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 2025  giugno 04 Mercoledì calendario

Perché la bicicletta, nata in seguito all’esplosione di un vulcano nel 1815, è un modello di politica industriale europea

C’è molto di più che l’auspicio di un salutare giro ciclistico contro la CO2 dietro la giornata mondiale delle due ruote organizzata dalle Nazioni Unite per il 3 giugno. La bicicletta racchiude difatti come un prisma diverse lezioni moderne: sociali, economiche e anche tecnologiche. Ma per svelarne bisogna riscoprirne la storia e capire anche quale ruolo la bicicletta abbia avuto.
Per partire dal secondo punto vale un indizio che troviamo nel linguaggio: per comprendere quale posto avesse nell’immaginario collettivo una tecnologia del passato non c’è niente di meglio che andare a riscoprire le frasi usate magari da grandi personaggi dell’epoca.
Prendiamo l’orologio meccanico: secondo l’economista Carlo M. Cipolla ("Le macchine del tempo – L’orologio e la società 1300-1700”, il Mulino) ad esso possiamo far risalire la nascita stessa della meccanica di precisione in Europa e la sua esportazione nel mondo (soprattutto Cina e Giappone).
Non a caso ritroviamo l’orologio in decine di (note o meno note) frasi di personaggi importanti.

"L’Universo è un orologio”, Keplero.
"Il corpo dell’uomo è un meccanismo”, Pascal.
Brunelleschi costruiva orologi.
Voltaire nel 1770 possedeva una fabbrica di orologi.
Adam Smith analizzò il crollo nell’Ottocento del prezzo degli orologi da 20 sterline e 20 scellini.
Infine: “La mia vita è organizzata come un orologio”, Charles Darwin.
Se l’orologio ha contrinbuito a creare l’industria tecnologica, non da meno – anche se ha una storia molto più recente – è la bicicletta che ha rivoluzionato il concetto di mobilità meccanica e di velocità (sic!).
Lo stesso Albert Einstein diceva che “la vita è come andare in bicicletta: per mantenere l’equilibrio devi muoverti” (lettera al figlio).
Einstein fa da cesura naturale in questo racconto di tecnologie primarie dato che disse anche che aveva pensato alla Teoria della relatività mentre andava in bicicletta. E allo stesso tempo sappiamo che gli orologi ebbero un ruolo centrale nei suoi esperimenti mentali sulla relatività dello spaziotempo (senza contare che nell’ufficio brevetti di Berna, dove lavorava, analizzava spesso richieste di protezione per sistemi di sincronizzazione degli orologi).

Dunque, torniamo al primo punto. Cosa insegna la storia della bicicletta?
Per capirlo se mai vi capiterà consiglio sempre un passaggio a Cesiomaggiore, nel bellunese, dove in poche centinaia di metri quadrati del Museo Storico della Bicicletta Toni Bevilacqua, esistono tutte le risposte di cui avrebbe bisogno l’Europa per una politica dell’innovazione.
Procediamo seguendo la storia della bicicletta, modello unico ma replicabile di «invenzione europea»: di fatto l’Europa intera è stata una bicicletta Valley, anche se non avevamo le dotazioni di marketing per imporci sul mercato delle parole virali. Ma non iniziò bene. Nella sala principale del Museo di Cesiomaggiore campeggia difatti un falso clamoroso, non nel senso che sia un oggetto non adatto alla collezione, ma perché il fatto storico è stato chiarito: è un celerifero, una proto-bicicletta che sarebbe stata inventata in Francia dal conte de Sivrac datata 1790. Si tratta in sostanza di un carro dimezzato su due ruote di legno, allineate una dietro l’altra, senza nessuna tecnologia di controllo. Secondo la vulgata gli aristocratici la usavano per lanciarsi coraggiosamente sulle discese. Non c’erano freni, né manubri. Figuriamoci se i nobili francesi in piena rivoluzione francese, mentre i giacobini facevano saltare teste come fossero funghi, si sollazzavano cercando di rompersi da soli l’osso del collo. In effetti si tratta di quella che oggi chiamiamo fake news, costruita ad arte da un giornalista alla fine dell’Ottocento. Louis Baudry de Saunier ne scrisse nel 1890 per celebrare il falso centenario dell’invenzione francese della prima bicicletta. Improvvisamente iniziarono a comparire sul mercato e nei musei anche dei celeriferi apocrifi ricostruiti ad arte.
Oggi sappiamo (Cnum, Conservatoire numérique des arts et métiers, fonte francese, chapeau) che quella fake news altro non era che la classica propaganda nazionalista di un giornalista furbo che voleva sorpassare a destra l’inventiva tedesca in anni di forte antagonismo. La draisina è infatti sicuramente stata inventata dal Conte austriaco Karl Drais nel 1817-1818 dopo l’esplosione del vulcano Tamboora in Indonesia nel 1815. Un episodio tale da oscurare i cieli europei in quello che è passato alla storia come anno senza estate: le conseguenza furono drammatiche. Carestia, moria di cavalli, il mezzo di locomozione per eccellenza. E ricerca dunque di un sostituto.
Drais, tramite Louis-Joseph Dineur, brevettò il suo mezzo di locomozione in Francia nel 1818 dove ebbe un incredibile successo: il conte ne diede una dimostrazione pubblica a le Jardin de Luxembourg, ancora oggi luogo prediletto dai parigini per passare il tempo. E lo stesso nome, draisienne, venne dato dai francesi. Dunque da una prima analisi superficiale dovremmo dedurre che la bicicletta è stata un’invenzione di cultura tedesca. Ma è qui che dà il meglio il Museo di Cesiomaggiore, costruito pezzo a pezzo grazie alla passione di un uomo, Sergio Sanvido, che proprio a Cesiomaggiore aprì la sua prima officina di ciclismo appena tornato dalla Seconda guerra mondiale. La bicicletta, anche se può apparire un oggetto semplice ai nostri occhi, è difatti un insieme di diverse tecnologie che hanno impiegato circa un secolo per arrivare a una forma evolutiva che potremmo definire stabile (in realtà, grazie al digitale, si sta nuovamente reinventando in bike sharing).
La draisina che aveva permesso al conte Karl Drais di percorrere 14,4 chilometri, in solo un’ora nel luglio del 1817, mostrò ben presto i suoi limiti. Fu in effetti una famiglia francese, quella dei Michaux, a modificare il mezzo aggiungendo i pedali direttamente sul mozzo centrale della ruota anteriore. Nacque così la michaudina nel 1861, la prima ad adottare le pedivelle con pedali. In un modello del 1870, esposto nel museo, si vede che Pierre e Ernest Michaux (padre e figlio) pensarono di aggiungere anche dei primi rudimentali freni che altro non erano che la riproduzione in miniatura del sistema di frenaggio delle carrozze (una corda che si doveva tendere a mano sotto il sedile azionava un ferro che andava a creare attrito sulla ruota posteriore di legno). All’epoca il modello di michaudina costava tra i 500 e i 600 franchi d’oro. Uno sproposito. E in effetti dalle cronache sappiamo che i Michaux passarono alla storia ma, come accadde anche per Gutenberg, fallirono. La bici era chiamata anche «spaccaossa», per l’assenza di ammortizzatori e di pneumatici. Gli anni seguenti furono quelli del biciclo, il penny-farthing, chiamato così perché le due ruote avevano dei raggi molto diversi (il farthing era una piccolissima moneta inglese erosa poi dalla svalutazione monetaria e dunque scomparsa). Ecco dunque comparire gli inglesi sul bordo della nascente industria della bicicletta. Come mai? Francesi e tedeschi erano stati impegnati dalla guerra del 1870. Non prima però di introdurre un’altra rivoluzione: la trasmissione a catena che viene fatta risalire all’orologiaio parigino André Guilmet.

