Sette, 3 giugno 2025
La solitudine dei calvi, tra anti-ormoni, interventi e viaggi in Turchia: «Pacchetti da 2.500 euro. Per superare un’ossessione»
La straordinaria trasformazione estetica di Carlos Augusto, con quella chioma incredibilmente rinfoltita in soli 4 mesi, è diventata un tema di dibattito tra i tifosi dell’Inter. Il difensore brasiliano lo aveva annunciato in un’intervista e, approfittando del tempo libero, la scorsa estate fra la fine del campionato e la mancata convocazione per la Coppa America con la sua nazionale, ha agito. È solo uno degli ultimi eclatanti esempi tra i calciatori che – la moda insegna – sono diventati i più accreditati testimoni della nuova vanità maschile. Tra i precursori del trapianto i tifosi citano subito Antonio Conte, che – si dice – già nel 2000 si sarebbe sottoposto a ben tre interventi per porre rimedio al problema. Niente capelli prima, tanti oggi. E poi il bello per eccellenza, David Beckham, che aveva visto la sua chioma bionda stile Backstreet Boys svanire di partita in partita e ormai da anni, invece, si mostra in pubblico e nelle foto come un affascinante cinquantenne senza rughe e dalla chioma rigogliosa. Stessa trasformazione per il campione del mondo 2006 Fabio Cannavaro, che aveva iniziato a rasarsi a zero, forse nel tentativo di nascondere una stempiatura sempre più evidente, e ora sfoggia un capigliatura a spazzola.
I calciatori sono solo la punta di un fenomeno sociale (e culturale) che sta condizionando l’immaginario collettivo. Con il fiorire dei nuovi trattamenti e degli impianti diretti senza punti di sutura o incisioni i capelli vengono spostati dalla nuca alle «piazze»: accettare la calvizie sembra essere diventata una scelta penalizzante, una sorta di solitudine del calvo in un mondo di chiome folte. E pazienza se insieme con la calvizie si rischia di perdere anche un aspetto naturale della mascolinità.
«Sta cambiando radicalmente il rapporto degli uomini con la propria immagine», racconta Filippo Magistretti, medico estetico specializzato in tricologia e trattamenti per il viso che pratica negli studi di Zurigo e Milano. «Si parla tanto di body positivity, ma per gli uomini il fatto di perdere i capelli è ancora considerato uno stigma senza rimedio. È un problema che devo affrontare tutti i giorni. Questi ragazzi hanno 35-40 anni, sono bei fusti, muscolosi: alla prima stempiatura arrivano da me come se avessero perso un occhio o avessero scoperto una malattia grave. Un atteggiamento che, lo ammetto, fatico a comprendere, probabilmente per una questione generazionale».
Magistretti parla con cognizione di causa, incarna il ruolo di medico e paziente. «Io ho fatto tutto quello che si poteva fare: face-lift, blefaroplastica, trattamenti stimolanti come Morpheus e Ultherapy, trapianto di capelli, e ora vivo bene i miei 70 anni».
Ha provato sulla sua pelle il cosiddetto biofeedback: «Quando ti guardi allo specchio e hai la sensazione di vedere una persona severa e dimessa, sei portato a immedesimarti in quell’immagine mentre se ti percepisci più giovanile sarà più giovane anche il tuo comportamento. E il tuo entourage percepirà questo atteggiamento come un tratto della personalità».
«Posso dire che quando vedo le mie foto prima e dopo il trapianto riconosco che sto meglio, che è stato intelligente farlo, ma la stempiatura non era così determinante» racconta il dottore. «La decisione del rinfoltimento è arrivata durante un corso per il mio lavoro in Grecia tenuto dagli esperti del gruppo DHI (Direct Hair Implantation) considerato leader mondiale in fatto di trapianto dei capelli. Dovevamo sperimentare a vicenda le nuove tecniche e io pensavo che il collega che si stava prendendo cura di me avrebbe applicato un massimo di mille capelli; invece mi ha disegnato sulla fronte questo aumento di due o tre centimetri per un totale di 4.000 capelli. Ero incredulo, mi sentivo un po’ uomo di Neanderthal, ero molto scettico e invece sono rimasto molto soddisfatto. Però, ripeto, considero più importanti altre modificazioni del viso, per esempio la ruga glabellare, quella riga profonda in mezzo agli occhi, che a me disturba ben di più rispetto a una stempiatura: ti conferisce un carattere severo, duro; cerco di spiegarlo ogni volta a un mio paziente, ma non gliene importa niente, a lui interessano solo i capelli».
