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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Drogati di cellulari: boom di giovani in astinenza

Chissà se Martin Cooper, l’inventore del cellulare, l’aveva immaginato. Chissà se Steve Jobs l’aveva previsto.
Ricoverato per una crisi di astinenza. Da smartphone. In queste condizioni è arrivato tempo fa un adolescente al pronto soccorso di Orbassano (Torino): lo sguardo assente, la voce impastata, le mani che tremavano. La diagnosi pareva semplice: crisi d’astinenza. Ma il professor Gianluca Rosso – professore associato in Psichiatria a Torino – che si è trovato ad accogliere Matteo (il nome è di fantasia) ha subito capito che c’era qualcosa di particolare: non c’erano segni sul corpo; il giovane non aveva una storia di tossicodipendenza. Sono stati i genitori a confermare i dubbi: “Passa tutta la giornata allo smartphone. Alla fine glielo abbiamo tolto. E dopo poco lo abbiamo trovato così”. Matteo è stato ricoverato. Gli hanno somministrato ansiolitici intramuscolari e per endovena per uno stato di agitazione psicomotoria “severo”. La storia raccontata dal Corriere non è la prima: nel 2015 la polizia ferroviaria trovò un ragazzo che vagava per la stazione di Santa Maria Novella, a Firenze. Non ricordava neppure il proprio nome. Ci volle un po’ per scoprire la verità: “Overdose da schermi”, così dissero i medici. Nel 2016 a Cuggiono, nel Milanese, una famiglia disperata arrivò a chiedere il ricovero in psichiatria del proprio figlio “malato di internet”. Episodi che sbattono davanti agli adulti un fenomeno che spesso ignorano o cercano di ignorare. Forse perché sono abituati a considerare che le dipendenze sono associate all’assunzione di sostanze. O magari perché anche loro corrono lo stesso rischio. Quella da smartphone rischia di essere la prima dipendenza transgenerazionale, che colpisce ragazzi e adulti. Talvolta perfino anziani. I dati fotografano una realtà che abbiamo davanti agli occhi in casa nostra: gli adolescenti passano in media fino a 6 ore al giorno con il cellulare; molti arrivano a 8 ore. L’utilizzo ormai comincia a sei anni (perfino prima). Il 32,6% dei bambini tra 6 e 10 anni usa il telefonino, una percentuale esplosa negli ultimi sette anni, forse a causa del Covid: nel 2018 era ‘appena’ del 18,4%. Ma un’altra cosa colpisce, il divario tra il Sud (dove si tocca il 44%) e il Nord (23,9). Gli adulti, però, si trovano disarmati appunto perché spesso sono preda delle stesse abitudini: l’utilizzo medio è infatti tra le 3 e le 4 ore giornaliere, ma non di rado arriva a 6.
Dunque, lo smartphone è un nemico e un pericolo? Qui le opinioni, anche tra esperti, si dividono. “No”, è netto lo psichiatra Federico Tonioni. Eppure proprio lui – dopo essersi occupato di droghe – ha fondato nel 2009 al Gemelli di Roma il primo ambulatorio pubblico italiano contro la dipendenza da internet che ha seguito migliaia di casi. “Non confondiamo cause ed effetti. Il ruolo essenziale è quello dei genitori che magari sono confusi di fronte a una rivoluzione così improvvisa. Li capisco, eccome. Ma noi madri e padri dobbiamo sapere che oggi lo smartphone è il rifugio, la comfort zone dei nostri ragazzi, dove manifestano fantasie, intimità, sessualità. È il mezzo, anche, che gli consente di vivere l’indispensabile distacco da noi”. Quindi occorre lasciarglielo usare? “Io sono contro i divieti. Bisogna lasciare uno spazio non violato. Pretendere dai figli adolescenti la password è incestuoso. Serve fiducia, non controllo”. Tonioni è convinto: “Noi proponiamo una realtà devastante ai nostri figli, con la minaccia quotidiana di una terza guerra mondiale e poi vorremmo che non provassero a evadere”. No, Tonioni non accusa i genitori, ne comprende le contraddizioni: “Noi diciamo ai nostri figli di non usare i device, ma siamo stati i primi a darglieli perché sono una sorta di baby sitter dei bambini. E siamo sempre noi che passiamo le giornate con gli occhi incollati agli schermi”. No ai divieti, sì alla condivisione. Anche alla comunicazione tra generazioni sfruttando i nuovi mezzi. “Il guaio – sostiene Tonioni – è che noi siamo impreparati: i genitori e gli insegnanti. I nuovi mezzi offrono anche opportunità: pensiamo che i nostri figli con il cellulare, anche con i giochi, imparano le lingue, conoscono coetanei di tutto il mondo, possono fare musica, essere creativi. Esprimersi. Certo, in un modo tanto diverso dal nostro… noi che ci perdiamo in un mondo in cui perfino la firma è digitale”. Eppure Tonioni ha aperto il centro contro la dipendenza. Come funziona? “Non guardiamo quanto un ragazzo usa lo smartphone, ma se lo fa per isolarsi dal mondo, usando magari quei giochi in cui si spara sul nemico per sfogare una rabbia cieca. Ecco, più che di crisi di astinenza, io parlerei di incapacità di manifestare la rabbia, la noia, la solitudine. Ripeto, il telefonino è il mezzo attraverso cui emergono fenomeni che vengono da molto più lontano. Perciò noi parliamo con i ragazzi, ma creiamo gruppi anche con i genitori”. Detto così sembrerebbe che non si debba nemmeno porre un limite all’utilizzo… “Il limite è diverso per ogni persona e, se possibile, deve nascere da una contrattazione e dalla fiducia. Dobbiamo essere noi a mostrare le alternative: il dialogo, le attività fisiche, il contatto con il mondo. Ma dobbiamo – parlo di famiglia e scuola – adeguarci ai tempi. Se il mezzo di comunicazione e apprendimento per i ragazzi diventa il cellulare non possiamo ignorarlo”. Conclude Tonioni: “Il telefonino non è il nemico, ma il mezzo che fa esplodere quanto i ragazzi non riescono a esprimere”.
Javier Alvarez, specialista spagnolo nello studio del sonno ha dedicato al fenomeno un libro: “Generation Zombie”. Alvarez, come ha scritto su El País, è più critico: “L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che gli schermi non vanno utilizzati prima dei sei anni. Ha conseguenze sulla salute fisica e mentale, sul linguaggio, la comunicazione, l’empatia e l’apprendimento. Chi abusa dei device dorme meno e fa incubi. Sono i grandi ladri dei sogni dei nostri figli”.