Le innovazioni dell’industria della bicicletta furono moltissime: a Daniel Rudge si fa risalire il sistema delle palline per ridurre l’attrito (il cosiddetto sistema a cuscinetto); a James Starley, il padre del biciclo, le ruote con raggi tangenti per renderle più sicure. Il biciclo, che ebbe grande successo commerciale, era però destinato a scomparire velocemente: con una ruota molto piccola e l’altra molto grande era un mezzo pericoloso, sia per chi lo cavalcava, sia per i poveri pedoni che vi finivano in mezzo. Ma la ruota grande era necessaria per trasmettere il moto in maniera più efficiente (maggiore è il raggio, più saranno i metri che si riescono a fare con un singolo giro di pedali, un’equazione che contrapponeva efficacia e sicurezza). Sempre sui bicicli, inoltre, aveva fatto la sua comparsa la gomma vulcanizzata. Fino a quando un veterinario scozzese, John Boyd Dunlop, dopo averla provata sul triciclo del figlio, brevettò nel 1888 la gomma pneumatica per biciclette, la cui superiorità venne dimostrata con una serie di record. Stava per iniziare, nel 1890, l’era delle gare che avrebbero portato ai Tour. In realtà il brevetto fu revocato quando si scoprì che un altro scozzese, Robert William Thomson, molti decenni prima aveva presentato i documenti per una soluzione molto simile, anche se non per biciclette (curiosamente Thomson fu anche l’inventore della penna stilografica).

Dunlop diede comunque vita alla stessa Dunlop che ogni giocatore di tennis ancora oggi conosce. Sempre negli anni ottanta dell’Ottocento iniziarono a comparire sulle biciclette di lusso, come le Louvet, i primi fanali a candela! Solo all’inizio del Novecento una società italiana, la Magneti Marelli, avrebbe poi aggiunto anche la dinamo. Fu così che con una delle maggiori operazioni di marketing della storia la Rover lanciò la Safety Bike (si può trovare nel museo di scienza e tecnologia di Londra): la bicicletta di sicurezza che si contrapponeva, adottando la soluzione della catena dell’orafo francese, al rischioso biciclo asimmetrico. Siamo in quelli che sono chiamati gli anni d’oro delle due ruote tra il 1880 e il 1890, quando il mezzo più popolare del mondo prese la sua forma definitiva, avviando un’industria che esiste ancora oggi: i primi produttori si chiamavano Peugeot, Triumph, Rover, Fiat. L’industria delle automobili si fece i muscoli con quella delle biciclette. Dunque: un secolo di storia, ma tante tecnologie provenienti da tanti Paesi europei. La bicicletta è un po’ come l’Airbus o il caccia Eurofighter, la dimostrazione di cosa sappiamo fare quando ci mettiamo tutti insieme.

Ps, in un articolo pubblicato su La Domenica del Corriere del 15 ottobre 1899 un lettore inventore proponeva “l’aerociclo”, una bicicletta con le ali. Non poteva funzionare, così. Ma sapevate che lavoro facevano i fratelli Wright? Esatto, vendevano e riparavano biciclette. Non a caso se guardate un’immagine dei primi modelli di aerei Wright alcune trasmissioni erano prese proprio dal mondo inesauribile delle due ruote.