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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Bobo Craxi: «Portai Lucio Dalla a casa: papà Bettino era in canotta»

«Un giorno andai al Castello, di domenica, col treno da Milano. Bussai e mi aprì Lucio Dalla, che era da solo insieme a un fonico. Stava registrando Sonny boy, il pezzo che poi sarebbe finito nel suo disco ma con un altro titolo, Il parco della luna. Finita l’incisione, salimmo sulla sua Dyane verde e facemmo il percorso inverso, da Carimate a Milano. Arrivati sul pianerottolo di casa nostra in via Vincenzo Foppa, suonammo al campanello e ci aprì mio padre, in canottiera, perché tutto poteva aspettarsi in quella domenica meno che una visita di Lucio Dalla…». Più o meno quarant’anni fa, a metà degli anni Ottanta del secolo scorso, calava il sipario sulla gloriosa stagione degli Stone Castle Studios nel Castello di Carimate, il luogo sacro della Brianza dove avevano visto la luce intramontabili capolavori della musica italiana: da Com’è profondo il mare di Lucio Dalla a Nero a metà di Pino Daniele, passando per Sono solo canzonette di Edoardo Bennato, fino a Creuza de mä di Fabrizio De André. L’intuizione di impiantare degli studi di registrazione in un castello medioevale non troppo distante da Milano era stata del produttore discografico Antonio Casetta; un’idea verosimilmente mutuata dall’esperienza dei Britannia Row Studios che i Pink Floyd avevano costruito a Islington, sobborgo a nord di Londra.
Casetta era amico di Antonio Craxi, il fratello di Bettino che poi sarebbe finito in India dal guru Sai Baba. Grazie allo zio Antonio, Bobo Craxi, secondogenito del leader socialista ed ex presidente del Consiglio, fu testimone unico di un’esperienza che finì per far incrociare un pezzo di storia politica italiana al piano nobilissimo della musica italiana.
Eravamo rimasti a Lucio Dalla sul pianerottolo e Bettino Craxi in canottiera.
«Rimasero a parlare per tutto il pomeriggio, credo soprattutto di arte. Fu poi grazie a Dalla che mio padre conobbe di persona Francesco De Gregori poco tempo dopo, in un ristorante sul Lungotevere, a Roma».
Scoccò la scintilla anche tra suo padre e De Gregori?
«Qualche tempo prima, un pomeriggio, a Milano avevo messo sul piatto del giradischi Viva l’Italia, appena comprato; sia mio papà che Claudio Martelli, che quel giorno si trovava a casa nostra, erano rimasti folgorati da quel testo. Al punto che mio padre avrebbe citato il brano di De Gregori nel suo discorso a Montecitorio durante il voto di fiducia al governo Cossiga, annunciando il sì dei Partito socialista. Durante la cena in cui si conobbero, De Gregori ringraziò per la citazione ma punzecchiò mio padre…».
In che modo?
«Era uscito da qualche mese Il vangelo socialista, testo scritto insieme a Luciano Pellicani, di cui si era molto discusso. De Gregori disse a mio padre: “Il vangelo socialista l’hai fatto per fare incazzare i comunisti. Perché vuoi fare incazzare i comunisti?”».
E suo padre?
«Disse sorridendo a De Gregori che aveva ragione».
E cioè?
«Che era vero: voleva far incazzare i comunisti».
Il rapporto tra Craxi e i cantautori, spesso più vicini al Partito comunista che ai socialisti, nasceva da lì?
«No, c’era un pregresso col mondo della musica. Grazie all’amicizia di Caterina Caselli e Piero Sugar, che la mia famiglia aveva conosciuto grazie a Massimo Pini, i miei avevano incontrato Mina; Paolo Conte, che votava liberale, era stato anche ospite una sera a casa nostra. Durante la campagna per il referendum del divorzio, nel 1974, mio papà aveva chiamato I Gufi a cantare durante una manifestazione. Proprio la campagna in difesa del divorzio, che i socialisti insieme ai radicali avevano condotto a viso aperto e senza le iniziali timidezze del Partito comunista, avevano dato al Psi un profilo decisamente appetibile agli occhi del mondo degli intellettuali e dei musicisti: un partito di sinistra, laico, aperto, impegnato sul terreno dei diritti civili…».
