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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Intervista ad Andrea Roncato

Dall’altra parte del telefono Andrea Roncato, dopo i saluti e convenevoli, parte alla carica: «Come sto? Bene. Alla mia età faccio finalmente l’attore, quello che ho sempre voluto fare fin da bambino. Quando iniziai come comico assieme al mio amico Gigi, ci andò subito bene e dalla fine degli Anni Settanta in poi riuscimmo a fare tanti film e programmi tv di successo. Quando fai ridere, però più o meno interpreti te stesso. Quando ti cali in un personaggio di una storia seria, drammatica ed emozionante, è diverso. Diventi un altro, ti avvicini a una nuova umanità. E io in questa fase della mia vita voglio fare questo». Ed è così che a 78 anni Roncato salta da un set all’altro: ha appena girato la serie di Rai1 dedicata allo scrittore Giovannino Guareschi, Non muoio neanche se mi ammazzano, in cui interpreta il padre; prima ancora un’altra serie di Giacomo Campiotti, La ragazza dietro il banco, con Cristiana Capotondi; e ieri sera a Jesi ha festeggiato con cast e troupe la fine delle riprese del nuovo film di Dario D’Ambrosi, fondatore e direttore del Teatro Patologico di Roma, intitolato Il principe della follia, con Roncato e Alessandro Haber, prossimamente nelle sale. «Un lavoro bello e originale», aggiunge, «che non parla di violenza sulle donne o maschilismo, temi un po’ troppo ricorrenti, ma di disagio mentale e solitudine. Io interpreto un tassista senza amici né famiglia, che parla solo con i travestiti o le prostitute che porta a lavorare in un night».
Un po’ come quella di cui soffriva il suo Loris Batacchi, la caricatura del Vitellone che si vantava di aver avuto tantissime donne, ma combinava poco e niente e sotto sotto pensava soltanto alla fidanzata che l’aveva lasciato, giusto?
«Più o meno quello. Pensi che ancora oggi ci sono ragazzi che mi fermano per farmi vedere i tatuaggi con la scritta Loris Batacchi, quello dalle mille conquiste, ma sempre solo e malinconico».
È vero che lei ne ha uno sul braccio con il sole azteco, regalo di Mickey Rourke?
«Sì. L’avevo conosciuto nel 1992 durante una serata dei Telegatti a Milano, così quando mesi dopo, mi vide in hotel a Miami si ricordò subito di me. Aveva appena rotto con sua moglie, Carrè Otis, e voleva parlare. Poi a notte fonda mi accompagnò dal suo tatuatore.
Fu il primo».
Negli anni d’oro non c’è stata un po’ di sovrapposizione fra lei e il personaggio? Anche lei come Batacchi dava i numeri: 500 donne conquistate, macchinoni, feste in discoteche affollatissime...
«Mai contato le donne in vita mia. Però è vero che non mi sono risparmiato e che un po’ negli Anni Ottanta bisognava dare l’immagine del vincente sempre e comunque. All’epoca tutto veniva gonfiato, spesso a livelli tragicomici.
Io in realtà sono sempre stato molto più tranquillo di quello che sembrava».
Alla fine per lei come sono stati quei benedetti Anni Ottanta?
«Bellissimi. La gente stava meglio, si divertiva e c’erano più soldi per tutti. Ricordo certi programmi tv in cui c’erano ospiti come James Brown, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Tony Curtis e Alain Delon. Le star internazionali facevano la fila per venire a lavorare con noi».
In quegli anni c’è stato un momento in cui un po’ si è smarrito?
«Sì, ma credo che possa capitare a tutti. Con Gigi eravamo tra i comici più famosi d’Italia, lavoravamo con le star più belle, avevamo soldi e fare il donnaiolo non era così male».
Ha avuto storie con Carol Alt, Elena Sofia Ricci, Moana Pozzi... Nel 1991 la pornostar nel suo libro “La filosofia di Moana” diede i voti ai suoi amanti e lei prese 7 con l’aggiunta “una bella storia di sesso": Berlusconi che le disse?
«Ahahaha... Quella fu una specie di titolo accademico per me. Moana era eccezionale, molto intelligente e sensibile. Berlusconi imprenditore fu un gigante, ha inventato la tv libera e ha sempre instaurato rapporti speciali con la gente. Con lui avevo un filo diretto: mi chiamava a qualsiasi ora e altrettanto voleva che facessi in caso di bisogno».
Vi siete mai trovati a parlare di donne?
«Sì, certo. Tutti gli uomini lo fanno. E lui quando chiamava in tv le più belle, mi diceva sempre: non fare il cretino con quelle lì, sono io che le assumo e prima devono lavorare».

