Corriere della Sera, 3 giugno 2025
Craxi, Bossi, Cofferati. Quando i leader invitavano a disertare le urne
«Chi ci ha combattuto tentando di far mancare il quorum con una campagna sleale adesso fa finta di niente. Non si è accorto di essere stato seppellito da una valanga fatta di milioni di persone stufe di questa vecchia politica. Tutto questo è chiaro come il sole. E adesso l’unica confusione che c’è in giro è quella nella testa di Craxi».
Ecco, tutti ricordano quello che successe prima di quel 9 giugno del 1991 che segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica; e tutti ricordano l’invito a disertare le urne del referendum sull’abolizione della preferenza multipla che Bettino Craxi aveva messo a verbale con il celebre suggerimento ad «andare al mare», pronunciato qualche settimana prima della consultazione mentre saliva su un’autovettura che lo portava in giro per la Sicilia, dov’era impegnato in una soleggiata (da lì il riferimento al mare) campagna elettorale delle Regionali. Non esiste un video della frase, consegnata dai taccuini dei cronisti all’eternità della storia politica nostrana. Esiste, da qualche parte nelle teche Rai, un frammento dello sprezzante «passami l’olio!» con cui il leader socialista, la domenica prima del voto, si rivolse a un commensale dando le spalle a un giornalista che continuava a chiedergli del referendum, mentre lui era impegnato in un pranzo a margine di una sortita garibaldina a Caprera.
Questo è il prima. Il dopo, riassunto nella frase sulla «confusione esistente nella testa di Craxi» pronunciata dal raggiante leader referendario Mariotto Segni a quorum in cassaforte (62,5%) e risultati acquisiti (95,6% di sì), è il sogno che i più ottimisti tra i referendari applicano trentaquattro anni dopo al destino politico di Giorgia Meloni; che ieri ha identificato nella formula «vado a votare ma non ritiro le schede» la sua inedita – almeno per un capo di governo italiano – via all’astensione referendaria. Il quando non è un aspetto secondario: andrà domenica, lasciando che la scena inedita della sua presenza al seggio ma senza schede faccia il giro delle tv e del web, scatenando un possibile effetto boomerang? Oppure lunedì, quando i giochi sull’affluenza rischiano di essere fatti? E qui anche i più ottimisti tra i referendari si fanno pessimisti («Andrà lunedì poco prima della chiusura delle urne», è la riflessione più gettonata).
Un mare di polemichePerché l’astensione referendaria, ogniqualvolta coinvolge un leader, è sempre accompagnata da polemiche. E, spesso, da un calcolo errato sull’affluenza. Nel 1985, all’alba della consultazione sulla scala mobile, il nume tutelare dei referendari italiani Marco Pannella teorizzò il sabotaggio del quorum come unica via per salvare il provvedimento voluto dal governo Craxi. Lo disse alla maniera sua, in pannellese stretto, facendo ricorso alla doppia negazione: «È assolutamente impossibile non vincere la prova referendaria facendo ricorso all’ipotesi, prevista dall’articolo 75 della Costituzione, del rifiuto del voto di oltre il 50 percento degli aventi diritto». Si sbagliava, tanto sul quorum (77,85%) quanto sull’esito (vinse il no, che sfiorò il 55%).
Da Bossi a BerlusconiCome si sbagliavano nel 1991 Bettino Craxi e il suo arcinemico Umberto Bossi, entrambi pro astensione, scommettendo sul fallimento del voto contro la preferenza multipla. Qualche sparuto sondaggista disse che il quorum poteva essere centrato? «E allora gli andrà ritirata la licenza», irrise il leader socialista sicuro della sua scommessa, poi trasformatasi in un naufragio.
Pd e trivelleTerrorizzato dal precedente craxiano, all’epoca del referendum sulle trivelle del 2016, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si mosse nell’ombra. La minoranza del partito di cui era segretario scoprì soltanto da un’informativa dell’Agcom che il Pd era stato iscritto al fronte del non voto. Poi uscì allo scoperto, definendo il referendum «una bufala», quando era chiaro che il quorum era meno che un miraggio.
Cinque anni prima, all’alba dell’ultima consultazione col quorum raggiunto – nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento – Silvio Berlusconi, all’epoca capo del governo, disse che non sarebbe andato a votare. «Tanto sono iniziative demagogiche, si vota sul nulla». Si smarcarono da lui i due presidenti delle Camere, Gianfranco Fini e Renato Schifani, e anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Sorpresa a sinistraCi sono casi, poi, in cui l’astensione di un leader lascia di stucco anche il suo stesso popolo. È il caso di Sergio Cofferati, che nel 2003 marcò visita alla consultazione, promossa da Rifondazione comunista, per estendere i benefici dell’articolo 18 anche alle imprese con meno di sedici dipendenti.
«So che deluderò molti di voi ma la mia posizione è nota da tempo. Sono contrario perché finisce per dividere quello che in questi mesi abbiamo edificato». I vertici degli altri partiti di centrosinistra, con cui tirava di fioretto un giorno sì e l’altro pure, per una volta furono d’accordo con lui. Gli dette ragione anche la storia: alle urne si presentò un avente diritto su quattro.