Corriere della Sera, 2 giugno 2025
L’intellettuale franco-algerino Kamel Daoud potrebbe non venire in Italia per il timore di un arresto, secondo informazioni raccolte dal Corriere della Sera
L’intellettuale franco-algerino Kamel Daoud potrebbe non venire in Italia per il timore di un arresto, secondo informazioni raccolte dal Corriere della Sera. Un pericolo concreto perché nei terminali della polizia italiana è registrato un mandato di cattura a suo nome emesso dall’Algeria, e nel momento in cui dovesse toccare il suolo nazionale – agli arrivi di Linate dopo un volo da Parigi, per esempio – potrebbe essere fermato e condotto davanti a un giudice. Diventerebbe un caso giudiziario ma soprattutto politico, perché toccherebbe poi al ministro della Giustizia decidere della domanda di estradizione da parte del Paese arabo. Alquanto problematica, dal momento che nel nostro ordinamento il reato contestato all’autore sembra configurarsi come «d’opinione». S’aggiunga un ipotetico imbarazzo diplomatico, in virtù del passaporto francese concesso allo scrittore nel 2020 (coerentemente con la protezione di cui gode Oltralpe); a maggior ragione in vista del primo bilaterale ufficiale Meloni-Macron, domani a Roma.
La premessa sta nel libro-scandalo di Kamel Daoud, uscito l’estate scorsa per Gallimard con il titolo «Houris» (come le vergini del paradiso islamico), vietato in Algeria e appena tradotto in italiano da La Nave di Teseo («Urì», in libreria dal 17 giugno), in tour di presentazione nel nostro Paese a partire da un appuntamento della Milanesiana dell’editrice Elisabetta Sgarbi fissato per la vigilia, il 16, al Collegio Borromeo di Pavia.
Se Daoud rischia adesso di non partecipare, è perché nell’arco di quest’anno il romanzo ha scatenato non solo critiche (e minacce islamiste) ma anche un’offensiva giudiziaria. Condotta lungo due filoni. Il primo era previsto dallo stesso scrittore, in esergo: «Art.46 È punito con la reclusione da tre a cinque anni (...) chiunque, attraverso dichiarazioni, scritti o qualsiasi altro atto, utilizzi o strumentalizzi le ferite della tragedia nazionale per attentare alle istituzioni della Repubblica (...) o incrinare l’immagine dell’Algeria a livello internazionale».
Lo scrittore viola apertamente la «Carta per la riconciliazione nazionale» che ha chiuso (e tumulato) il «decennio nero» (1992-2002), la sanguinosissima guerra civile algerina, perché sceglie come protagonista Alba, una donna sgozzata dagli islamisti ma sopravvissuta; muta per le ferite ma finalmente libera di esprimersi. È il racconto di una generazione silenziata – ha spiegato Daoud al Corriere – costretta a rimuovere il conflitto di cui è stata vittima. L’autore, in particolare, è stato testimone di violenze atroci durante il suo lavoro da reporter a Orano.
A Parigi, il libro ha vinto il più prestigioso dei premi, il Goncourt, a novembre, ma subito dopo è stato attraversato dalla polemica legata a un secondo filone giudiziario, per il quale sono in corso procedimenti in Algeria e in Francia: Daoud è accusato di aver sottratto la storia di Alba a una donna specifica, Saada, in cura dalla moglie psichiatra (per pochi mesi nel 2015); benché di vicende simili nel Paese ce ne siano molte altre. Con Le Monde, la donna ha sostenuto di aver negato tre volte allo scrittore l’autorizzazione a usare la sua vicenda.
Sarebbero riconducibili a queste due direttrici – la violazione della riconciliazione nazionale e la denuncia di Saada – le due «red notice» emesse dall’Interpol (mandati di cattura internazionali); successivamente però annullate secondo gli avvocati dello scrittore. Resterebbe la richiesta d’arresto dall’Algeria, con la quale i rapporti di Roma non sono mai stati così saldi, tra accordi sullo sfruttamento del gas e il contenimento dell’immigrazione clandestina, testimoniati da diverse visite ufficiali, dalla premier Giorgia Meloni al ministro Matteo Piantedosi. Viceversa, a completare il puzzle diplomatico, i rapporti di Parigi con Algeri sono ai minimi storici.
L’editrice Elisabetta Sgarbi affida al Corriere un appello: «Spero vivamente che il governo italiano garantisca l’esercizio del diritto di espressione di Kamel Daoud e non permetta che questioni “politiche” interferiscano con la letteratura. Sarebbe una sconfitta per l’Italia se a uno scrittore venisse impedito di parlare di un romanzo così importante».