Bobo Craxi: «Portai Lucio Dalla a casa: papà Bettino era in canotta»
Francesco De Gregori e Bobo Craxi alla chitarra
Si ricorda il primo giorno in cui andò a Carimate?
«Non so dirle per certo se fosse la prima volta ma credo di sì. Ho il ricordo nitido di un giorno in cui entrai e c’era Ricky Portera degli Stadio che stava provando l’assolo di Futura di Lucio Dalla. Mentre al piano di sopra Ron faceva le prove del suo tour. Io e Rosalino facemmo amicizia a partire da quel giorno; al punto che, al tour successivo, presi parte anche io come chitarrista».
Bobo Craxi chitarrista in un tour di Ron?
«La mattina andavo a scuola, la sera imbracciavo la chitarra e lo seguivo per le date del tour Al centro della musica, soprattutto in club e discoteche del Nord Italia. Ero una sorta di chitarrista fantasma; la qual cosa, a un certo punto, fece arrabbiare il manager Tobia Righi”».
Perché?
«Perché suonavo da abusivo, senza che venissero versati i contributi all’Enpals. Righi a un certo punto disse basta: “Il cinno (“ragazzino”, nel dialetto bolognese; ndr) dopo stasera non suona più».
Fu la fine della sua carriera da chitarrista fantasma?
«Al contrario. L’anno dopo, a Carimate, Antonello Venditti stava registrando l’album Sotto la pioggia. Nel disco, oltre a lui, suonavano Ron e tre quarti degli Stadio. Ci fu un problema su una traccia; nel senso che la parte di Ron, suonata con una dodici corde, andava rifatta. Non ricordo se Rosalino non ci fosse o se se n’era andato portando via i provini; sia come sia, quel piccolo pezzetto lo suonai io».
Si ricorda qual era il brano?
«Certo: Le ragazze di Monaco».
Venditti avrebbe dedicato a suo papà la canzone L’ottimista. “Con l’aria vagamente socialista / e poi non sbaglia mai”.
«Che stroncai con un elzeviro non firmato su l’Avanti, il quotidiano del partito. Antonello arrivò a chiedersi se mio padre si fosse offeso e mandò un suo manager a indagare».
Suo padre era offeso?
«Non che io ricordi. Tra l’altro, e sono passati più di quarant’anni, Francesco De Gregori e lui sono ancora oggi tra i miei amici più cari».
Dopo la tempesta giudiziaria che si abbatté su Craxi e i socialisti, quanti tra i cantautori sparirono?
«Non Dalla, che se ne infischiava del clima che si respirava. Nel suo disco Henna, uscito proprio nel 1993, in piena Mani Pulite, c’era quello straordinario brano intitolato Latin Lover e ispirato alla figura di mio padre: Lucio voleva chiamare il pezzo Craxi. Quella canzone finì nella colonna sonora del film Come due coccodrilli, del regista Giacomo Campiotti. Alla prima milanese del film Lucio pretese che ci fossi anche io. Nonostante l’aria che tirava in giro per Milano nei confronti di mio padre e della sua famiglia non fosse molto amichevole».
A quel tempo, gli Studios al Castello di Carimate avevano ormai chiuso i battenti da parecchio. Ci è mai più tornato?
«Una volta, durante la campagna elettorale per le Europee del 2004. Avevo un comizio là in zona e chiesi a chi mi accompagnava di fare una deviazione per Carimate. “Siamo in ritardo!”, protestò quello. “Non importa, gira a sinistra, voglio passare di là”, insistetti. Era diventato un posto di matrimoni; la prima persona che vidi, là dove erano nato un pezzo significativo della storia della musica italiana del Novecento, era una sposa che si faceva le fotografie. Buttai un occhio nelle stanze adibite a sale di registrazione: c’erano dei tavoli, che i camerieri stavano apparecchiando in vista del ricevimento»