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 2025  giugno 04 Mercoledì calendario

"Cambiando azienda avrei fatto più soldi Ma io sto bene in Rai"

Carlo Conti ha chiuso la sua stagione ’24-’25 su Rai 1. A fine maggio, grande maratona benefica da Assisi, «Con il Cuore nel Nome di Francesco», sembrava di stare a Sanremo, Lucio Corsi, Arisa, Coma_Cose, Rocco Hunt, Marcella Bella, Simone Cristicchi, Amara, Settembre, Gabriele Cirilli, musica, racconti e solidarietà. Buon successo di pubblico e magari una benedizione divina, «proviamo anche con Dio non si sa mai», chioserebbe l’Ornella Vanoni. Il giorno prima, era stato al Festival della tv, una bella sfacchinata Firenze-Dogliani-Firenze-Assisi, «ma tanto la mi moglie e il mi figliolo erano andati a trovare i parenti, nessuno mi aspettava a casa». È nato sotto il segno dei Pesci cantato da Venditti, il 13 marzo 1961; suo padre, Giuseppe, è morto quando lui aveva un anno mezzo. Figlio unico, è cresciuto con la madre Lolette. Tanta strada nei suoi sandali, e questa la direbbe il quasi omonimo, Conte al singolare, Paolo. Si diploma in ragioneria, peraltro con 60 sessantesimi, il secchione, e ottiene l’agognato posto fisso in banca, e questa ben la conosce Checco Zalone. Parla un italiano perfetto, «e certo, son fiorentino», ama la radio, perché libera la mente, alla Finardi. Ne fonda e ne dirige svariate, poi il teatro, le tournée, la tv, i libri, la paternità in età matura, i successi, «I migliori anni», il «Tale e quale show», che torna a settembre, «L’eredità», Miss Italia, i galà di Capodanno e dei David, i Festival di Sanremo 2015, 16, 17, 25 e 26 sicuro, poi si vedrà. Sempre Rai, mai una polemica, mai una defezione. Un rapporto quasi fideistico.
Che rapporto ha con la fede?
«Il mio rapporto con la fede è che io credo. Ci sono gli insegnamenti che ho avuto fin da piccolo, c’è l’esempio di questa donna, la mia mamma – non mia mamma, proprio “la” mia mamma, Lolette – che quando è rimasta vedova, e io ero piccolissimo, si è rimboccata le maniche e mi ha tirato su da sola con l’aiuto della Provvidenza. Quindi sono cresciuto con una fede forte in casa, e ho un buon rapporto con l’Onnipotente. Molto personale, non troppo attento alle regole, forse, ma sincero. E ho anche grande grande rispetto per le altre religioni e per le altre fedi».
Sempre ecumenico: ad Assisi ha chiuso la stagione tv, che rapporto ha con la vacanza?
«Molto buono. Negli anni sanremesi ascolto le canzoni anche d’estate, è un lavoro dal quale non si stacca mai. Ma io ritengo sia un non-lavoro, perché è la mia passione. E quindi mi sento in vacanza anche se lavoro e lavoro anche se sono in vacanza e niente mi pesa. Beh, è una gran bella vita da privilegiato. Dalla mia attività non dipende la vita di nessuno, io cerco di regalare un po’ di svago e di leggerezza».
Che rapporto ha con i social?
«Sono piuttosto a-social. Li rispetto e ne capisco la portata, ci mancherebbe, ma non li uso molto. Ogni tanto posto qualcosa, ma che non c’entra con il lavoro. C’entra magari con la pesca: non pesco quasi niente, però è un’attività che mi rilassa. Prima dei social c’erano i giornali, altre potenziali fonti di turbamento. Non che non li leggessi, ma ho questo carattere per cui, senza sforzo, le critiche mi scivolano via. Se ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità, son già contento. Son portato a vedere il bicchiere mezzo pieno, a non rincorrere mai niente, ad accontentarmi».
Accontentarsi? Non parrebbe.
«Lo chieda al mio commercialista. Se avessi cambiato e ricambiato azienda, avrei guadagnato molto di più, lui me lo ricorda sempre. Ma se io alla Rai mi trovo bene, perché devo cambiare?».
Lei vuole continuare a lavorare in eterno?
«Fino a quando mi capita di andare al supermercato e di trovare dei ventenni che mi salutano e mi dicono: “Dai, facci la scossa, facci la ghigliottina” perché vedevano “L’eredità” quando erano bambini e ancora la ricordano, beh, fino a che mi accade questo, io son contento di andare avanti».
E i punti di share?
«Come per i social e i giornali. Li rispetto ma non mi condizionano».
Se Sanremo diminuisse gli ascolti, lei sarebbe così serafico?
«Se avessi la consapevolezza di aver fatto del mio meglio, le assicuro che lo sarei».
Intanto Sanremo va bene: il mix, il minestrone, la macedonia funzionano ancora?
«Trattandosi di Sanremo, direi più un bouquet di fiori. Individuare brani che colpiscano tutto il potenziale pubblico, credo sia sempre una carta vincente».
Bisogna trovarli però quei brani: lei si fa aiutare?
«Per le nuove proposte c’è un gruppo di selezionatori. Quelle dei “big” le scelgo io».
Ci sono dei “big” che nessuno spettatore medio ha mai sentito nominare: non è assurdo, per un festival popolare?
«Ma no, fa parte del bouquet. E non è nemmeno vero che voglio fare un festival pensato apposta per essere frammentato e andare sul web. Io ragiono sempre su una gara di canzoni».
E la diatriba col Comune?
«Mi sembra risolta. Il Festival di Sanremo si fa a Sanremo, con la Rai».
Non ci può dare qualche anticipazione?
«No. Perché non ne ho».
Su co-conduttrici e co-conduttori?
«Non ho idea. Davvero».
Ospiti, almeno?
«Quelli, poi. Sa quando abbiamo firmato il contratto con i Duran Duran? Il giorno prima della loro partecipazione. Sanremo è una bolla che vive a sé stante. Prima e dopo, si torna normali. Non vedo l’ora che finisca, per andare al supermercato».
Ma ci va sul serio?
«Altroché. Ci andrei da solo con mio figlio Matteo, ma mia moglie ci insegue perché dice che noi due insieme facciamo danni».
La infastidiscono le conseguenze della celebrità?
«No. Anzi sono un termometro importante. Quando nessuno mi riconoscerà, quando non sentirò più l’affetto del pubblico, quello sarà il segno che devo smettere di lavorare».
Un altro segnale importante?
«La morte improvvisa di Fabrizio Frizzi. Oltre al mestiere, ci legava una vera amicizia e ci accomunava la paternità tardiva, e consapevole. La sua morte ha cambiato la mia vita. Non solo il dolore, ma l’evidenza della nostra precarietà. Quindi ho lasciato il quotidiano, cioè il preserale, per dedicarmi solo agli altri programmi. Non avere una trasmissione quotidiana mi ha cambiato la vita, e mi ha lasciato più tempo da dedicare alla famiglia. Ci siamo trasferiti da Roma a Firenze. Anche perché mio figlio cominciava a chiamarmi papà invece che babbo. E mi ha chiesto se poteva tifare metà Fiorentina e metà Roma. Lei capisce che questo, sì, era insostenibile».