repubblica.it, 6 giugno 2025
Bugiardo e più bugiardo, la dittatura della menzogna nell’America di Trump
Elon Musk ha raccontato nel 2018, quando rifulgeva ancora di un’aura da imprenditore progressista, di avere un metodo scientifico per smascherare i bugiardi e i millantatori durante i colloqui di assunzione per le sue aziende. A un certo punto della chiacchierata poneva alla candidata o al candidato la domanda: parlami del problema più grande che hai affrontato nella tua carriera e di come lo hai risolto. Secondo il patron di Tesla, e ormai ex capo del famigerato Doge, si partiva da una certezza: tutte le persone avrebbero cercato di sostenere di essere riuscite a venire a capo di grosse grane, vuoi per reale autoconvinzione vuoi per semplice desiderio di ben figurare al colloquio. Tuttavia, solo quelle effettivamente riuscite a risolvere problemi complicati sarebbero scese in un racconto dettagliato. Le altre, proprio per paura di far emergere il bluff, avrebbero raccontato una storia generica evitando di fornire troppi particolari. Questo per un teoria ben nota anche ai detective, per cui chi mente tende a dare il minor numero possibile di elementi cosicché l’investigatore abbia meno leve per smontare la veridicità della ricostruzione.
Per entrare con un ruolo nell’amministrazione Trump e provare così a coltivare la sua agenda di governo parallelo, Musk non ha ovviamente dovuto sostenere alcun colloquio. È stata sufficiente la forza del suo sostegno finanziario al candidato, i rispettivi interessi trilionari in gioco e la convergenza sugli elementi più reazionari del programma trumpiano, la stessa che – punto più basso della storia diplomatica americana – ha spinto il proprietario di X a fare appello di voto per i neonazisti di Afd alle recenti elezioni politiche in Germania. Se Trump avesse assunto Musk per colloquio ne sarebbe comunque uscito un confronto singolare: che succede quando un bugiardo interroga un bugiardo? Chi può smascherare chi? Cos’è la verità per due persone abituate a manipolarla? Succederebbe, forse, qualcosa di simile a quanto avvenuto nello Studio Ovale appena 48 ore fa, quando il presidente ha congedato di persona e in diretta Musk lodandone l’operato, e com’è stato bravo Elon, no bravo tu Donald, e la nostra storia non finisce qui, che grandi cose stiamo facendo per rendere l’America grande ancora. Quindi i due si allontanano per qualche ora e il copione diventa: la legge di bilancio che hai fatto fa schifo (Musk a Trump); l’hai letta e ti andava bene (Trump a Musk); non l’ho mai vista (Musk a Trump). Ma questo è solo l’inizio. L’antipasto delle menzogne disvelate. Perché poi il presidente fa sapere che lui conosce un metodo rapido ed efficace per operare tagli virtuosi sul bilancio federale ed è azzerare i finanziamenti diretti o indiretti alle aziende di Musk, e non poteva manifestare in modo più chiaro uno dei numerosi conflitti di interessi che stanno divorando l’amministrazione Usa se solo esistesse ancora la capacità nel dibattito di trarre le conseguenze logiche di una simile dichiarazione. Musk ha fatto di più: “Il nome di Trump è negli Epstein files ed il motivo per cui non stati resi pubblici”, ha scritto su X, il social che ha acquistato e trasformato nella sua sala di ping pong aprendola senza limiti alla più immonda propaganda razzista e fascista. Anche qui, a mettere banalmente in fila i fatti, significa che Musk sarebbe a conoscenza del fatto che Trump ha partecipato ai famigerati festini con minorenni che erano la specialità di casa Espstein, il miliardario suicida in carcere dopo la sua incriminazione per crimini sessuali e altri reati. Se non è vero, l’accusa testimonia una sconcertante propensione alla calunnia (non sarebbe un esordio per Musk: era il 2018 quando si mobilitò per salvare una dozzina di ragazzini rimasti intrappolati in una caverna in Thailandia, finì che si appiccicò pubblicamente con uno dei soccorritori, gli diede di pedofilo, poi si scusò, poi tornò a scriverlo. La stabilità non è la miglior dote di Musk). D’altra parte, se fosse vera questa cosa degli Epstein files, significherebbe che Musk ha consapevolmente appoggiato un candidato del quale conosceva una turpe abitudine, una eventualità che direbbe della sua reticenza e ignavia almeno quanto della colpevolezza dell’altro.
Trump è un mentitore seriale – non il primo nella storia della politica di ogni tempo – ma vanta un primato inedito: le sue bugie sono diventate verità acclarate per un numero impressionante di cittadini. Un’inchiesta basata su un incrocio di fact-checking e sondaggi realizzata dal Washington Post nel 2024, quando Jeff Bezos non aveva ancora inibito il quotidiano del quale è editore dal mettere becco sulle elezioni e sulla presidenza Trump, ha portato a risultati immaginabili e comunque sconvolgenti se messi nero su bianco, sia nell’evidenziare la propensione alla falsità – lo studio segnalava che in una intervista alla Fox del dicembre 2023 Trump aveva infilato 24 affermazioni false o fuorvianti in meno di cinque minuti, una ogni 12 secondi – sia soprattutto negli effetti di questa abitudine. Trump ha convinto il 70 per cento degli elettori repubblicani che Biden ha vinto le elezioni del 2020 a causa di brogli elettorali (lo ha ripetuto poche settimane fa alla Casa Bianca anche davanti a Giorgia Meloni, che non ha fatto un plissé). La percentuale sale all’81 per cento se si sonda la base Maga, il nocciolo elettorale del trumpismo. Il 60 per cento dei repubblicani crede davvero che Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina se all’epoca ci fosse stato Trump alla Casa Bianca e – nonostante la propaganda sulla capacità di chiudere il conflitto in un 24 ore una volta rieletto alla presidenza si sia rivelato per quel che era: un fracco di stronzate per gonzi – c’è da giurare che il numero non sia calato. Questo senza scendere nel girone delle menzogne più oscuro e dannato, l’universo parallelo dei seguaci Maga di orientamento Qanon, secondo cui Biden è già morto da anni, i democratici sono una setta di pedofili satanisti che si nutre di viscere di bambini e la strage di Columbine è una messinscena con attori orchestrata dai liberal per limitare la vendita di armi nel Paese. Sapete quante persone credono a queste “verità”? Non la maggioranza dei repubblicani, almeno in questo caso, ma il numero dei convinti si misura in milioni, non in migliaia.
La manipolazione sistematica della verità è un tratto tipico di tutti i regimi autocratici e gli Stati Uniti ci hanno già messo un piede dentro, con tutte le conseguenze in tema di liceità degli atti e confine del possibile: in quale democrazia il presidente dice che non sa se deve obbedire alla Costituzione ovvero organizza una cena per radunare gli investitori nelle sue criptovalute? Con le loro accuse incrociate Trump e Musk possono per una volta sperimentare (senza gravi conseguenze per loro) la frustrazione di molti oppositori nel constatare che è del tutto inutile svelare una verità se ce n’è già una alternativa che si è radicata. Nell’epoca trumpiana non hanno più alcun valore il dettaglio, la pertinenza, la logica, la credibilità. Se Trump avesse fatto un colloquio a Musk prima di imbarcarlo, l’avrebbe assunto senza esitazione e senza domande sulla veridicità dei suoi trascorsi, perché Trump sa bene che entrambi hanno già affrontato e aggirato il più grande dei problemi, il principio di realtà, e se ciò è vero per milioni di persone, è vero per tutti.