la Repubblica, 4 giugno 2025
L’avventura di Artemisia il capolavoro salvato da uno scenario di guerra
Il 4 agosto 2020, un boato devastò il porto di Beirut. L’onda d’urto attraversò la città: oltre duecento morti, migliaia di feriti, edifici sventrati, opere d’arte e archivi ridotti in polvere. Una tragedia immane. Ma tra le macerie di Palazzo Sursock, dimora storica di una delle famiglie più influenti del Libano, un grande dipinto gravemente danneggiato iniziò a raccontare un’altra storia.
Un uomo seminudo, una donna che impugna una clava, Cupido che ride, beffardo. Il quadro era lì da decenni, appeso senza etichetta né attribuzione, ma nessuno lo aveva mai studiato. Eppure, dietro quella scena dimenticata per secoli, si nascondeva una delle pittrici più straordinarie del Seicento.
Dopo l’esplosione, la tela fu trasferita al J. Paul Getty Museum di Los Angeles per un delicato intervento di restauro. E lì, sotto la luce dei riflettori e delle lampade di Wood, arrivò il colpo di scena: è un’opera di Artemisia Gentileschi.
Per gli esperti, i dubbi sono pochi. Sheila Barker, storica dell’arte del Medici Archive Project, racconta di essere rimasta folgorata: «È un incanto assoluto – potente, affascinante, divertente», dice. E sottolinea: «Ai miei occhi è uno dei suoi grandi capolavori».
A rafforzare l’attribuzione, anche un piccolo colpo di fortuna archivistica. Tra le carte di famiglia, Roderick Sursock Cochrane, attuale proprietario del dipinto, ha ritrovato una vecchia ricevuta d’acquisto, risalente a circa un secolo fa. Il quadro era stato comprato da suo nonno presso un antiquario di Napoli. Il venditore? La nobile famiglia de Spinelli. Secondo Davide Gasparotto, curatore del Getty, l’opera potrebbe essere stata commissionata proprio da un ramo di quella casata, rimanendo sempre in mani private. E forse proprio per questo è rimasta invisibile per tanto tempo.
Fu dipinta con ogni probabilità negli anni Trenta del Seicento, durante il soggiorno napoletano di Artemisia Gentileschi. Un periodo di piena maturità: la mano è sicura, la composizione ambiziosa, le dimensioni monumentali. È un quadro da artista affermata, sicura del proprio linguaggio. In quegli anni, Gentileschi riceveva commissionipersino dal re Filippo IVdi Spagna.
Il soggetto è emblematico. Ercole, per espiare un omicidio, viene condannato dall’oracolo di Delfi a servire come schiavo Onfale, regina di Lidia. Il più forte degli eroi finisce così ai piedi di una donna, costretto a filare la lana, mentre la sovrana indossa la sua pelle di leone e brandisce la clava. Il tutto con Cupido che sorride sornione accanto a loro. Non è solo un divertissement mitologico: è un ribaltamento simbolico. In una società dominata dagli uomini, Artemisia Gentileschi rovescia i ruoli di genere e mette al centro una donna che comanda. Quando il dipinto è arrivato al Getty, le condizioni erano critiche: schegge di vetro avevano forato la tela, una lacerazione attraversava il ginocchio di Ercole, mancava parte del naso.
Il restauratore Ulrich Birkmaier ha impiegato oltre due anni per riportare l’opera a uno stato leggibile.
Fondamentale l’aiuto iniziale del collega italiano Matteo Rossi Doria. E cruciale, anche, la tecnologia. Una radiografia ha rivelato un ripensamento dell’artista sul volto di Ercole: inizialmente dipinto di tre quarti, poi corretto per fargli incrociare lo sguardo con Onfale. Proprio quel pentimento ha permesso di ricostruire con maggiore precisione la parte mancante del viso.
Anche il piede della figura che suona il tamburello, in basso a sinistra, ha riservato sorprese. Un vecchio restauro aveva alterato la forma originale. Rimuovendolo, Birkmaier ha ritrovato tracce autentiche. Per reintegrare l’area, ha chiesto aiuto a Federico Castelluccio – attore noto per il ruolo ne I Soprano, ma anche pittore e collezionista di maestri antichi – che ha proposto una sua versione del piede, inviata in foto al Getty. Ora l’alluce mancante è lì, quasi intatto, ricostruito con un misto di filologia e intuito. Dal 10 giugno al 14 settembre, Ercole e Onfale sarà finalmente visibile al pubblico, nella mostra
Artemisia’s Strong Women: Rescuing a Masterpiece, al J. Paul Getty Museum di Los Angeles, accanto ad altre quattro opere della pittrice. Poi volerà in Ohio, al Columbus Museum of Art. E infine tornerà a Beirut, quando Palazzo Sursock verrà restaurato.
Un ritorno che sa di riscatto. Per una città ferita, per una memoria riemersa e per un’artista che, secoli dopo, non ha ancora smesso di sorprenderci. Anche tra le macerie