la Repubblica, 3 giugno 2025
Enrico Vanzina: “I social hanno ucciso la commedia. Quando ho un dubbio chiedo aiuto a mio fratello”
Enrico Vanzina parte da un ricordo preciso: “Ero giovanissimo, sul set, quando papà girava la scena degli spaghetti con Alberto Sordi in Un americano a Roma. Ecco quella è per me l’esempio più meraviglioso sull’identità culturale italiana. C’è un giovane ragazzo italiano nel dopoguerra che sogna l’America, è fissato con l’America, vuole mangiare all’americana… e poi a un certo punto non ce la fa, e ritorna a mangiare gli spaghetti. Quella è una scena fortissima, in commedia, che dà una lezione profonda su cosa significa essere italiani”.
Il tema dell’identità culturale è al centro del Festival internazionale di Pompei, dal 3 all’8 giugno, di cui il regista è direttore artistico “anche per questo ho accettato l’incarico. Avevo viaggiato in tutto il mondo solo pochi anni fa sono arrivato a Pompei e ho avuto uno shock: “Com’è possibile che non sapevo ci fosse questa cosa che mi riguarda?”. Perché lì ho capito tutto: di noi, di me, del passato… e mi ha fatto pensare all’importanza dell’identità culturale”. La presidente è Annarita Borelli (“vogliamo raccontare il mondo da Pompei, attraverso il cinema. Un progetto necessario che vuole diventare punto di riferimento culturale, economico e sociale”). “E devo ringraziare – dice Vanzina – il MaxiMall Pompeii senza il quale non potremmo fare il Festival”. Tra gli ospiti Marco Risi, Gianni Amelio, Marco Tullio Giordana, Neri Parenti, Luca Ward.
Che Festival sarà?
“Non siamo Venezia o Cannes, ma ci sono otto film in concorso da Giappone, Cina, dal Kenya, Messico Turchia, Francia. E corti interessanti, e incontri d’autore: Marco Tullio Giordana, Gianni Amelio, Neri Parenti, panel tematici: su come il linguaggio del cinema italiano abbia contribuito a fortificare e modificare la lingua italiana, come i costumi del cinema abbiano influenzato la moda italiana, e sul cineturismo, se pensi a film come Sapore di mare o Vacanze di Natale, quanto hanno contribuito ad aumentare il turismo in certe località”.
Parliamo di identità culturale.
«Tema interessante, controverso. La intendo come l’esatto opposto di innalzare barriere. La rivoluzione delle piattaforme ha portato un pensiero globale, vantaggi e prezzi da pagare: la globalizzazione, un algoritmo universale che regola le storie, il modo di fare le cose. Il rischio è perdere l’identità culturale del racconto, la difesa è affidarci all’unicità della nostra cultura religiosa, politica, geografica, storica, culinaria. Il mio Festival serve a confrontare le sensibilità, aumentare gli scambi».
La sua foto del cinema italiano?
«È in un momento di smarrimento. Da un lato i segnali – ancora non chiarissimi – sugli aiuti di Stato, tax credit, i meccanismi e le regole del futuro. Detto ciò credo, da sempre, che il cinema non debba appiattirsi solo sugli aiuti di Stato. Non si possono fare dei film tanto per farli, ignorandone poi l’esito. Il cinema deve essere anche e soprattutto un’operazione di industria privata, che cerca di far pensare, emozionare il pubblico, puntando sul ricavo delle sale. E poi c’è una crisi creativa. Con le piattaforme abbiamo perso il gusto per un genere, la commedia, che abbiamo raccontato meglio di tutti: oggi è diventata ideologica, si sono perse le tracce dei fondamentali. C’è un parco attori che è sempre lo stesso. E abbiamo perso i giovani, su cui avevano scommesso e perso i multiplex nelle periferie, mentre il pubblico adulto ha trovato in città le sale chiuse. Oggi i ragazzi si raccontano in storie minime su YouTube, TikTok. Nanni Moretti, Verdone, noi, abbiamo raccontato la nostra generazione. I giovani oggi non trovano film per loro».
Oggi la commedia è ideologica?
«La base della commedia – me lo disse Scola tanti anni fa – è: vanno rispettate le ragioni degli altri, anche per i personaggi negativi. La commedia non deve essere mai moralista. Oggi si dividono i buoni e i cattivi, si raccontano solo brandelli di società. Nei drammi le difficoltà delle periferie, le commedia sono quasi tutte storie d’amore. È venuto fuori un sottotesto dei dialoghi che fanno nel Grande Fratello. Manca una commedia con uno sguardo preciso sul Paese».
Che racconterebbe lei?
«La classe media che non sa più cos’è, non ha riferimenti, anche ideologici. La cosa più terribile è che siamo rassegnati al presente. Bombardati da troppe notizie, non riusciamo a pensare. Non abbiamo più il tempo di fare un piano della nostra vita, anche esistenziale».
La politica?
«Mi piacerebbe un film su come viene fatta oggi: con i like, con le fake news… È tutto virtuale. Tra i politici c’è un trasformismo continuo. Conta quello che dici nell’immediato, poi lo smentirai. Una totale rincorsa ai sondaggi».
Teme l’intelligenza artificiale?
«No. Temo di più la cretineria corrente. L’intelligenza artificiale porta vantaggi, ma sulla creatività preoccupa. Intere generazioni sapranno fare tutto senza sapere come si fa. Ma l’IA non sa fare ironia, su questo siamo ancora salvi».
Lei dice spesso “noi”. Il ricordo di suo fratello Carlo è con lei?
«Mi accompagna moltissimo. Ora, mentre le parlo, ho la sua foto sulla scrivania, davanti a me. Quando non so fare qualcosa mi dico “come la faresti tu?”. Di solito mi risponde. Nel tempo tutto è diventato più dolce. Sono il maggiore, pensavo di morire prima io. Avevo calcolato male e ciò mi ha fatto arrabbiare molto. Oggi la rabbia è passata».
I vostri film sono il racconto di un pezzo di storia del Paese.
«Pure troppo. Come ci fosse un piano strategico per raccontare l’Italia nei trent’anni successivi. Non era così. Facevamo ciò che avevano fatto, meglio, prima di noi. Guardavamo l’Italia, raccontavamo le storie quotidiane, le persone si riconoscevano. Se metti insieme i miei 120 film un piccolo ritratto dell’Italia che cambiava c’è. A partire da Vacanze di Natale, che fotografava una borghesia che aveva rinunciato all’essere per l’avere, le differenze regionali».
Il set più bello, il più disastroso?
«Vacanze in America, quando abbiamo girato la partita di calcio nei luoghi di Zabriskie Point di Antonioni, metacinema vero. Il set più triste la mattina in cui sono andato sul set di Natale a 5 stelle e Carlo non c’era: è stato un disastro esistenziale. Ringrazierò sempre Marco Risi, che ha fatto il gesto meraviglioso di sostituirci».