Lei si è sposato due volte: in generale con le sue ex ha mantenuto buoni rapporti?
«Quasi con tutte. Io posso anche arrabbiarmi ma dopo un minuto mi passa. Non riesco a dormire se sono in rotta con qualcuno.
Sono così grazie ai miei genitori: mio padre faceva il sagrestano e ci ha cresciuti nella fede. Sapere che loro c’erano sempre, da giovane, mi ha impedito di fare grandi stronzate».
Tipo?
«Aver innescato degli equivoci pesantissimi sul mio conto».
Sia più chiaro.
«Che io sia un malato di donne e un drogato. La cocaina l’ho tirata anni fa, sì, ma l’ho mollata dopo poco. Mai stato dipendente. Solo che sono stato sincero e l’ho raccontato, sbagliando».
Dopo la laurea, i suoi come hanno reagito quando hanno visto che lei voleva fare altro?
«Sapevano che non avrei mai fatto l’avvocato. Loro avevano soltanto paura che non riuscissi a mantenermi facendo il comico».
E invece alla fine ha guadagnato tantissimo, vero?
«Sì. Ma i soldi vanno e vengono. La mia unica, vera ricchezza è un’altra: faccio un lavoro che amo. Non ho la barca, anche perché non so nuotare, non ho più la Ferrari, né una casa in centro o in montagna. Vivo in campagna con mia moglie, tanti animali, duemila metri di giardino e cinquanta alberi alti venti metri.
Ho tutto quello che mi serve».
All’epoca del grande successo c’era qualcosa che le faceva paura?
«Sì. Perdere l’amore della gente. Io sono dei pesci, sempre alla ricerca di amore, rispetto e conferme. Grazie a Dio è andata bene: la gente non mi ha abbandonato e mi ferma ancora per strada, mi fa capire che mi vuole bene
. Senza tutto questo oggi non sarei qui».
Invece quando il successo è calato chi ha trovato vicino a sé?
«Gli affetti veri e consolidati. Per il resto, questo lavoro bisogna amarlo sempre, anche quando nulla ti dà in cambio. Funziona così».

La lista delle rivincite da prendere è lunga?
«No. L’unica è con me stesso per cercare ogni volta di migliorarmi nel mio lavoro di attore».
Fare cinema d’autore è stato difficile?
«No. È stata una mia decisione dettata dalla consapevolezza che gli anni passano e per essere credibili bisogna cambiare in corsa il modo di vivere e lavorare. È bello offrire emozioni alla gente che prima non riuscivo a tirare fuori».
La cosa che finora le è venuta meglio qual è?
«Il personaggio della mamma. Quella che al figlio dice: “Io ti ho fatto, io ti disfo"».
Chi la fa ridere oggi?
«Checco Zalone, anche se tra un po’ anche lui dovrà cercare qualche via nuova, altrimenti rischia di fare sempre lo stesso film. Sono sicuro che ce la farà come Verdone, Aldo, Giovanni e Giacomo e tanti altri fuoriclasse».
Il rimpianto maggiore?
«Non avere avuto figli. Mia moglie ne ha due, che sono come le mie, e quindi ho anche una nipotina che mi chiama nonno. Purtroppo da giovani io e una mia compagna, quando rimase incinta, decidemmo insieme di abortire. Non me lo perdono. Ho scritto anche un libro su questo tema: Avrei voluto».
Cosa non si direbbe mai di lei?
«Che sono una persona semplice e buona. Uno normale a cui piace stare a casa sul divano, davanti alla tv, con moglie e cagnetti intorno».

Crede in Dio?
«Certo. Sono figlio di un sacrestano. Faccio anche cose che quasi quasi mi vergogno a raccontare».
Addirittura?
«Tengo il presepe tutto l’anno a casa e sopra ho messo un busto di Padre Pio. Prima di andare a letto, ogni sera mi metto a pregare lì davanti e a ringraziare Dio per la giornata che ho avuto. Poi vado in giardino dove sono sepolti otto dei miei cani e li saluto uno alla volta».

Quando sarà, fra cent’anni, che ne sarà di lei?
«Non lo so che fine farò. Spero che qualcuno si ricordi di me, che magari facendolo sorrida pure e che nessuno mi maledica. Quando è stata la festa dei nonni la mia nipotina mi ha chiesto cos’è l’amore? Le ho detto: “È quel sorriso che farai pensando a me, quando sarai grande e io non ci sarò più” Meglio di così non potrei finire. Speriamo bene».