«Questa forma di idiosincrasia nei confronti della calvizie è scoppiata negli ultimi 15-20 anni: prima avere pochi capelli non era un disonore, semmai un inconveniente legato alla genetica e al diventare adulto», racconta l’esperto.
«Nell’era social, la percezione della bellezza è cambiata in modo esponenziale, Instagram e TikTok promuovono modelli omologati a discapito dell’unicità», interviene da Beverly Hills Renato Calabria, chirurgo plastico delle star. E se oggi le ragazze si presentano dal chirurgo con le immagini delle Kardashian o di Belèn per avere labbra carnose e zigomi prominenti, i ragazzi coltivano il sogno di dorsi e ventri scolpiti completamente glabri, ma devono avere tanti capelli in testa.Oltreoceano i ragazzi sono tornati a farsi la permanente e proprio gli uomini guidano la tendenza, osservava il Guardian. «Si possono avere soldi, ricchezza e potere, ma per gli uomini avere capelli folti è sinonimo di mascolinità, virilità e identità», ha spiegato Pascal Matthias, docente dell’Università di Southampton, «i capelli rappresentano più di un semplice stile».
I modelli sono cambiati. Anche il cinema penalizza calvi e stempiati e persino sex symbol come Kevin Costner hanno dovuto correre ai ripari. Dove sono finiti gli Yul Brynner e i Bruce Willis che hanno fatto sognare generazioni di donne, per non parlare di Sean Connery con la sua nuca spianata e la barba bianca, eletto uomo più affascinante del Novecento, senza se e senza ma? «Dalle star di Hollywood agli atleti, fino agli imprenditori e ai membri delle famiglie reali, DHI ha trattato oltre 250.000 pazienti in tutto il mondo nel combattere la caduta dei capelli», proclama il sito del gruppo greco, dove campeggia la foto di un entusiasta Ronald de Boer, ex calciatore, oggi con una folta chioma accanto all’immagine di qualche anno fa che ce lo riporta stempiato e con micro-ciuffetto al centro.La pressione sociale che mina l’autostima ha scatenato il business della ricrescita. Lo ha colto al volo Cristiano Ronaldo. Il campione di calcio e di marketing (653 milioni di follower) nel 2022 ha aperto a Milano la prima clinica italiana per il trapianto di capelli del Gruppo Insparya, fondato insieme con il manager portoghese Paulo Ramos. «Dopo 16 anni di esperienza ottenuta in Spagna, Portogallo, Italia e Oman, con oltre 60.000 trapianti eseguiti, l’obiettivo è di rafforzare la nostra leadership e posizionarci come forza trainante nella cura dell’alopecia e della salute dei capelli», spiegano dal sito i due soci accanto all’immagine di un sorridente Ronaldo dalla folta chioma.
Oggi, poi, la vera concorrenza arriva dalla Turchia, con tanto di viaggi charter e hotel quasi occupati esclusivamente da uomini alla soglia dei 30 anni che rincorrono il sogno di tornare con i loro bei ciuffi giovanili. «Ho tanti pazienti che vengono da me per chiedere un preventivo» ammette Magistretti «ma quando parlo di circa 7 mila euro, mi confidano che andranno in Turchia dove le offerte sono a 2.500 euro». Ai primi posti delle ricerche su Google spicca EuroInstanbul, pacchetti all inclusive (3 pernottamenti in hotel, autisti personali e traduttore in clinica) con le nuove tecniche DHI o FUE (Follicular Unit Extraction) che non richiedono punti di sutura o incisioni.
«In parte il nostro prezzo è giustificato dal fatto che l’operazione all’occidentale prevede uno smistamento accurato dei bulbi prelevati – da 1, 2, 3 o 4 peli – perché durante l’innesto hanno una destinazione diversa», continua Magistretti. I capelli singoli sono utilizzati per fare la frontiera, poiché puoi orientarli in base alle preferenze del paziente, a spazzola, con la riga a destra o a sinistra».
Sarà dunque questa l’ultima generazione di riporti e posticci con polveri addensanti che rendono surreali le teste di certi politici e conduttori televisivi? Piccoli gesti di occultamento che non sempre ottengono il risultato sperato da chi li adotta – apparire più giovane e vitale – e invece raccontano una storia di vulnerabilità.
