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 2025  giugno 02 Lunedì calendario

"Dal Re Leone ho imparato che la libertà non ha prezzo"

Rob Minkoff a 62 anni è a metà tra due mondi: signore dell’animazione tradizionale, Golden Globe trent’anni fa per Il Re Leone, e precursore di quella digitale, anche tra i primi a ibridare animazione CGI e live action (Stuart Little). Cartoons on the Bay lo ha insignito in questi giorni del Pulcinella Career Award. Un premio da cui lui prende simpaticamente le distanze: ha un grande avvenire dietro le spalle, ma uno ancora vivacissimo che lo aspetta. «Il premio è un incoraggiamento, ma è presto per i bilanci. Non sono pronto a fare il punto come chi è a fine carriera. Ho molte idee e molti progetti su cui sto lavorando».
Il Re Leone è uno dei cartoon Disney più amati di tutti i tempi, tuttavia il tempo è passato. Con spirito critico, oggi cambierebbe qualcosa?
«Ha 31 anni, era figlio di un preciso contesto. Se lo facessi oggi, sarebbe inevitabilmente diverso, più aderente ai cambiamenti sociali avvenuti nel frattempo».
Pensa al politicamente corretto?
«È complicato il politicamente corretto. Essere aderenti a certe istanze sociali è importante, tuttavia, per mia esperienza, è arma a doppio taglio: risolve ma anche pone problemi».
Momenti difficili?
«Le voci che avevo scelto per Timon e Pumbaa, Nathan Lane ed Ernie Sabella, non piacquero affatto in Disney: secondo loro non facevano ridere. Proposero altri attori. Insistetti e strappai un secondo provino. L’ebbi vinta. Timon e Pumbaa sono rimasti loro anche negli spin-off tv».
Si può dire che fu l’ultimo di un’epoca? Dopo, l’animazione diventò CGI (computer generated imagery) e tutto cambiò.
«Già nel Re Leone usammo il computer. Senza sarebbero occorsi anni per finirlo. Fu, per esempio, fondamentale per moltiplicare gli gnu nella scena della corsa nella savana. E in postproduzione lo usammo per la colorazione. Eravamo agli inizi, ma non i primi: in Disney vi avevano fatto ricorso Bianca e Bernie e La Bella e la Bestia».
Dopo lei lasciò Disney. Come mai?
«Il Re Leone era stato l’apice della mia carriera ma anche dell’animazione Disney, i cui nuovi progetti non erano granché. Era il momento giusto per cambiare, per innovare. Io ero interessato al live action. Sony mi propose di fare Stuart Little che integrava live action e animazione digitale».
Fu una scelta coraggiosa ma azzeccata, quindi?
«Una bella mossa perché a pochi riesce il passaggio dai cartoon ai film dal vero. Se non avessi fatto quel passo, oggi non ritirerei questo premio. Vero è che il mio amico Kirk Wise (con Gary Trousdale autore de La Bella e la Bestia, ndr) restò e fece comunque una gran bella carriera».
Cosa pensa del Re Leone live action?
«Ero preoccupato che potesse oscurare il ricordo del mio. Non è stato così. Il pubblico va a vedere i remake live action, che quindi continuano a essere prodotti perché incassano bene, poi fa il confronto e li critica. È un peccato che tutti quei soldi non vengano investiti in opere nuove».
E dell’AI cosa ci dice?
«Sono impressionato dai passi avanti che ha fatto negli ultimi due anni. Si continua a darne un’interpretazione sbagliata: è solo una tecnologia, non toglierà lavoro all’uomo. Non ha senso critico né creatività. E, proprio come il computer, sarà sempre e solo un supporto tecnico bisognoso di ricevere parametri dai veri creativi».
La sta già usando?
«Per il mio prossimo progetto, sì. È bello perché sto tornando a lavorare con gente dei tempi Disney. Con Kirk Wise sto scrivendo una nuova storia».
Ce ne può parlare?
«I tempi di realizzazione sono lunghi: se lavori da indipendente, al di fuori dei grandi studios – Disney/Pixar e Dreamworks – che sono ricchi ma creativamente ti limitano, fatichi a trovare i finanziamenti e questo allunga molto i tempi. La libertà non ha prezzo».
Nato nel 1962, appartiene alla generazione Disney o degli «anime»?
«Disney, assolutamente. I miei primi ricordi sono Il libro della giungla e Mary Poppins, cui forse devo l’imprinting dei film live action con parti animate. Tuttavia, un posto straordinario lo occupa Chuck Jones».
Il padre di Bugs Bunny, Duffy e Willy Coyote, ossia l’autore Warner per eccellenza: come mai?
«Io e Kirk Wise siamo cresciuti assieme a Palo Alto: attori nella stessa compagnia amatoriale del liceo, condividevamo lo stesso sogno: l’animazione. Passavamo i pomeriggi a vedere cartoon e a disegnare. E il nostro autore preferito era proprio Jones, con quello stile sopra le righe, esagerato, dinamico. Avevo 18 anni quando il nostro college premiò Mel Blanc, che dei personaggi di Jones era la voce. Chuck venne chiamato per consegnargli il premio. Era il mio mito! Un nostro compagno di scuola molto intraprendente gli chiese se poteva andarlo a trovare. Non sto a dirle come, ma alla fine in quattro – tra cui io e Wise – fummo invitati a casa sua. Ricordo i suoi racconti, gli aneddoti, i consigli. Era generosissimo nel condividere con noi giovani la grande esperienza. Sì, se ho avuto un mentore è stato lui». —