Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 08 Domenica calendario

Un mese da Leone

Risanamento della Curia, abusi, mediazione Ucraina-Russia, Cina. Un mese di pontificato come cartina al tornasole del metodo Prevost.
«Leone XIV si muove con cautela sui dossier per interventi mirati – spiega Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore –. Non ama decisioni improvvise, proclami, gesti eclatanti. La trattativa tra Mosca e Kiev è stata danneggiata dalla spinta Usa: la Santa Sede opera riservatamente e il clamore la danneggia. Della Chiesa Prevost evidenzia l’universalità come si è visto all’intronizzazione con la consegna dell’anello del pescatore da parte del filippino Tagle e l’orazione del congolese Besungu». Aggiunge Giovagnoli: «Rispetto a Francesco si appoggia di più all’istituzione ed è incline ad un governo istituzionalmente ordinato. Agli ambasciatori ha indicato come referente la Segreteria di Stato. Alla Cina ha fatto riferimento ringraziando Pechino per le parole di augurio dopo la fumata bianca e poi commemorando Maria Aiuto dei cristiani di Shanghai».
Sono bastate poche settimane, intanto, per «assistere agli attacchi al Soglio da chi voleva liquidare Bergoglio e chi pretendeva un suo clone», osserva il sociologo Massimo Introvigne. Prevost, invece, «attua il mandato del Conclave: ricucire le lacerazioni riaffermando temi di Francesco e recuperando contenuti di Benedetto XVI». L’obiettivo è unire ciò che è diviso. «I tradizionalisti Usa si aspettavano la liberalizzazione della messa tradizionale, ma Prevost non contraddice il suo predecessore – precisa Introvigne –. Semmai introdurrà gradualmente nella prassi una maggiore tolleranza per la celebrazione pre-conciliare. Senza, però, documenti che ripudino Bergoglio». Prosegue il sociologo: «Da canonista sugli abusi tempererà la tolleranza zero con il diritto di difesa alla luce dei casi di sanzione ecclesiastica smentita da assoluzioni civili». Un riequilibrio del giustizialismo mediatico.
«Nello stato di Washington, con l’approvazione di Trump, i vescovi hanno respinto la legge che obbliga i sacerdoti a violare il segreto della confessione per denunciare abusi. Alcuni presuli francesi erano favorevoli ma quanti obbediranno saranno scomunicati. Ciò che si confessa rimarrà inviolabile: è legge divina. Già Francesco aveva ribadito lo stesso principio con decreti della Penitenziaria apostolica sull’Australia». Prevost unisce rigore dottrinale, compassione pastorale e una visione missionaria del Vangelo. Da un Conclave particolarmente ricco di profili diversi, è spuntato il nome del cardinale Robert Francis Prevost, agostiniano, missionario, prefetto del Dicastero per i Vescovi. Un papa già destinato a fare storia, primo statunitense e primo appartenente all’ordine di sant’Agostino a salire al soglio pontificio. Anche la scelta del nome ha fatto discutere, per la continuità con quel Leone XIII che con l’enciclica Rerum Novarum aveva portato per la prima volta la Chiesa a occuparsi di questioni sociali. Fin dalla sera dell’8 maggio, dentro e fuori il recinto ecclesiastico, gli interrogativi sono stati subito grandi, decisivi: in un momento difficile per il pianeta, tra guerre in atto e annunciate, un’economia in crisi, le difficoltà di dialogo internazionale e i conflitti sociali, sarà in grado questo nuovo Pontefice di aprire nuove vie di concordia e fratellanza? Saprà agire per quella pace tanto invocata nel suo primo discorso alla folla? Saprà mettere d’accordo l’ala più progressista e quella più tradizionalista della Chiesa, evitando uno scontro che minaccia di sfociare in scisma? Prevost incarna una figura di mediazione tra sensibilità tradizionali e le esigenze di rinnovamento promosse da Francesco. Il suo ministero ha attraversato confini e continenti: dalla formazione negli Stati Uniti alla missione in Perù, dove è stato vescovo di Chiclayo per quasi un decennio, diventando una figura di riferimento nella pastorale latinoamericana. Ha guidato la Congregazione agostiniana a livello mondiale come priore generale per due mandati. Da gennaio 2023, Francesco lo ha chiamato a guidare uno dei dicasteri più strategici della Curia: quello che seleziona i vescovi. Prevost è un uomo di preghiera e di governo, discreto ma determinato. È considerato un ecclesiastico capace di ascoltare, non incline ai riflettori, ma influente nei processi decisionali. La sua sensibilità missionaria lo rende vicino alle periferie, la sua provenienza agostiniana aggiunge al profilo un tratto spirituale peculiare: la ricerca della verità attraverso la comunità e l’interiorità, nel solco di Sant’Agostino. Ha una visione globale della Chiesa, formata sul campo. Non è considerato un “rivoluzionario”, ma neppure un conservatore rigido. Alcuni lo definiscono un «pragmatico spirituale»: sa muoversi tra diplomazia e pastorale, dottrina e discernimento. Anche sul piano politico, il suo profilo è equilibrato: non è vicino alla retorica divisiva di Trump, ma non è nemmeno ostile per partito preso.
Mantiene una distanza prudente, preferendo un approccio pastorale centrato sulla persona, non sulla polarizzazione. In questo primo mese si è mostrato attento alla continuità con Bergoglio, e anche all’impegno di riconciliare le diverse anime della Chiesa in contrasto tra loro, cercando di ricucire le lacerazioni, senza estremismi. Un Papa con un cuore missionario, una mente organizzativa, un profondo senso della tradizione, e una voce che può parlare al Nord e al Sud del mondo, cattolico e non solo. Libero anche nello stile. «In Vaticano la forma è contenuto. Stilisticamente quello di Leone XIV è il pontificato del buon senso – osserva Gian Franco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano e collaboratore di Giovanni Paolo II–. Prevost ha subito dimostrato che l’unità sostanziale della Chiesa richiede anche continuità formale tra i pontificati. Per questo si sente libero di recuperare elementi della tradizione perché la storia della Chiesa e del mondo non inizia con un nuovo papa. Magari non quella bordata di ermellino ma perché privarsi della mozzetta? E perché non trascorrere dei periodi di vacanza a Castel Gandolfo nei quali poter alternare momenti di riposo e altri di lavoro? Perché un infermiere invece di un medico come archiatra pontificio? Non appartiene a Leone l’esigenza di continui strappi ai protocolli che rischiano talvolta di trascolorare in populismo». In Curia riconoscono a Francesco un necessario sforzo di riforma ma apprezzano il ripristino della normalità da parte di Prevost secondo cui «la mancanza di fede provoca perdita del senso della vita, oblio della misericordia, violazione della dignità, crisi della famiglia».