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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Intervista a Gianna Albini Bigazzi

La ragazza di Un colpo al cuore, esiste. Come di Eternità, di Conto su di te, di Accanto alla felicità che dorme, di Io domani. E ancora.
Sono la stessa persona.
È Gianna Albini Bigazzi, vedova di uno dei più grandi parolieri, Giancarlo Bigazzi.
La loro storia d’amore ha declinato molte delle fantasie, delle certezze, dei sogni degli italiani. Ha offerto risposte e proiettato speranze.
Per decenni.
Così ogni passo, ogni sospiro, ogni risvolto è finito, magari in rima, comunque in musica, tra i tasti – anneriti per le perenni sigarette – del pianoforte di suo marito: “Non poteva fare a meno della sua creatività: componeva sempre”.
1.300 brani, almeno la metà famosi nel mondo (“Jennifer Lopez è diventata grande con un suo pezzo”); la maggior parte degli artisti nostrani alla sua porta per ottenere una perla (“quanti ne ha mandati via e quanti cantautori dovrebbero ringraziarlo…”).
Un unico rammarico: “Non ha mai composto un pezzo con il mio nome. Fino a quando un amico di famiglia si è ispirato”.
L’amico è Rino Gaetano, perché lei è anche la Gianna che sosteneva tesi e illusioni, ma oggi sostiene anche ricordi e affetti, tanto da aver voluto ricordare Mia Martini, scomparsa il 12 maggio del 1995: “Le ero legatissima, gli ultimi cinque anni della sua tormentata vita li ha passati a Firenze, a casa nostra…”.
Da quando?
Fine ’89, ci viene a bussare: stava cercando di superare anni terribili, anche grazie a Renato Zero che l’aveva imposta ad Aragozzini per Sanremo con Almeno tu nell’universo.
Capolavoro.
Arrivò nona, una cattiveria.
Quindi il citofono…
La sua frase d’esordio: ‘Giancarlo, mi vuoi? Ho bisogno di te’.
Lei la conosceva?
Di nome. E davanti ho trovato una donna infagottata, distrutta; mi sono avvicinata, si è presentata e mi ha sorriso mentre mi porgeva un mazzo di rose; (pausa) è incredibile, ma ci siamo abbracciate, noncuranti delle rose e delle spine, tanto da ferirci entrambe.
E…?
Siamo scoppiate a ridere e la sua risata triste, amara, è nella mia testa. Da quel giorno è entrata in casa nostra nonostante il Bigazzi non amasse scrivere per le donne.
Perché?
Troppo dive. Le cacciava.
Chi?
Patty Pravo alle due di notte; poi ricordo Anna Oxa, anche con lei non proprio bene. Mentre amava Mina: non diveggiava, non ostentava; per non parlare di Mimì: l’adorava. Per lei ha scritto anche Gli uomini non cambiano e bonariamente le ripeteva: ‘Nella tua vita hai sbagliato solo a venire da me tardi. Ti avrei portata all’estero, in Italia i discografici non sono alla tua altezza’.
Con voi, cinque anni.
Fumavano in continuazione, a volte mi svegliavo alle tre di notte e stavano in sala a provare, a creare (la casa di Gianna Bigazzi e piena di foto del marito. Lui sempre con la sigaretta).
La sigaretta perenne compagna.
Aveva due dipendenze: il fumo e la creatività; girava con uno zainetto con dentro i suoi quaderni e stecche di sigarette. Quanto ha scritto…
Un’enormità.
Non bisogna mai guardare le firme dei brani, ai tempi accadeva di tutto.
Cioè?
Ci sono cantautori che ancora vivono di rendita per canzoni uscite trenta o quarant’anni fa, brani firmati da loro, ma guarda caso dopo la morte di Bigazzi non hanno prodotto più nulla di significativo; (sorride) alcuni li ho firmati anche io, lui mi chiamava “la titolista”.
Quali titoli?
Cosa resterà degli anni 80 è mio o Ci vorrebbe il mare; (sorride) un giorno viene a casa nostra un giovanissimo Fabrizio Moro, era ancora un fattorino d’albergo. Si siede, estrae la chitarra e canticchia un brano. ‘C’è del buono. Parli di mafia, di Falcone e Borsellino. Il titolo?’ ‘Giovanni e Paolo’. ‘Cosa??? Vuoi andare in Vaticano?’. ‘No, a Sanremo’. ‘Con questo titolo non ci vai’. A quel punto il Bigazzi prende il testo, cancella un paio di passaggi e s’illumina: ‘Quello giusto è Pensa’.
