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 2025  giugno 03 Martedì calendario

Intervista a Frank Matano

“A 15 anni ero molto timido. Quando sono arrivato a Providence, Rhode Island ho detto ‘qui non mi conosce nessuno, posso provare a non essere timido’. Inoltre avevano appena inventato YouTube. Se non fossi andato in America non credo proprio che oggi farei il comico”. Frank Matano, 35 anni, mamma americana e papà di Carinola (in provincia di Caserta), dopo il boom su YouTube, è stato una “Iena”, giudice di talent, concorrente in Lol, spesso ospite nel Gialappa’s show.
È una delle voci della serie cartoon Il baracchino (su Prime Video), che racconta le vicende di un club in crisi, ex tempio della comicità, mecca di ogni aspirante comico ora in rovina. Maurizio (Lillo Petrolo), il proprietario stanco e disilluso, è pronto a chiudere, ma Claudia (Pilar Fogliati) un’aspirante art-director idealista, non si arrende.
Come è stato coinvolto in questo cartoon comico?
"Nicolò Cuccì e Salvo Di Paola hanno creato la serie in un garage, dalla loro passione per l’animazione e da un’ideuzza che pensavano solo per i social. Il mio coinvolgimento è un po’ casuale, ho visto una clip di Salvo, che reputo un comico bravissimo, e gli ho scritto un messaggio di complimenti. Lui mi ha risposto subito: ti piacerebbe doppiare una ciambella? E io ho detto sì”.
La ciambella Donato. Quanto spazio di improvvisazione avete avuta?
"Molta. Io avevo già doppiato cartoon ma cartoon americani: Southpark, Zootropolis, Sing. Per quelli naturalmente c’erano i dialoghi da seguire fedelmente, parola per parola la traduzione dall’inglese. Qui non c’era ancora l’animazione quindi io avevo la foto di Donato e il copione ma con la grande libertà di cambiare quello che volevamo. Siamo andati a ruota libera, abbiamo inventato un sacco di battute in sala di doppiaggio e ho anche fatto proposte per l’animazione. Per esempio ho detto che sarebbe stato carino se Donato girandosi mostrasse due chiappettine dolci, da mordere, piccole, piccole e loro gliel’hanno fatte quindi quando è di spalle si vedono”.
In Italia l’animazione per adulti è poco diffusa. Negli Stati Uniti ci sono tantissimi titoli da South Park che ha doppiato, ai Simpson, i Griffin…
"Sì in Italia forse abbiamo solo Zerocalcare che fa animazione per adulti. Gli esempi di cartoon italiani sono praticamente tutti per bambini… Ovviamente non si possono paragonare colossi come i Simpson che sono 36 stagioni con niente di quello che abbiamo noi, senza parlare delle migliaia di animatori, collaboratori, che sono dietro a questi cartoon. Questo progetto è miracoloso perché è stato fatto con poche persone di grande talento”.
La serie celebra la stand up comedy. Tra tutti i comici italiani forse lei è il più adatto per chiarire in cosa la comicità americana è diversa da quella italiana.
“La stand up comedy americana è iniziata negli anni Settanta e poi è cresciuta sempre di più. Negli Stati Uniti tutti ambiscono a fare lo stand up comedian e ci sono centinaia di club che organizzano serate. Da alcuni anni sta crescendo anche in Italia questa febbre, anche se io sono convinto che il cabaret fosse già una forma di stand up comedy. Pensiamo a monologhisti fortissimi come il giovane Beppe Grillo che va a Sanremo, era pura irriverenza, Roberto Benigni con i suoi pezzi non aveva niente da invidiare agli americani. La differenza è che nella stand up comedy c’è la regola che si parli di sé e nel cabaret no”.
Quando ha capito che faceva ridere gli altri?
"Da piccolo facevo ridere la mia famiglia, soprattutto mia mamma che a sua volta è molto divertente, la facevo ridere in inglese anche perché se avevamo ospiti io le parlavo in codice... se dovevo parlare male di qualcuno lo facevo in inglese. A 18 anni ho capito che volevo fare questo di mestiere, ma era un segreto perché era un po’ ridicolo per me dire che di lavoro volevo far ridere, perché sapevo che ne esistono mille più bravi di te. Dopo i miei ho cominciato a far ridere la mia cerchia di amici e poi sono arrivati i video su YouTube. Ecco con quelli ho cominciato a far ridere un po’ più di persone”.
Youtube l’ha scoperto subito.
"Sì quando sono arrivato negli Stati Uniti, la piattaforma era appena nata e c’erano tanti ragazzi che facevano video e li caricavano e quello mi ha svoltato”.
Quando ha capito che con i video ci poteva anche vivere?
"Quando miracolosamente hanno aggiunto il programma che permette di abbinare ai contenuti la pubblicità, era il 2009, il 2010 e mi cominciarono ad arrivare i primi soldi. Ricordo quando mi è arrivato il primo assegno, io non avevo neanche il conto aperto. Sono andato con mio padre in banca e finché non abbiamo avuto i contanti in mano lui non ci voleva credere. La ricordo come una giornata incredibile, ho offerto la cena ai miei…”.
Suo padre era un carabiniere. Cosa pensava della sua volontà di fare il comico?
