del Team Rogoredo che ogni mercoledì sera arriva qui per incontrare chi ha perso la speranza, portando a loro viveri e conforto, parole e aiuto, con un gruppo di volontari in crescita: «Quello che vediamo in questi ragazzi, e che loro stessi ci raccontano, rinforza il sospetto che stiano circolando sostanze diverse, che mescolate tra loro o con le droghe classiche provocano effetto ancora più gravi, sia a livello psichico sia a livello fisico, con infezioni micotiche molto diffuse». Il via vai dal bosco resta continuo, perché «c’è gente nuova – prosegue Feder -, ancora più giovane, e molto spesso qui arrivano anche coppie di fidanzati. L’eroina è appetibile perché ha costi sempre più bassi: il fascino per le sostanze matura soprattutto in questo periodo dell’anno, quando chiudono le scuole e Rogoredo diventa attraente». La cronaca recente restituisce un assommarsi di storie tragiche e di ogni età, come quella del 42enne ucciso da un Intercity ad aprile mentre attraversava i binari; e si continua a morire di droga anche nel resto della Lombardia, con 4 overdose tra Milano e Brianza nell’ultimo anno e mezzo, secondo il censimento del portale Geoverdose. Però ci sono anche segni che rischiarano il buio: «Mercoledì sera – aggiunge lo psicologo – un ragazzo che da poco era nel bosco s’è avvicinato e ci ha chiesto di essere aiutato, il giorno seguente abbiamo fatto un colloquio con un operatore e la prossima settimana entrerà in comunità: è fondamentale presidiare questi luoghi, tendere loro la mano, parlarci e guare dagnare il loro rispetto, ma occorre farlo con tempestività».
Il confine labile tra droghe “classiche” e nuove sostanze è impresso nelle allerte. Da quella sul fentanyl, di cui però non si hanno riscontri ufficiali in Lombardia, a quelle recenti sul dilagare degli psicofarmaci: proprio la scorsa settimana la Federazione degli ordini dei farmacisti ha diramato l’ennesima circola per segnalare la diffusione di ricette contraffatte, stavolta create utilizzando i dati di un medico milanese.
Riccardo Gatti, psichiatra e coordinatore del Tavolo tecnico sulle dipendenze di Regione Lombardia, sfoglia la relazione appena pubblicata dall’Osservatorio europeo delle droghe: «Segnala proprio questo – spiega l’esperto -: sempre più spesso tutto ciò che ha proprietà psicoattive, come i farmaci, può apparire sul mercato della droga, spesso in miscele, lasciando i consumatori potenzialmente inconsapevoli di cosa stanno usando. Il confine è labile, ma fino a un certo punto, e ce lo insegna la storia: negli anni Settanta le amfetamine si vendevano ancora in farmacia e si creava dipendenza. Quello che è cambiato, oggi, è che sul mercato si trovano molte più possibilità, ma soprattutto si trovano infinite informazioni sull’utilizzo». Il mercato corre più veloce di chi deve contrastarlo: «I sistemi di allerta sono ancora troppo lenti – rileva Gatti -: servirebbero anche a livello locale, e non solo nei grandi centri, degli strumenti diagnostici più efficaci per analizzare le sostanze in modo più evoluto. C’è una latenza che non sempre permette di lanciare allerte in tempo reale. Ma il punto di partenza è un altro: serve un lavoro culturale ed educativo che sia dentro le strade, le scuole e le famiglie».