Specchio, 1 giugno 2025
Dai rituali minimi alla fenomenologia dello jettatore
Sulla scaramanzia esiste un aneddoto assolutamente irresistibile e per questo citatissimo. Racconta di Benedetto Croce intento a conversare con Matilde Serao quando il cameriere arriva e gli annuncia circospetto l’arrivo di “chillo”. Quello. L’innominabile, il più grande menagramo in circolazione. La mano del filosofo scende allora furtivamente a sfiorare gli attributi in funzione apotropaica, la manovra non sfugge all’occhiuta giornalista che sommessamente chiede: «don Benede’, permettete? Posso approfittare pure io?».
Riferita dal politico democristiano Emilio Colombo e confermata dal filosofo crociano Gennaro Sasso, la storiella ambientata a Napoli indurrebbe a confermarne l’identità come capitale dei rituali anti jella. E invece i pareri di illustri studiosi e i risultati di varie ricerche attestano un’altra realtà: il fenomeno della superstizione, con relativa corsa ai ripari muniti di un nutrito armamentario di amuleti o consultando cartomanti e veggenti, risulterebbe spalmato in modo pressoché uniforme su scala nazionale. Con alcune sorprese.
Dal Rapporto Eurispes del gennaio 2025 su “Credere in qualcosa, perché gli italiani si rivolgono ai cartomanti?” emerge la cifra abbastanza sorprendente del 15,9% di utenti. Con una maggioranza di donne (18,1%) rispetto agli uomini (13,7%) non poi così alta. E una distribuzione sul territorio che pure cela sorprese, confermata dalle cifre dell’Osservatorio Antiplagio del recente dossier su “Magia, pseudoscienze, intelligenza artificiale e altre dipendenze”. Qui, tra le regioni italiane dove maggiore è il ricorso a veggenti e medium, spicca il Piemonte con 1200 operatori dell’occulto, 85mila clienti con una spesa media di 500 euro l’anno a testa e un fatturato per consulti in studio difficile da calcolare data la prevalenza del sommerso, ma di certo assai alto. L’ultimo cliente – assurto ai disonori della cronaca per presunte mazzette – incline a consigliarsi abitualmente con un cartomante fino ad arruolarlo nel suo staff è l’ex sindaco di Sorrento, che avrebbe scelto come consulente tale Lello il sensitivo.
Più delle cifre, però, a dirla lunga sulla diffusione della scaramanzia sono le figure tramandate da antiche culture, come le Masche associate alla stregoneria nel cuore dei boschi piemontesi, evocatrici di storie popolari come quelle narrate dallo storico Carlo Ginzburg. E a svelare quanto nella quotidianità sopravvivano comportamenti scaramantici sono anche i rituali minimi: a Torino uno dei più diffusi si svolge in piazza Castello, davanti all’altorilievo bronzeo con Cristoforo Colombo. Strofinargli il mignolo dovrebbe propiziare la buona sorte agli studenti in vista di un esame, mentre a rischio bocciatura sarebbe invece la salita sulla Mole Antonelliana: il suo progettista, Alessandro Antonelli, perse la vita prima che fosse completata.
Ma il rito più efficace per scongiurare la jella è legato al simbolo cult del Toro. Così, su quello posto nella pavimentazione all’ingresso del Caffè Torino, è usanza diffusa indugiare con un passo propiziatorio. E in genere, più che dotarsi di corni ricevuti in dono, scope di saggina, coccinelle e amuleti vari, sfiorare o toccare resta il gesto scaramantico più diffuso, donna Matilde docet. Si fa alla tomba di Totò a Napoli, con i genitali della statua del giornalista del XIX secolo Victor Noir al Père Lachaise a Parigi, con il piede destro di San Pietro all’omonima basilica romana e ad ogni latitudine. Così come, ovunque, si tenta di schivare lo iettatore, la cui fenomenologia fu messa a fuoco per la prima volta dal giureconsulto napoletano, Nicola Valletta nel libro Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, uscito a fine Settecento. In pieno Illuminismo poiché, sostennero i fondatori dell’antropologia sociale Frazer e Malinowski, la credenza nella magia non nasce dall’irrazionalità dei popoli primitivi ma dall’esigenza di “ritualizzare l’ottimismo umano” rendendo possibile la convivenza sincretica di ragione e pensiero magico e il passaggio dall’una all’altro.
Luigi Pirandello dovette avere ben presente la Cicalata quando, nella novella La patente, diede vita al personaggio di Rosario Chiarchiaro poi portato al cinema da Totò: menagramo conclamato, decise di ricavarne vantaggio pretendendo da un giudice l’apposito certificato per poter riscuotere una tassa anti-iella. Sì, perché, volendo, una fama infausta si può anche rivolgere a proprio vantaggio.
Lo si fa da anni nel paese italiano considerato il più jellato d’Italia, Colobraro in Lucania, la cui cattiva fama emerse anche nelle ricerche sul campo di Ernesto De Martino. Dopo che per decenni gli abitanti dei paesi limitrofi si sono rifiutati di pronunciarne il nome ricorrendo a formule come “chillu paise”, il Comune si è inventato il festival “Sogno di una notte… a quel paese”, con spettacoli, tradizioni e rituali tutti i venerdì di agosto. Divertimento e risate per seppellire il malocchio e magari farne un business. Sembra che funzioni.