La Stampa, 4 giugno 2025
Trump, il lato oscuro dell’America
C’è chi ha la foto dei figli, chi quella del cane, chi il marito o la moglie. Donald Trump come salvaschermo del suo telefonino ha una foto di se stesso, come il mondo intero ha verificato qualche giorno fa, quando scendendo dall’aereo ha involontariamente mostrato il cellulare ai fotografi. Una notizia che non sorprende: nessun uomo politico ha usato la propria immagine nel modo in cui la sta usando Trump, per affermare il proprio potere, per spaventare, per far parlare, per far soldi.
Una iconodulia che passa per le immagini vestito da Papa create dall’intelligenza artificiale e per la miriade di ritratti e di fotografie che adornano i muri degli uffici della Casa Bianca, già sottoposta a un restyling tutto dorato per farla sembrare simile a Mar-a-Lago.
È notizia di ieri che a neanche sei mesi dal primo, Trump ha voluto un nuovo ritratto ufficiale. Addio, quindi, alla foto divulgata a gennaio, poco prima del suo insediamento, quella che lo ritraeva in primo piano sullo sfondo della bandiera americana, illuminato dal basso, con la cravatta blu, la spilletta con la bandiera e l’espressione corrucciata, con un sopracciglio alzato.
Benvenuta la nuova foto, molto simile alla precedente se non per qualche dettaglio. La cravatta ora è rossa. La bandiera è sparita, lo sfondo è nero. La luce è anche qui altamente artificiale, anche se meno accecante, gioca sui contrasti per – dicono gli esperti – nascondere il rilassamento della pelle sotto il mento a prezzo però di mettere più in evidenza le borse sotto gli occhi, che nella foto precedente erano quasi sparite.
Diversamente da quella durante il suo primo mandato in cui era sorridente, entrambe le immagini di questo mandato hanno in comune un elemento importante: ricordano la celebre foto segnaletica scattata nel carcere della contea di Fulton, ad Atlanta, dove Trump affrontava accuse (decadute dopo la vittoria del novembre 2024) relative ai tentativi di ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020. Uno scatto, quello, diventato per i fan del presidente un simbolo di resistenza e che ora compare su qualsiasi tipo di merchandising, dalle magliette alle cravatte, dalle tazze ai berrettini.
Non solo: la stessa foto diventata prima pagina del New York Post fa bella mostra di sé dentro a una cornice dorata, appesa sulla parete accanto allo Studio Ovale, un luogo di passaggio per chiunque sia convocato dal Presidente nel suo ufficio. Non ci vuole un master in psicologia per capire che è così che Trump vuole essere percepito, adulato, ricordato: come un uomo in grado di incutere timore prima ancora che rispetto.
Lontani sono i giorni in cui il presidente si faceva ritrarre a figura intera, rassicurante come un padre di famiglia, sereno come un leader che deve e vuole parlare a tutti. Anche attraverso le immagini ufficiali, Trump sembra parlare sempre e solo ai suoi sostenitori, con una modalità che è quella della lotta perenne, quel «fight fight fight» urlato col pugno alzato dopo il tentativo di assassinio a Butler, in Pennsylvania. Quel fotogramma di lui col volto sanguinante che è stato mercificato all’infinito, dall’acqua di colonia alle carte da gioco alla criptovaluta: secondo un’analisi del Washington Post, l’immagine apparsa sul memecoin ha contribuito a far guadagnare alle aziende affiliate a lui 312 milioni di dollari dalla vendita e 43 milioni in commissioni.
Una ossessione per l’iconografia che si sta pericolosamente avvicinando alla tradizione dei regimi dittatoriali: il mese scorso, il dipartimento dell’agricoltura ha affisso sulla sua facciata uno striscione gigante con il (vecchio) ritratto del presidente, accanto a un altro raffigurante Abraham Lincoln. Il mese prima, Trump stesso si era lamentato del ritratto appeso al Campidoglio dello Stato del Colorado. È «intenzionalmente distorto» aveva detto, scocciato che il dipinto lo raffigurasse con le guance gonfie e piene, con un’espressione da zio bonaccione, quasi sorridente. «Voglio che sia rimosso», aveva chiesto al governatore democratico dello Stato, cosa che i legislatori repubblicani del Colorado hanno rapidamente fatto.
Forse per evitare che altri ritratti che non gli piacciono finiscano appesi, lunedì Trump ha licenziato Kim Sajet, direttrice del National Portrait Gallery, museo d’arte di Washington che fa parte dello Smithsonians. La motivazione è che fosse sostenitrice delle politiche di diversità, equità e inclusione. Il sospetto è che Trump non fosse contento della didascalia da lei scelta posta sotto la foto appesa al museo e che, tra le altre cose, citava i suoi due impeachment, cosi come la sconfitta nel 2020 ad opera di Biden.