Un successone.
E non lo ha voluto firmare.
Difetti di suo marito.
Oltre il fumo? Era troppo diretto; era come il pane del contadino: tondo, scuro, a vederlo non bello, ma con un grande profumo e bontà. Però detestava i formalismi.
Quindi anche i premi.
Per l’Oscar con Mediterraneo rifiutò il viaggio a Hollywood: ‘Sono non volante’.
Ha vinto vari Sanremo, pure con Si può dare di più.
Dopo la finale ci mandò tutti a letto: ‘Domani si va in sala d’incisione’. La mattina carichiamo la macchina, partiamo, una volta in auto mi giro e mi accorgo che sul sedile non c’è la statuetta. Ci fermiamo dal benzinaio. La cerco nel bagagliaio, niente. Tra di noi inizia una discussione, con lui disinteressato e io dispiaciuta. In quel momento sentiamo il benzinaio canticchiare ‘si può dare di più…’. E il Bigazzi: ‘Questo è il premio, non quell’oggetto’.
Quanti dischi ha venduto?
Trecentocinquanta milioni di copie nel mondo.
Come vi siete conosciuti?
(Cambia espressione, posizione sul divano e soprattutto rallenta il racconto. Ogni parola la vive) La mattina frequentavo il liceo, il pomeriggio entravo in una sartoria di alta moda. Per arrivarci camminavo due chilometri. E la percorrevo quattro volte al giorno. In quella strada abitava il Bigazzi; (ci pensa) per l’epoca ero troppo prosperosa, con delle labbra pronunciate, quindi niente rossetto. Mamma mi obbligava a non guardare mai di lato, poi avevo frequentato un corso da indossatrice, quando ti insegnavano il portamento con l’enciclopedia sulla testa.
Un film anni 50 o 60.
In quei due chilometri passavo davanti a un bar, dove si ritrovavano tutti i ragazzi universitari della zona: la compagnia mi aveva adocchiato. Un giorno scendo dal bus, inizio il percorso e vedo una Fiat 600, celeste, con il Bigazzi alla guida. Aveva sottratto le chiavi al padre: a quell’ora dormiva. Io camminavo, lui guidava con il finestrino abbassato e ha tentato di conoscermi: ‘Signorina, sono un bravo ragazzo, un universitario, sono uno serio…’. Era talmente concentrato da non accorgersi dell’incrocio: auto sfasciata contro un’altra. Per un mese non l’ho più visto.
Chissà a casa…
Lo ritrovo al bar, in Lambretta. ‘Ha visto cosa è successo per lei?’. ‘Ma che c’entro!’. A quel punto alza la maglietta e mostra le conseguenze: il padre lo aveva preso a cintate. ‘Oddio, mi dispiace’. E sono salita in Lambretta.
Seduta alla bersagliera.
Certo, tanto da bruciarmi un polpaccio. Una volta in sella siamo passati davanti al bar: doveva mostrarmi agli amici, ero la protagonista di una scommessa.
Ahi.
Iniziamo a frequentarci, ma protestava perché non potevo stare fuori casa dopo cena. ‘Prima devi conoscere i miei genitori’. Impossibile. E a giugno è partito per una tournée estiva…
Già una tournée?
La tournée era andare in Riviera, in tenda, e conoscere le straniere. Da giugno a settembre.
Lei in attesa…
(Sorride, tanto) All’epoca il massimo delle aspirazioni per un figlio maschio, era un impiego in banca: il padre lo obbligò a studiare prima Ragioneria e dopo Economia. Per due anni ha falsificato il libretto degli esami, ma dopo due anni di assenza, dall’università hanno chiamato a casa e il padre ha estratto di nuovo la cinta e lo ha spedito a Roma dalla sorella.
E lì?
Oltre al posto in banca ha scoperto la pasta all’Amatriciana, la Dolce vita, il mondo del cinema e della musica, tanto da strappare un appuntamento con Melis.
Lo storico direttore della RCA.
Melis gli chiese: ‘Sei un cantante?’ ‘No, no, io fischio…’. ‘Come, fischi?’ ‘Così mi vengono le canzoni’. A quel punto Melis chiamò Ettore Carrera, suo collega alla CGD di Milano; (sorride) era una sorta di patata bollente, di fregatura: ‘Ti mando un tizio…’, invece Carrera intuì qualcosa, gli diede una chance, gli chiese di tornare con un pezzo, e quel pezzo era Un colpo al cuore.