«Vedo pazienti che ci soffrono tantissimo», racconta Alberto Aronica, medico di base milanese alle prese con ragazzi poco più che ventenni che si presentano in ambulatorio su indicazione del dermatologo per avere la ricetta della Finasteride a un grammo. «Non esiste in questo dosaggio in commercio e quindi occorre farlo fare dal farmacista. Si tratta di un anti-ormone, blocca gli ormoni androgeni il cui eccesso rende più fragili i capelli. È un farmaco usato per i problemi di prostata e io li metto in guardia rispetto ai possibili effetti collaterali, come la diminuzione della libido, ma questi ragazzi sono talmente fissati con i capelli che è difficile dissuaderli. È un problema psicologico che ha a che fare con l’accettazione di sé e l’autostima e per lo stesso motivo si sfiancano per gonfiare i muscoli. Tra l’altro proprio in questi giorni è uscita una informazione dell’Aifa perché sono stati rilevati effetti suicidari con l’assunzione di questo farmaco e quindi bisogna fare molta attenzione».
«L’approccio ai capelli è completamente diverso anche rispetto a quello del viso» conferma Magistretti. «Mentre sulla pancetta o una ruga l’uomo arriva e si pone ancora delle domande, la calvizie androgena – che è ereditaria – diventa un’ossessione, uno scoglio che si vuole assolutamente superare. Mi colpiscono quegli uomini che hanno provato tutto e hanno la storia della tricologia impressa sulla loro testa. Si sono sottoposti a ogni tortura sperimentale della chirurgia, dai primi trapianti che prevedevano lo scollamento di lembi di cuoio capelluto dalla nuca poi ruotati sulla parte anteriore, alll’applicazione di Minoxidil e le iniezioni di Prp, ino ai tatuaggi».Le cliniche di trapianti come DHI mettono a disposizione uno psicologo per aiutare a superare la delusione di chi ha una zona troppa vasta da poter essere compensata con il numero massimo di innesti, fissato attorno ai 4-500 bulbi. «Si può accettare la realtà e pure piacersi. È quello che ha fatto dopo alcuni tentativi deludenti anche John Travolta», ricorda Renato Calabria. «È vero che c’è un grande interesse attorno ai capelli, ma come nella anti-aging anche per perfezionare la scienza del capello ci vorrà ancora una ventina di anni. Certo oggi i trapianti sono più facili, ma anche chi vi si sottopone poi deve fare i conti con il progressivo diradamento dovuto all’età. Calvi e stempiati per il momento non si sentiranno soli».
La ricerca anti-baldness è diventato il nuovo passatempo, il trapianto è più normalizzato, eppure gli uomini vivono ancora il problema dei capelli come un grande tabù al pari dell’impotenza, osservano i medici. Ne ho la prova quando un pierre milanese si propone di farmi parlare con un amico appena tornato dalla Turchia dove ha eseguito il trapianto, ma lui non ne vuole sapere, neppure dietro la garanzia dell’anonimato.«Il rapporto psicologicamente doloroso dell’uomo con i capelli ha radici antiche, fonda nel mito di Sansone e Dalila», ricorda la psicologa e sessuologa Chiara Simonelli. «Purtroppo la sorveglianza per il corpo e il senso di vergogna che prima erano tipicamente femminili sono passati ai ragazzi. Alla fissazione per la dimensione del pene si è aggiunta quella per i capelli. Si fanno mille cose per la capigliatura, deve essere naturale o sembrare tale». Come si spiega il senso di vergogna a parlarne? «Alla body positivity le donne lavorano da tempo mentre gli uomini hanno appena cominciato». I figli e i nipoti dei cinquantenni di oggi assisteranno alla fine della calvizie? «Non credo, perché c’è sempre qualcuno controcorrente per fortuna, magari rimarrà una minoranza intelligente, che ne saprà fare un punto di forza. Non resta che sperare nei nipotini di Agassi e Zinédine Zidane».
Chi certamente ci è già riuscito è Stuart Heritage, autore di Bald: how i slowly learned to not hate having no hair (Calvo: come ho imparato lentamente a non odiare la mancanza di capelli) sottotitolo «Anche tu puoi farlo». Heritage ha trasformato la sua esperienza in un memoir schietto e umoristico, con un uovo in copertina metafora della testa pelata, che racconta la battaglia personale dell’autore, dai primi tentativi di nascondere il diradamento con trattamenti costosi e tagli disastrosi fino all’accettazione dell’inevitabile. «Sono completamente calvo da quattro anni» racconta il 40enne, «Avevo capelli biondi e lucenti e quella è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha chiamato cool guy». Insomma, l’auto-ironia contro la vergogna e i sensi di colpa. Perché si può diventare calvi con dignità.