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 2025  giugno 02 Lunedì calendario

Dalle “bestie” dei partiti agli analfabeti digitali nella rete cresce la violenza

C’erano una volta i cronisti «del giorno» da additare sul Blog. Arrivarono poi i post, i tweet, i meme per attaccare gli avversari. A ciascuno la sua Bestia. Che spesso colpisce, a volte viene colpita.
Nell’edizione 2024 del “Barometro dell’odio”, Amnesty pubblica la classifica dei cinque messaggi su Facebook che «hanno generato più incitamento all’odio e alla discriminazione». I primi quattro sono di Salvini: «Svezia, immigrato algerino usa una scala per salire sul balcone...», l’incipit di una notizia proposta ai follower. Un altro fatto di cronaca è accompagnato dalla domanda: «Ma quanto poco vale la vita per certi vermi?». Nel 2018 il vicepremier pubblica la foto di tre studentesse a una manifestazione contro di lui: «Poverette». Fiumi di insulti sulle ragazze.
Certo non si possono addossare tutte le colpe agli eletti, se nel Far West delle piattaforme le armi sonosostituite dalle parole e alzano polveroni d’odio. In alcuni casi, ad esprimerle è lo sconosciuto di turno che entra dalla parte sbagliata nel suo quarto d’ora di celebrità, come il professore anti-Meloni che adesso chiede scusa. Ma c’è un «rischio», avverte Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice, con la professoressa di Diritto costituzionale dell’Università di Milano Marilisa D’Amico, di Vox-Osservatorio Italiano sui Diritti. Il rischio è sottovalutare. «Crediamo ancora che il linguaggio d’odio sia una leggerezza, che i social possano essere una sorta di sfogatoio. Ma il passaggio dall’odio al crimine è stato più volte dimostrato dalle ricerche». Non sono solo parole. «Quello del professore è un gesto criminogeno. E ha una valenza pesantissima perché è proprio dalla scuola che bisogna partire per lavorare sull’educazione». Da poco Vox ha pubblicato l’ottava mappa dell’intolleranza. Dall’analisi di oltre un milione di messaggi su X emergono insulti alle donne – la categoria in assoluto più colpita per via di «una cultura misogina profondissima», sottolinea Brena –, a stranieri, ebrei, persone omosessuali e con disabilità. Roma e Milano le città con le percentuali più alte di hate speech.
«È prioritario il tema dell’alfabetizzazione digitale: i ragazzi devono imparare come usare i social».
La politica passata e presente non regala modelli da seguire. Anzi. Così Mario Adinolfi scrive che «Hitler almeno i disabili li eliminava gratis» dopo la scomparsa di Dj Fabo, Maurizio Gasparri risponde «meno droga, più dieta» alla fan di Fedez (prima del recente idillio tra il rapper e gli azzurri), mentre Vittorio Feltri suggerisce agli «extracomunitari», nei giorni dello sgomento per le vittime del naufragio di Cutro, che «partire è un po’ morire. State a casa vostra». Nell’estate 2022 la futura premier Meloni – oggi vittima di inaccettabili messaggi al pari di Salvini –, diffonde il video (certo,oscurato) di uno stupro a Piacenza. Enrico Letta, allora segretario Pd, fa un appello per restare «nei limiti della dignità e della decenza». Lo scorso gennaio Maria Elena Boschi accusa Fratelli d’Italia di aver preso e tagliato ad arte un suo video «per suscitare gli istinti più maschilisti».
Più in generale, l’odio online prolifera per tanti motivi. L’anonimato è uno di questi: per i pm di Milano è stato difficile mandare a processo molti hater di Liliana Segre perché trincerati dietro nickname. Il meccanismo, in realtà, è più raffinato e per certi versi inquietante. Gli attacchi sono più «organizzati». Paolo Ceravolo, docente d’Informatica alla Statale di Milano, spiega: «Una delle cose che ho osservato di recente è una tecnica attraverso la quale si prende un personaggio affidabile e gli si fanno dire delle cose per rendere più accettabile un contenuto». Un semplice esempio: la foto dell’allenatore Simone Inzaghi associato a una frase razzista che non ha mai pronunciato: «Quel giocatore è un ottimo difensore, non sembra neanche negro». «Sono azioni che servono a veicolare quel tipo di messaggi, per renderli più diffusi». Più “normali”. Chi ha interesse a diffonderefakedi questo tipo? Bisogna allargare lo sguardo: «Ci sono aspetti di guerra ibrida, di geopolitica, di marketing fra aziende. Scontri semiotici che si combattono ogni giorno sulle piattaforme». E, conclude il professore, distinguere il vero dal falso sarà sempre più difficile.
1,1 milioni 
I tweet negativi Sono i messaggi d’odio analizzati dall’osservatorio “Vox” nel 2024
6
Le categorie più colpiteDonne, ebrei, migranti, musulmani, persone con disabilità, omosessuali
19,53%
Roma e MilanoLe due città hanno la percentuale più alta di messaggi negativi