La Stampa, 1 giugno 2025
Poste studia le nozze tra Iliad e Tim. La maxi-fusione vale più di 25 miliardi
Consolidarsi o scomparire. È il destino delle compagnie telefoniche. In Europa come in Italia. Il documento scritto dall’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, è riportato ieri da La Stampa, lascia pochi margini d’interpretazione: «I margini si sono azzerati» spiega il manager e senza investimenti la rete è destinata a soffrire. Peggio. C’è da giocare – e possibilmente vincere – la partita dell’intelligenza artificiale. Servono investimenti miliardari e da sole le compagnie non riescono a sostenerli. Tra il 2010 e il 2023, in Italia, il settore tlc ha perso 15 miliardi di euro: il 35% dei propri ricavi. In Italia il sentiero delle aggregazioni è sempre più stretto. E dopo il matrimonio tra Fastweb e Vodafone, sono rimaste solo Iliad e Tim: insieme varrebbero oltre 25 miliardi di euro con una quota di mercato sul mobile, secondo i dati Agcom di dicembre 2024, del 37,5 per cento. Con un distinguo: Iliad, in Italia, cresce da 28 trimestre consecutivi e ha alle spalle un azionista come Xavier Niel che non ha mai venduto alcuna delle sue compagnie di tlc.
Tim, da parte sua, sta completando un doppia riassetto. Un anno fa ha ceduto la rete agli americani di Kkr, garantendo al governo diritti di governance attraverso la partecipazione di Cdp; pochi mesi fa, Vivendi ha diluito la propria partecipazione fino al 2,5% del capitale lasciando spazio a Poste, salita al 24,8% dell’azionariato. Di più. La società guidata da Labriola è in attesa di capire se incasserà il miliardo di euro dal Mef per il canone non dovuto dal 1998 – la Cassazione ha rinviato la decisione – e conta anche sull’earn out da 2,5 miliardi che spetterebbe a Tim se Fibercop e Open Fiber si fondessero. Soldi che potrebbero spostare i rapporti di forza in un negoziato tra le parti.
«Non c’è nessuna discussione concreta in corso sicuramente il consolidamento del mercato come dicono tanti se non tutti porterebbe valore, però non c’è una necessità in particolare per noi», ha detto l’ad di Iliad Italia, Benedetto Levi, in occasione del settimo anniversario della società.
Nessuna discussione concreta, anche perché Poste è appena entrata nell’azionariato di Tim, ma i due gruppi si studiano da tempo. Per esempio ai vertici dell’ex monopolista non è sfuggito che i francesi abbiano già investito 3 miliardi di euro nell’intelligenza artificiale. A conferma del fatto che un’integrazione è un’opportunità, peraltro anche sul modello di business ci sono non poche divergenze. La strategia di Iliad non passa dal modello della piattaforma che hanno scelto di seguire i competitor. «Tanti includono assicurazioni, elettricità, gas e altre cose. Noi – dice Levi – non vediamo il valore aggiunto. Al contrario, crediamo che confonderebbe le idee, quindi vogliamo rimanere coerenti e portare valore dove pensiamo di poterlo portare». Un approccio che potrebbe rendere più complicato la trattativa con Poste.
Anche perché ci sono alcuni aspetti su cui Iliad difficilmente potrebbe scendere a compromessi. Una manovra ostile è fuori discussione, anche perché i francesi vogliono trattare con il governo. Motivo per cui sui diritti di governance non ci dovrebbero essere problemi. Tradotto: Iliad, con una valutazione di circa 6-7 miliardi di euro, non avrebbe problemi a essere in minoranza, a patto, però, di avere la guida industriale della società. Un aspetto delicato anche perché Labriola ha guidato una transizione complessa al vertice di Tim.
Iliad, però, mette sul piatto i propri risultati di crescita rivendicando il fatto – per esempio – di non aver mai venduto il 5G sotto costo (a differenza di diversi concorrenti). «I risultati del nostro gruppo, la quinta Telco d’Europa, sono il frutto di decisioni prese, di iniziative a volte impopolari – ha chiosato Levi – ma proprio queste scelte chiare e nette ci hanno permesso di arrivare dove siamo oggi».