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 2025  giugno 03 Martedì calendario

"La vera partita a poker è la vita non si può bluffare come sui social"

Appena tira aria di «etichetta facile», Max Tortora cambia strada: molla il personaggio – persino quando è amato come il suo Ezio de I Cesaroni – e vira in tutt’altra direzione. L’ultima sterzata è una curva decisamente a gomito: nella serie tv Doppio gioco, in onda stasera su Canale 5, ritrova una sua vecchia amica della Garbatella, Alessandra Mastronardi, ma la reunion ha tutt’altro che i toni della commedia. Qui sia l’ex Cesarona che il buon Tortora si calano nei panni di due imbattibili giocatori di poker: padre contro figlia, in una caccia alla verità tra bluff e segreti familiari. Il risultato è una serie tv che, se ancora non è stata premiata adeguatamente in ascolti (al martedì la controprogrammazione è agguerrita), è stata subito elogiata dalla critica per i temi originali e la buona fattura.«In Italia c’è la tendenza a etichettare velocemente tutto, per cui appena intuisco che mi stanno per chiudere dentro a un personaggio o a un filone, cambio strada e faccio altro – conferma Max Tortora – in Doppio Gioco interpreto Gemini: un personaggio molto diverso dai ruoli che ho ricoperto finora, perché alterna la crudezza dell’uomo d’affari con la dolcezza del padre. Ha molte sfumature e diversi piani di lettura». Anche lo sfondo su cui si muove è inedito (e non solo per Tortora…): ogni sequenza è un giro di poker, tra bische clandestine, «vedo» e rilanci. Si perde, si vince ma soprattutto si resta attaccati al tavolo insieme a Gemini: vuoi capire chi sia davvero quest’uomo e come faccia a leggere così bene le persone.La sensazione è un po’ quella della fascinazione alla Gomorra, traslata sul piano del gioco d’azzardo, ma Tortora esclude qualsiasi rischio di emulazione: «Ogni volta che si parla di emulazione si sottovaluta il pubblico che, invece, è sufficientemente maturo per prendere le distanze da quello che vede e non farsi influenzare. Inoltre c’è una differenza tra ludopatici e giocatori professionisti: chi lo fa per mestiere domina le carte, non le subisce». Quel che è certo è che qui il poker diventa una gigantesca metafora esistenziale: viviamo in un mondo social dove nessuno è come appare, si rilancia e si coprono le carte, al punto che la vera, grande, partita a poker è quella che giochiamo con la nostra vita. «Prima o poi ci renderemo conto che i social sono un grande bluff e che conviene investire le proprie energie nell’unica, vera, vita che abbiamo: quella reale. Io mi sono sfilato dal web appena è nato: non ho né profili social né follower e mi sono disfatto pure di whatsapp alla prima foto di rigatoni ricevuta alle tre di notte». Alessandra Mastronardi ha detto che ricorda tutti i bluff e gli sgambetti ricevuti. «Io anche ricordo tutto quello che mi è stato fatto, nel bene e nel male, ma il rancore toglie solo energie – dice –. Sotto sotto sono un ansioso, pieno di paure. Ho cambiato passo con i 60 anni. Non che ti arrivi la saggezza infusa ma oggi vivo molto di più il presente».Tra gli inganni esistenziali, svetta anche la politica: «Purtroppo si riesce a scoprire chi bara solo quando si vedono le carte, ossia a votazioni concluse. Sono le opere che parlano per i politici: chi ha mentito non mantiene le promesse. Da elettore sono rimasto deluso più volte ma continuo ad andare a votare e cerco di dare una possibilità a chi, sulla carta, mi ispira ancora un po’ di fiducia». Nell’immediato la speranza di Tortora è che il ministro Giuli accolga le richieste di supporto avanzate dalla propria categoria, per tutelare le sale cinematografiche. «Sono un luogo irrinunciabile: è lì che, da ragazzo, ho scoperto la magia del cinema». Da giovane, ogni pomeriggio Tortora si faceva a piedi tutto Corso Francia («che per un ragazzino era un bel tratto di strada») per andare al cinema Aurora di Ponte Milvio e vedere tutti i film di seconda e terza visione. In quella sala buia trascorreva ore e ore, e se poteva guardava anche l’inizio del film seguente («all’epoca era possibile»).Eppure non sognava ancora di diventare attore: quel desiderio è maturato dopo che non ha potuto studiare al conservatorio. «Mi sarebbe piaciuto diventare un grande direttore d’orchestra ma non avevo i contatti giusti per entrare in conservatorio, perchè mio padre faceva il direttore di un hotel: eravamo avulsi da quell’ambiente». Così ha finito per dare corda all’altro suo talento: la verve comica. «Per quello non dovevo frequentare nessuna scuola: avevo un’innata inclinazione per la recitazione, mi bastava mostrarla». Nel mentre si laurea in Architettura: «Il pezzo di carta conta eccome, non solo in termini di lavoro o di piano B. La cultura apre la mente: non è un mero immagazzinamento di dati, ma una lente sul mondo». Il successo arriva con le imitazioni (Alberto Sordi, Adriano Celentano, Califano…) e poi con la commedia, anche se Tortora non si definisce «un uomo di successo: al massimo sono un volto popolare». In oltre 20 anni di carriera spariglia spesso le carte, passando dai film di Vanzina a ruoli impegnati come il padre di Cucchi in Sulla mia pelle.«Il problema della tv italiana – dice – è che tende a sedersi sul già conosciuto e sul già visto. Basta che arrivi uno con un’idea – nuova e originale – e si torna a ridere e a fare la differenza». Per molti resta però il meccanico de I Cesaroni: «Riportare in onda la serie è un’operazione corretta perchè è il pubblico che l’ha invocata a gran voce. Se non ci sarò è solo per impegni già presi, che non mi permettevano di essere sul set».