La Stampa, 6 giugno 2025
Programmatori indiani al posto dell’Ai Crac da 1,5 miliardi per Builder
Mentre il mondo del lavoro trema all’idea che l’Intelligenza artificiale possa sostituire gli umani in ogni mansione, un caso paradossale va in direzione contraria all’apocalisse tecnologica. Per anni, un gruppo di sviluppatori indiani ha lavorato nell’ombra fingendo di essere un sistema di intelligenza artificiale. Lo scopo? Permettere alla loro azienda, Builder.Ai, di vendere al mercato una soluzione sulla carta avanzata, guadagnare credibilità e raccogliere centinaia di milioni di dollari da investitori internazionali. Builder.Ai è al centro di quella che potrebbe essere una delle più grandi truffe del mercato tecnologico degli ultimi anni. La startup britannica, celebrata come potenza dell’Ia tanto da raggiungere la valutazione di 1,5 miliardi di dollari, nelle scorse settimane ha dovuto dichiarare fallimento. Bilanci opachi, vendite gonfiate, ma soprattutto una tecnologia inesistente. Per quasi un decennio ha detto al mercato (e i propri investitori) di avere sviluppato una intelligenza artificiale in grado di consentire ai clienti di ordinare e ottenere un’applicazione personalizzata «come si ordina una pizza». Al centro dell’esperienza utente, un’assistente virtuale chiamata Natasha. Ma Natasha, si è scoperto, non era un sistema AI avanzato, bensì l’interfaccia di un team di 700 programmatori indiani che eseguivano manualmente le richieste degli utenti. Sui social circola una battuta che riassume l’intero scandalo: «Builder.Ai = Actually Indians» – in realtà, sono indiani.
Builder.Ai è un’azienda creata nel 2016 da Sachin Dev Duggal. Oggi 41enne, l’imprenditore è stato a lungo considerato uno dei più promettenti nel campo dell’IA e della programmazione: ragazzo prodigio, giovane fondatore di aziende valutate centinaia di milioni, poi fondatore di una delle prime vere aziende che si sono occupate di IA. Raccontava Builder.Ai come azienda in grado di creare applicazioni in modo accessibile a chiunque, capace di democratizzare la programmazione. Nonostante diverse inchieste (tra cui una del Wall Street Journal nel 2020) avevano messo in discussione la tecnologia, Builder.AI ha continuato a crescere. Ha portato Microsoft dalla sua parte come partner tecnologico. Ha raccolto 30 milioni da Softbank nel 2018. Poi altri 445 tra il 2022 e il 2023 con l’ingresso della Qatar Investment Autority e di Viola Credit. È stata proprio quest’ultima a ritirare il proprio prestito (37 milioni), lasciando a secco le casse dell’azienda. Il fallimento arriva dopo che per settimane la società è stata messa sulla graticola. Da quanto emerge Duggal ha sempre giocato sulla comunicazione aziendale, sul marketing, non investendo nulla o quasi nella tecnologia. Tutto diventa più chiaro quando il manager un anno fa viene accusato per la prima volta di aver gonfiato i ricavi del 350% e sostituito alla guida del consiglio di amministrazione. Gli investitori vogliono vederci chiaro, cominciano le prime indagini, i primi dubbi, culminati con la rivelazione che il team era composto da sviluppatori indiani pubblicata su Linkedin da Lina Beliunas, direttore della società di analisi finanziaria Zero Hash. L’epilogo è arrivato dopo qualche giorno. La società è stata costretta a chiudere i battenti e a licenziare tutti. Lo staff ufficiale (circa 270 persone) e i 700 indiani che programmavano da Nuova Delhi. Restano i dubbi su come la società abbia potuto ingannare tutti per otto anni. Dubbi che mettono in discussione non solo Builder.Ai, ma anche la capacità del settore tecnologico di distinguere in pieno boom Ai l’innovazione vera dal marketing confezionato ad arte.