La Stampa, 2 giugno 2025
Il paese sepolto dal ghiacciaio
Dal primo pomeriggio di mercoledì 28 maggio nella valle della Lonza, Canton Vallese di lingua tedesca, un’ora di auto dall’Italia attraversando il passo del Sempione, il tempo è sospeso. E non è solo l’effetto straniante dell’autobus postale 591, che risale i tornanti con ancora scritto sul muso Blatten, un paese che non esiste più.
Dopo l’immensa frana da 9 milioni di tonnellate che si è staccata dal versante settentrionale del Kleines Nesthorn – è un miracolo se si conta un solo disperso fra i circa 300 abitanti del villaggio – gli occhi di tutti sono rivolti verso il gigante dimezzato. Si cerca di capire se la sua furia sia davvero finita o se stia semplicemente trattenendo il respiro.
Il Birchgletscher, il ghiacciaio che si sviluppava da quota 2.600 fino quasi ai 3.342 metri della vetta, è scomparso. Si è caricato di roccia e acqua fino a muoversi di dieci metri al giorno e infine collassare, travolgendo tutto quello che ha trovato sotto di sé. Ora la foresta di conifere che ricopriva la montagna è divisa in due da una ferita di terra viva. «La situazione è complessa, in quota ci sono ancora dei movimenti – si limita a spiegare Matthias Ebener, portavoce del coordinamento regionale -. I parametri da valutare sono molti».
Dopo la messa domenicale, fuori dalla chiesa di Kippel, una manciata di chilometri più a valle del disastro, gli abitanti di Blatten li riconosci dagli occhi lucidi. «Il prete oggi non è riuscito a fare la predica. Abbiamo recitato tutti insieme una preghiera per dare una calmata ai pensieri» dice Elmar Ebener, che del paese distrutto è uno dei cinque consiglieri comunali. «È difficile per noi che abbiamo perso tutto, ma lo è per tutta la valle. È successo troppo in fretta: sabato abbiamo avuto 90 minuti di tempo per la prima evacuazione, poi lunedì, quando abbiamo capito che la situazione era peggiorata, abbiamo avuto altri venti minuti. Mio figlio non è riuscito nemmeno a prendere la sua auto. È esplosa una bomba che ha spazzato via tutto, un Big Bang. Nessuno è più tornato lì, è troppo pericoloso».
L’unico modo per avere un’idea completa della devastazione è salire a bordo di un elicottero. Si decolla da Wiler, dove la strada è transennata e dove oggi anche il bus 591 ha il suo capolinea. Accanto all’eliporto improvvisato geologi e glaciologi fanno avanti e indietro con le loro sonde bianche e rosse per misurare gli spostamenti del fronte. In un angolo c’è il cestello arancione con cui sono state messe in salvo le pecore che erano al pascolo accanto alla zona più colpita. Dall’alto la prima cosa che si vede è una fanghiglia che scorre in mille rivoli accanto al campo da calcio, poi un enorme cumulo di terra lungo oltre due chilometri con al centro un corso d’acqua più impetuoso. È il letto che il fiume Lonza si è scavato dopo che la frana l’ha seppellito e che adesso sta permettendo il deflusso che a Gampel, nel fondovalle, sta tingendo di scuro le acque del Rodano. L’equilibrio è delicatissimo e ogni smottamento potrebbe comprometterlo.
Quando si arriva dove c’era Blatten, e dove oggi c’è una specie di lago dell’orrore dal quale spuntano tronchi, brandelli di mobili e una gru da cantiere, si vedono solo i piani superiori delle palazzine più alte. Forse sono i tre hotel che fino a poche settimane fa ospitavano sciatori e appassionati di mountain bike. Delle case a un piano e delle baite sono rimasti solo i tetti, aperti in due. Galleggiano come copertine di libri gettati in una vasca da bagno. La strada che attraversava il paese è ridotta a una striscia di asfalto contorta che dopo pochi metri si inabissa. Gli unici edifici che sembrano non avere subito danni sono quelli costruiti sopra uno sperone di roccia, che evidentemente li ha protetti. La frana infatti è stata così potente da risalire in parte anche il versante opposto rispetto a quello da cui si è staccata.
Il 28 maggio tutta la valle ha avuto un sussulto, registrato anche dai sismografi, magnitudo 3,1 della scala Richter. Come un terremoto. «Prima di vederlo con gli occhi l’ho sentito con le orecchie e con le narici – racconta Adeline Ritler-Rieder, che lavora al Parlamento di Berna ma che in quel momento si trovava nella sua casa natale -. Insieme al boato ho percepito un odore di pietra e metallo, un odore mai sentito». Per Freddy Ritler, che d’estate noleggia biciclette ai turisti, «è stata come l’esplosione di un vulcano».
Un’esplosione devastante. L’esercito ha pronti settanta militari con pompe idrauliche, escavatori e altri mezzi pesanti di sgombero, ma per ora è troppo presto. Troppo presto per pompare via acqua e detriti, ma anche per capire davvero la dinamica di questa frana e quanto i cambiamenti climatici abbiano accelerato la naturale erosione delle Alpi. «Fino a trenta anni fa tutta quella parete era quasi costantemente congelata, poi l’aumento delle temperature ha cambiato tutto – spiega Riccardo Scotti, geologo e fra i più esperti studiosi italiani del permafrost -. Questo può aver innescato due processi: il ghiacciaio si è andato via via abbassandosi perdendo massa e la base della parete di roccia, liberata dal ghiaccio, ha subito una decompressione, mentre più a monte la maggior presenza di acqua nei mesi estivi, dovuta sia alla fusione del ghiaccio sia alle sempre più frequenti piogge in quota, può aver riscaldato il permafrost promuovendo degradazione e movimento. Si tratta di fenomeni nuovi, processi ancora poco conosciuti anche per le evidenti difficoltà di accesso per effettuare le indagini».
Il problema più urgente, in attesa che la scienza analizzi le cause del disastro, è trovare una sistemazione agli sfollati. Molti sono anziani. Per ora hanno trovato ospitalità da amici o parenti, o nelle seconde case che in queste settimane di bassa stagione sono vuote. Un’intera comunità è sotto choc, ha perso tutto, e l’obiettivo tenerla il più possibile unita distribuendo le persone fra i paesi della valle. Si ipotizza almeno per tre anni. Si pensa a un aiuto economico per ogni nucleo, e la catena di solidarietà ha già raccolto l’equivalente di 4,6 milioni di euro per pagare gli affitti. Più che i soldi, però, a preoccupare in queste ore residenti e soccorritori è soprattutto il meteo. Le previsioni per i prossimi giorni danno pioggia. Il tempo sospeso della valle della Lonza non è ancora finito.