Nel frattempo, lei?
Un altro ragazzo del bar inizia a corteggiarmi. L’opposto di Bigazzi. Serio, laureato, professionalmente lanciato, apriva la portiera dell’auto. Si presentò dai miei con i fiori e baciò la mano a mamma.
Da copertina.
L’ho sposato a 21 anni.
E Bigazzi?
Di lui avevo qualche notizia, sapevo della musica. Ma un giorno salgo in macchina, accendo la radio e annunciano un nuovo brano: ‘… scritto da Bigazzi, si intitola Un colpo al cuore. Canta Mina’; (resta zitta, poi diretta). Lo ascolto. Sento un brivido: era la nostra storia, raccontava di me ‘la strada quattro volte al giorno’. Ho capito che a lui non era passata.
Come vi siete rivisti?
Una mattina esco in macchina, avevo un Maggiolone cabriolet. Mi fermo dal benzinaio, sento suonare alle mie spalle. Era lui. ‘Che combinazione!’ (sorride).
Non era una combinazione.
No. Mi offre un caffè, parliamo, ci aggiorniamo delle nostre vite, io di mio figlio, lui del suo prossimo matrimonio. Anni dopo quell’incontro è diventato Rapsodia di Mimì (“Un giorno i vecchi amori s’incontrano nei bar bugiardi ma sinceri a dirsi come va magari”).
Anche Non succederà più riguarda voi?
No, quella no. Era il periodo di crisi tra Celentano e la Mori, con Adriano innamorato di Ornella Muti. Sono solo loro.
Torniamo alla storia d’amore.
Finisce lì. Dopo mesi siamo invitati a una festa per Capodanno. Io di nuovo incinta. E mio marito: ‘Ci sono gli amici del bar’. Va bene. Alle undici arriva il Bigazzi con due sventole, io sarei sprofondata, quasi mi nascondo. S’avvicina, ‘un brindisi?’; passa altro tempo, lo vedo: aveva un occhio bendato. ‘Che è successo?’ ‘Colpa tua’. ‘Ancora!’ ‘Non mi sposo e con l’anello di fidanzamento mi ha dato un pugno’. Anello da due carati. ‘Desidero solo te’.
E vi siete baciati?
No, ma pensavo solo a lui; nel 1971 mio marito decide: ‘Vado dieci giorni negli Stati Uniti…’. In teoria per vedere un incontro di boxe, in realtà stava con un’altra. Nel frattempo io dovevo accompagnare un’amica a Roma, lo dico al Bigazzi: ‘Vi porto io’. Bigazzi aveva prenotato una suite all’Hilton. Era l’8 marzo del 1971. E finalmente ho festeggiato…
Avete impiegato un po’.
Sì, ma il Bigazzi aveva già sposato la musica, non me.
Sempre a comporre.
Ripeto: non ne poteva fare a meno.
Per chi amava scrivere?
Mia Martini.
Raf?
No, più per Marco Masini.
Suo marito è passato da Eternità a Vaffanculo.
E allora il periodo degli Squallor? Per lo scudetto del Napoli ho sentito i tifosi che cantavano Cornutone (storico pezzo del gruppo).
Gli Squallor hanno inciso canzoni memorabili.
Pura goliardia in stile Amici miei; era un gruppo di amici particolare, già a fine anni Sessanta si divertivano con gli scherzi telefonici, magari chiamavano una pensioncina per annunciare l’arrivo di un pullman di cinesi: quel divertimento si è amplificato in sala d’incisione, a partire da 38 luglio; (ride) per uno dei loro personaggi, il cardinale Alfonso Fava, è arrivata una querela dal Vaticano.
Ahi.
Però nel 1987, Giovanni Paolo II, all’Angelus, ha concluso con ‘ricordate, come dice una grande canzone, si può dare di più’.
Suo marito ha segnato la cultura italiana.
Non solo italiana: Jennifer Lopez deve ringraziarlo, la sua Non amarmi è diventata, per lei, No me ames e si è imposta al grande pubblico; il Bigazzi ha rifiutato di lavorare con Olivia Newton-John e Dionne Warwick…
Perché?
Non aveva voglia di andare all’estero. Stava bene in Italia, nella sua dimensione.
Lui chi è stato?
Come cantava Battiato: un essere speciale.