Avvenire, 6 giugno 2025
Cisgiordania, raid e altre colonie «Palestina verso l’annessione»
Non c’è niente di improvvisato nell’espansione dei coloni che occupano illegalmente la terra in Palestina e a mano a mano, insediamento dopo insediamento, assediano i villaggi della Cisgiordania fino a prenderne di fatto il controllo. Come a Taybeh, l’ultima città interamente cristiana della Palestina. Ieri l’ultimo assalto con la copertura dell’esercito di Tel Aviv.
Un nuovo avamposto coloniale è stato stabilito nottetempo sulle terre dei residenti palestinesi sulle rovine di alcune abitazioni appartenute a una numerosa famiglia palestinese sfollata con la forza circa un anno fa.
«Morte all’arabo», scrivono sulle pareti delle case occupate e distrutte, firmando con la Stella di David. Aggressioni fisiche, sassaiole, la distruzione delle terre coltivate e degli attrezzi agricoli. Alla gente del posto non era rimasto che andarsene. Fino a pochi anni fa i residenti di Taybeh erano 15mila, oggi saranno non più di 2mila. Solo a maggio le autorità palestinesi hanno registrato i tentativi dei coloni di stabilire 15 nuovi avamposti, principalmente su terreni agricoli e pastorali: 6 a Ramallah e al-Bireh, 2 ciascuno a Salfit, Tubas e Betlemme, 1 a Gerico e 1 Nablus. Nel frattempo i raid israeliani in città come Jenin hanno costretto allo sfollamento di 40mila residenti dopo che le loro case sono state devastate dalle ruspe blindate e i quartieri dichiarati “off limits”. Pochi giorni prima, il 21 maggio 2025, il Consiglio superiore di pianificazione ha avviato la discussione per l’approvazione di 1.673 unità abitative in sei insediamenti. Dall’inizio del 2025 l’organismo statale israeliano ha promosso un totale di 18.959 unità abitative in Cisgiordania. Tutti i nuovi insediamenti si trovano in aree interne, territori che erano considerati come aree designate per un futuro Stato palestinese. Lo scopo dei nuovi insediamenti è anche simbolico: screditare e annientare l’Autorità nazionale palestinese. Due delle nuove colonie di occupazione sono state autorizzata a ridosso di Ramallah, il capoluogo amministrativo della Palestina. Se in passato l’occupazione avveniva prevalentemente con blitz dei coloni scortati dall’esercito, adesso viene perfino annunciata da attività inequivocabili. Da pochi giorni, ad esempio, sono cominciati i lavori per una nuova strada per un nuovo avamposto dove è previsto l’insediamento di Beit Hororn, a meno di sette chilometri in linea d’aria da Ramallah. Delle 22 nuove colonie varate dal governo di Netanyahu, nel cui gabinetto siedono anche ministri coloni, come gli estremisti Ben-Gvir e Smotrich, 12 sono avamposti e fattorie (da cui poi nasceranno insediamenti più popolosi); 9 sono agglomerati urbanizzati di nuova costruzione; uno è un insediamento esistente che sarà ufficialmente riconosciuto. Diverse organizzazioni internazionali e attivisti per i diritti umani vedono queste mosse come una sfida aperta al diritto internazionale e il tentativo di procedere verso una annessione “de facto” della Cisgiordania impedendo la nascita di uno stato indipendente nel momento in cui cresce il numero di Paesi che si dicono disposti a riconoscere lo Stato di Palestina.
«Il governo israeliano non finge più: l’annessione dei Territori occupati e l’espansione degli insediamenti sono il suo obiettivo principale – denuncia l’organizzazione umanitaria israeliana “Peace Now” –. La decisione del governo di istituire 22 nuovi insediamenti, il numero più alto dai tempi degli Accordi di Oslo, in base ai quali Israele si è impegnato a non istituirne di nuovi, rimodellerà radicalmente la Cisgiordania e consoliderà ulteriormente l’occupazione». Che Netanyahu voglia tagliare fuori l’Anp, nonostante il gruppo al vertice guidato da Abu Mazen si sia espresso contro Hamas, lo dimostrano i fatti degli ultimi giorni. Tel Aviv ha impedito a diversi diplomatici dei Paesi arabi di recarsi a Ramallah per colloqui diretti con l’Autorità nazionale palestinese. L’Arabia Saudita – che con Israele era in procinto di firmare una storica intesa sabotata il 7 ottobre 2023 dal massacro di 1.200 israeliani perpetrato da Hamas – ha definito «estremismo» la decisione di Israele di impedire ai ministri arabi di visitare la Cisgiordania per discutere della creazione di uno Stato palestinese e della fine della guerra a Gaza.