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 2025  giugno 06 Venerdì calendario

"La pace va difesa anche con la cultura. Io e la Rai? Spero troveremo un accordo"

Alle elementari, era lo studente con la mano sempre alzata e gli occhi che gli brillavano. Per quella sua maestra di Storia («bravissima, si chiamava Albizzati») aveva sempre mille domande: voleva capire, voleva saperne di più. Proprio come oggi. Ora che è diventato grande, nonché “il” volto della cultura in tv, Alberto Angela rincorre ancora i suoi perché: una caccia sul volano di quella curiosità che lo porta a fare avanti e indietro nel tempo, rendendo avvincenti materie fredde (almeno dal punto di vista televisivo) come la storia o la scienza. «La divulgazione è un vero e proprio viaggio esplorativo – assicura – solo che, anziché catapultarci nel futuro, ci porta nel passato». Ogni suo programma nasce proprio così: da una domanda aperta prima ancora che da una risposta, da un «perché?» inevaso che l’ha spinto a mettersi in ascolto. Così sono nati per esempio la puntata di Ulisse su Londra, raccontata a passo di musica, o lo speciale su Hiroshima che i social hanno definito «una puntata devastante e bellissima, una grande lezione di storia da far vedere nelle scuole».
Ancora oggi sono le domande a guidarla?
«Per me fare divulgazione in tv vuol dire guardare il mondo che mi circonda, capire in che direzione sta andando e intercettare i problemi appena emergono. Per questo spingo così tanto a sperimentare: in una tv dove tutti si siedono su formule rodate, noi abbiamo il coraggio delle idee perché vogliamo tenere il passo con il mondo, restituire lo spirito del tempo. Siamo stati per esempio i primi a parlare di emergenza climatica su Rai1».
A scuola la cultura è un bagno di nozioni, date e nomi. È la tv a essere un passo avanti, o la scuola a essere rimasta indietro?
«Pur lavorando in modo diverso, siamo tutti alleati, schierati sulla stessa linea per combattere il mondo barbaro dell’ignoranza e aprire i ragazzi alla conoscenza. La bellezza dei programmi di divulgazione è che a differenza dei varietà vantano una seconda vita anche fuori dalla tv: molte nostre puntate vengono viste a scuola generando una sorta di biblioteca della conoscenza che va dal mondo dei greci all’esplorazione spaziale».
Questo finchè tutto non finirà in pasto a Chat Gpt: a quel punto si andrà verso un generale disimpegno cognitivo, dove il click soppianterà lo studio?
«Non sono così pessimista. L’AI è uno strumento, esattamente come in passato lo era l’enciclopedia britannica o, più di recente, Wikipedia. Lo scarto è solo il livello di sofisticazione. Se usata bene l’AI può essere al servizio del sapere, permettendoci di avere più tempo per l’approfondimento. L’importante è che non soppianti la voglia di scoprire il mondo».
Da giovane ha studiato in America. Cosa ne pensa del braccio di ferro tra Trump e Harvard?
«Non ho mai espresso opinioni politiche, e non inizierò a farlo adesso. Vorrei solo ricordare che Alessandro Magno e i suoi successori non crearono solo una grande biblioteca ad Alessandria d’Egitto ma anche una sorta di proto università. Sorgeva lì accanto: somigliava a un monastero, solo che nelle cellette non c’erano i frati ma dei sapienti che venivano da tutto il Mediterraneo, persino dall’India. Ognuno aveva specializzazioni diverse. Si faceva della diversità un punto di forza: l’insieme delle differenze crea una società vincente. Persino dal punto di vista genetico la varietà permette all’umanità di evolvere».
La politica dovrebbe essere sempre al servizio della cultura?
«Se c’è una lezione che possiamo trarre dai romani è che loro mettevano in primo piano la conoscenza perché questa ti permetteva di avere una nazione più forte. La cultura non è mero nozionismo: è uno sguardo sul mondo, che ti consente di capire i cambiamenti e individuare quali proposte, anche politiche, sono più coerenti di altre. Per questo sono felice che la Rai programmi la divulgazione in prima serata: chi paga il canone ha il diritto di avere la cultura a casa».
Nello speciale su Hiroshima, uno dei sopravvissuti ha detto che la pace è «farsi carico del dolore dell’altro». Prima ancora che giusta, la pace è un atto di umanità?
«Sì. Ognuno di noi ha una sorta di carta costituzionale interna, che deve per forza includere l’empatia. Purtroppo quando parliamo con le persone tendiamo a esprimere soprattutto le nostre idee e ascoltare poco. Invece la natura ci ha dato due orecchie e una bocca sola... non è un caso».
Oggi si parla di riarmo per difendersi. Da studioso di storia, armi e pace sono mai stati un binomio possibile?
«I latini dicevano: si vis pacem, para bellum. Purtroppo le dinamiche si ripetono. Per questo nello speciale su Hiroshima abbiamo voluto dare la parola ai superstiti per ricordare che 80 anni di pace sono un’eccezionalità che va difesa. Abbiamo voluto spiegare la guerra e la pace puntando sui valori più che sugli orrori, anche se non sono mancate scene forti come l’immagine di quel ragazzo che portava sulle spalle, dentro lo zaino, un bambino addormentato. In realtà era suo fratello, di otto anni, morto: era in fila per la cremazione».
Suo nonno è stato proclamato Giusto tra le nazioni, per aver salvato molti ebrei. Che ricordo serba?
«Purtroppo non l’ho mai incontrato: è morto quando papà era giovane. Credo però che saremmo andati molto d’accordo: era uno studioso, che parlava molte lingue. Si era arruolato come medico, durante la Guerra mondiale: ha visto in prima persona la sofferenza e forse per questo ha capito i valori essenziali della vita. Se c’è una cosa che ci differenzia dalle bestie è proprio la capacità di fermarci davanti alla violenza e alla morte».
Ha rinnovato il suo contratto con la Rai?
«Non ancora. Sono un volto nato in Rai, proprio come mio padre, e continuo a considerare il servizio pubblico il posto ideale per fare divulgazione. Spero che si vada avanti e che si riesca a trovare un accordo».
Un’ultima curiosità: davvero ha bloccato sui social Francesca Michielin?
«È una gigantesca fake news. Perchè mai avrei dovuto? La ammiro, è bravissima. Non c’è bisogno che lei si scusi perché non ha fatto nulla di sbagliato».