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 2025  giugno 04 Mercoledì calendario

Il governo blocca l’età della pensione. Apre ai migranti, cambia la Bossi-Fini

Nell’era di Trump, dell’America in bilico e delle agenzie di rating che promuovono la serietà del governo, il tema è scivolato in fondo all’agenda della politica. Di previdenza ormai si parla solo quando c’è da imporre sacrifici: è il caso della legge che prevede l’adeguamento dell’età pensionabile all’aumento delle aspettative di vita. Dal primo gennaio 2027 dovrebbe aumentare di tre mesi, ma per evitare conseguenze elettorali il governo fa già trapelare che non scatterà. «Entro la fine di quest’anno la misura sarà sterilizzata», conferma un’autorevole fonte dell’esecutivo. Eppure l’elefante nella stanza è sempre lì, protetto dalle nubi del futuro lontano, e da una politica sempre più concentrata su sondaggi e scelte di corto respiro. Per vederlo da vicino basta sfogliare l’ultimo aggiornamento della Ragioneria dello Stato sull’andamento della spesa pensionistica. A pagina 8 c’è un grafico (riportato qui sopra) che mostra l’andamento della spesa previdenziale. Ebbene, nonostante le riforme Amato, Dini, nonostante la legge Fornero (mai abolita) e grazie ad alcune controriforme (su tutte l’ormai mitica «Quota cento» varata dal governo gialloverde), la curva continuerà a salire per altri 18 anni, fino al 2043. Solo dopo di allora il costo delle pensioni inizierà la lenta discesa che nel 2060 la porterà sotto al 14 per cento della ricchezza del Paese, un punto e qualcosa inferiore ad oggi. Governare il bilancio di un Paese occidentale con un tale fardello è proibitivo. Spendere troppo per pensioni sottrae risorse ai più giovani, agli investimenti, allo stimolo di una crescita che quest’anno sarà dello 0,6 per cento, un quarto di quella della Spagna.
«Il Governo continuerà a lavorare per costruire quel nuovo modello di protezione sociale che i cittadini meritano e si aspettano da tempo», scrive Giorgia Meloni in un messaggio per un’iniziativa dell’Istituto di previdenza, l’Inps. Ma come si fa a costruire un nuovo modello di welfare se l’unica modifica significativa servirà a evitare il ritocco dell’età pensionabile? Lo ammette la fonte governativa citata poco fa: «Come dimostra l’esperienza spagnola, l’unica soluzione ragionevole sarà incentivare il numero dei lavoratori attivi modificando le norme sull’immigrazione». Tema delicatissimo, che in queste ore è costato caro al governo olandese, caduto dopo l’uscita dalla maggioranza dell’ultraconservatore Geert Wilders.
La questione ha fatto capolino qualche giorno fa in una conversazione in un angolo di Montecitorio fra la premier e l’ex ministro Pd Graziano Delrio, oggi presidente della Commissione bicamerale sull’immigrazione. A novembre del 2023 il governo ha approvato un generoso decreto flussi per permettere l’ingresso nel triennio 2024-2026 di 450mila immigrati regolari. E però nel frattempo il governo non ha fatto nulla per modificare la legge Bossi-Fini, ormai un collo di bottiglia: su dieci posti a disposizione, da due anni va a buon fine la domanda di un solo lavoratore straniero. È ormai convinzione comune a Palazzo Chigi che di questo passo del decreto flussi rimarranno solo le buone intenzioni.
Nella citata conversazione con Delrio la premier si è mostrata disponibile a ripensare le norme, tenuto conto dei problemi che arriveranno dal vice leghista Matteo Salvini, che ha ormai abbracciato le tesi più conservatrici delle destre europee. La necessità di rivedere la Bossi-Fini però ormai avvertita da tutti, al punto da entrare nella Relazione annuale del governatore di Banca d’Italia Fabio Panetta, non certo ostile al governo. Panetta ricorda la «scarsità crescente di manodopera nel turismo e nelle costruzioni» e cita le proiezioni Istat che stimano il crollo di cinque milioni di lavoratori attivi entro il 2040. In un approfondimento dedicato alle politiche migratorie si confronta poi la realtà italiana con quella europea: secondo Eurostat nel 2035 la popolazione fra i 15 e i 74 anni diminuirà dell’1,6 per cento in Italia, dell’1,4 in Italia, rimarrà stabile in Francia e Paesi Bassi, mentre aumenterà in Spagna di ben il 3,3 per cento. Scrive Bankitalia: «Più che gli ingressi per motivi di lavoro, le attuali politiche migratorie favoriscono i rincongiungimenti familiari. La complessità del quadro normativo, il cui impianto risale agli anni Novanta, e la frammentazione delle responsabilità tra diverse amministrazioni scoraggia ulteriormente l’ingresso di lavoratori stranieri». I dati non lasciano spazio alle interpretazioni: nel 2023 i lavoratori regolari che hanno effettivamente ottenuto il permesso di soggiorno sono stati 9.528 sugli oltre 127mila potenziali. L’anno scorso le documentazioni arrivate in fondo alla procedura sono state ancora meno: 9.331 sui 119mila posti disponibili. A far letteralmente crollare le domande presentate sono due passaggi, il primo nei consolati, il secondo negli uffici visti. «Per quanto ci consta si tratta in grandissima parte di lavoratori che hanno già una occupazione in Italia. Un Paese normale dovrebbe discutere di questi temi da molto tempo», dice Delrio. La proposta del parlamentare – che Meloni ha promesso di approfindire – sarebbe quella di adottare procedure snelle e on line come avviene in Canada e Australia, utilizzando lo strumento della sponsorship, ovvero il sostegno delle aziende in cerca di manodopera. Piaccia o no, il futuro delle pensioni dei giovani e dei meno giovani passa da queste soluzioni. Lo spirito del tempo fin qui ci ha raccontato solo di respingimenti e rimpatri.