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 2025  giugno 02 Lunedì calendario

Intervista a Monica Guerritore

Monica Guerritore ha ricevuto il premio Icona ai Nastri d’argento grazie aInganno, la serie Netflix diretta da Pappi Corsicato, vendicando le over 60 che si sentono giudicate perché amano un uomo più giovane o decidono della propria vita. «La cosa più importante è aver raccontato un’età delle donne che non viene mai raccontata. Se non porti storie con protagoniste tra i 50 e i 70 anni, non mostri neanchele possibilità».
“Inganno” avrà un seguito?
«Non posso parlarne, ma ho un’opzione».
Cosa significa oggi per lei essere una donna libera?
«Sentirmi forte. Ho attraversato tutte le tappe dell’insicurezza. Col tempo ogni cosa si sedimenta e le spalle diventano larghe, disegni un percorso con la tua visione. Questa autonomia cozza contro una cultura che dice: “Ne sappiamo più di te e ti diciamo come si fa”. Basta».
Si paga un prezzo per la libertà?
«Sempre. Sei ingombrante. Un uomo diventa un uomo di carattere; una donna, una rompicoglioni».
L’età è ancora un tabù?
«No. Vorrei dire alle d onne che sono affascinanti quando curano il corpo e non lo stravolgono. Bisogna raggiungere la tranquillità del porsi, non essere spaventate dal “come sto?”. Se ti preoccupi solo di quello e lo sguardo è rivolto all’interno, non comunichi niente: è più potente aprirsi».
Si è mai pentita di qualcosa?
«No, perché le cose di cui posso pentirmi ora erano giuste al momento; il teatro mi ha protetto da decisioni sbagliate. GiraiMutande pazze di Roberto D’Agostino, fu criticato. Ma era un film molto avanti, una satira sullo spettacolo. Roberto la anticipò».
Il momento più difficile?
«Quando mi sono separata da Gabriele Lavia sono rimasta da sola con due bimbe. Senza il compagno di una vita, il regista, il creatore degli spettacoli, l’artefice di tutto.
Mi sono trovata per due anni, come diceva Platone, “ad attraversare la valle della dimenticanza e bere l’acqua della noncuranza”. Ti devi allontanare da ciò che eri prima. Ho capito che dovevo tornare a lavorare, l’ho fatto con Giancarlo Sepe e il teatro danza, poi c’è stata Giovanna d’Arco. Ci ho messo tre anni per preparare il film che dirigo e interpreto, Anna, su Magnani.
Tutti a dirmi: “Brava, fallo”. Ma metterlo in piedi, enorme fatica».
Quasi vent’anni fa ha avuto un tumore al seno. Che ripercussioni ha avuto sulla sua vita?
«Ho avuto paura. Rifletti su tante cose. Dopo scopri dentro di te una forza che non credevi di avere. La diagnosi precoce salva le donne, lo dice la ricerca scientifica. La morte è ovunque, ma io credo negli scienziati: trovi e togli. Faccio i controlli, è passato. Mi seguì il professor Umberto Veronesi, che era stato assistente di mio nonno, Francesco Pentimalli, il padre di mia madre, che è stato direttore del Regina Elena».
Che modello pensa di essere per le sue figlie Maria e Lucia?
«Penso che abbiano preso da me la solidità legata alla costruzione della vita: sono Capricorno, mi arrampico. Tutto questo non le interessava da adolescenti, ora sono un po’ “caprette” anche loro. Vedere su di me i segni del tempo certifica che c’è una strada lunga».
Com’era il legame con sua madre?
«Seguiamo storie matrilineari. Mia madre è rimasta sola con due figli, una delle prime divorziate a Roma, non lo ha mai fatto pesare. Era una bella donna, la sera usciva e non recriminava. Ha dato la svolta alla mia vita quando mi ha mandato dalla mattina alla sera in collegio. Marinavo la scuola e vendevo catenine a Piazza di Spagna. Un giorno mi vide una sua amica. All’una e mezza torno a casa, facevo la prima media: “Come è andata?”. “Bene”. Lei senzabattere ciglio: “Vai in camera che c’è la valigia da fare, stasera prendi il vagone letto”. Mi sono salvata, ho imparato le lingue, non ho vissuto quella adolescenza difficile nella Roma degli anni Settanta».
Si definirebbe una seduttrice?
«No. Sedurre significa portare a sé, una sorta di grazia innata, alla base del mestiere di attrice di teatro: non parli, e la gente è rivolta verso di te».
Gli uomini le cadevano ai piedi.
(Ride) «Sono sempre stata lasciata, anche da ragazzina. Ho pianto tanto, come tutte le donne. A volte ho sbagliato.
Sono fumantina ma so costruire relazioni importanti».
Scrisse una lettera per lavorare con Gabriele Lavia, nacque un grande amore.
Con il professor Roberto Zaccaria, ex presidente della Rai, che ha sposato nel 2010 (legati dal 2001), invece com’è andata?
«È un uomo a cui piacciono le donne, nel mucchio c’ero anche io.
Lo conobbi e ci litigai subito. Dopo un premio tornavamo in auto da Bologna a Roma, io seduta davanti, lui dietro, e lo aggredii per tutto il viaggio, perché trasmettevanoScene da un matrimonio su Rai 2, tardi. “Come vi permettete di pensare che il pubblico non lo possa apprezzare?”. Era presidente della Rai, ma non c’entrava. Rimase colpito dalla personalità».
La corteggiava?
«Ci siamo frequentati per un certo tempo con altri amici. Poi venne in Sicilia per uno spettacolo, interpretavo Penelope. Tornando in albergo a Ortigia vedo un lampeggiante, un’auto con la scorta: era di Maurizio Gasparri, all’epoca ministro delle Comunicazioni. Per non incrociarlo all’entrata prendo la mano di Roberto e lo trascino verso il porto.
Lui, pensando a un risvolto romantico, me la stringe forte. A quel punto non mi sembrava carino dirgli: “Guarda che c’era Gasparri”».
Bilancio?
«Roberto mi ha dato stabilità. È bello avere accanto un uomo che ti sostiene e tifa per te».