"Mio padre non è mai stato uno di quei carabinieri rigidi, è sempre stato pronto allo scherzo. Sia lui che mia mamma mi hanno sempre sostenuto. Certo mamma avrebbe voluto che facessi l’università, però poi ha capito che il lavoro funzionava ed è stata contenta così”.
Il piano B ce lo aveva?
"Sì volevo fare il professore di inglese, andavo all’Università di Cassino. In America con la mia famiglia sono stato un po’ più di un anno tra i 15 e i 16 anni poi siamo tornati in Italia, io sarei sempre voluto andare a vivere di nuovo negli Stati Uniti ma invece alla fine sono rimasto qua”.
Quale è stato l’incontro più importante?
“Quello con Davide Parenti, il creatore delle Iene. Anche con Giovanni Benincasa e i miei agenti Francesco Facchinetti e Niccolò Vecchiotti. Però a Parenti sarò sempre grato perché io non avevo i soldi per pagarmi l’affitto a Milano, perché non facevo più i video su YouTube e quindi non guadagnavo, e lui mi ha ospitato a casa sua per quattro anni. Ci dovevo stare poche settimane, ci sono stato quattro anni. Anni in cui mi ha insegnato tante cose. È stato un vero mentore”.
Del periodo a Le Iene, momento migliore e momento peggiore?
"Peggiore… mah la difficoltà di produrre un servizio. Non mi veniva facile, era faticoso sempre, molto impegnativo… praticamente sempre. Il momento migliore probabilmente il servizio su Mario Balotelli che è stato divertentissimo, mi sono sentito un detective. Lui all’epoca giocava nel Manchester City, noi volevamo provare a cambiare la sua immagine pubblica da “bad boy” a “good boy”… volevamo fargli salvare un gatto da un albero. Lo abbiamo trovato, lo abbiamo inseguito su un taxi alla fine gli abbiamo parlato ma lui ha detto: ‘ora non lo faccio, ma se mi ritrovi un’altra volta ok’. Quindi siamo tornati in Italia un po’ delusi dopo un paio di mesi ci è arrivata la soffiata che lui era in Italia, siamo andati a stanarlo e lui ci ha fatto il video. Il servizio è andato in onda”.
Lo scherzo a Paolo Brosio, a cui avevate fatto credere che il Papa lo cercava, lo annoveriamo tra i momenti alti o bassi?
"È stato un momento dolce amaro. Sicuramente uno degli scherzi più riusciti però aveva creato una delusione così forte in lui che già mentre facevamo lo scherzo mi ero pentito. Però quel servizio lo hanno visto in Vaticano e Brosio lo hanno invitato veramente a incontrare il Papa e abbiamo fatto un secondo servizio in cui era felice e non più arrabbiato. Una storia a lieto fine”.
È vero che i social hanno reso il mestiere del comico più difficile?
“Verissimo. Intanto si vedono meno film comici in generale, se pensi agli anni Novanta in America quanti ce n’erano… il mio preferito è Scemo + scemo, ma erano veramente tanti i titoli divertenti. È difficile competere con il materiale comico che c’è oggi sui social, dai meme che girano su whatsapp alle cose che si postano su tiktok, i reel di instagram… ti basta scrollare cinque minuti e hai già la tua dose di comicità. Perché l’algoritmo è indicizzato su di te e sa già cosa ti fa ridere”.
Chi la fa ridere oggi?
"Quasi tutti gli stand up americani da Ricky Gervais a Louis C.K. Che è un gigante. Ma anche certi comici del passato come George Carlin o Richard Pryor. Forse lui è stato il più grande di tutti”.
Nel 2018 aveva scritto e interpretato Tonno spiaggiato.
"Sono ancora orgoglioso di quel film anche se non è andato benissimo al cinema. Ha una demenzialità e un candore che meritavano di più, secondo me. Chissà se in futuro riuscirò a farne un altro.
A proposito di social su Instagram ha postato una foto con Alberto Matano. Lo sa che è una delle domande più ricorrenti sui motori di ricerca se siete fratelli?
"Sì me lo chiedono spesso anche perché Matano non è un cognome comune come Rossi. Non chiederesti mai a Vasco Rossi se è fratello di Valentino Rossi. Matano è più insolito. Però non siamo parenti e non veniamo neppure dalla stessa zona”.
L’altra domanda ricorrente sui social riguarda la sua fidanzata Ylenia. Come vi siete conosciuti?
"Lei è di un paese vicino al mio, vicino a Carinola e ci siamo conosciuti tramite comitiva. Ci siamo incontrati al tempo del Covid tramite amici di amici”.
Lei è cittadino americano, ha votato alle ultime elezioni?
"No, non ho votato. Non ho voluto fare la trafila burocratica, sicuramente non avrei votato Trump, magari la prossima volta però mi sa che vado in ambasciata”.
E ad andare a lavorare in America ci pensa mai?
"La mia ambizione è non perdere entusiasmo in quello che faccio, quello è il mio primo obiettivo. Però sì l’idea di fare qualcosa in America o almeno in lingua inglese… mi piacerebbe. Ho fatto dei provini ma non mi hanno preso, ecco magari in futuro ci riuscirò”.