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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Pechino ora “inquieta” i golpisti del Myanmar

Inquieta l’attivismo illegale dei “Wa rossi”. Il coinvolgimento dei militanti del Partito unito per lo Stato di Wa, in Myanmar, nel traffico di stupefacenti e nelle attività estrattive preoccupa i golpisti al potere a Naypyidaw e la vicina Thailandia. Il fatto che il gruppo, bene armato e militarmente efficiente, abbia ora il controllo delle regioni settentrionali e meridionali dello Stato di Shan sta mettendo la giunta militare in seria difficoltà. Dietro gli indipendentisti, con una forte influenza sull’alleanza che include anche altri gruppi armati espressione delle etnie Wa, Kokang, Ta’ang e Shan, gli analisti ritengono ci sia il Partito comunista cinese.
Il governo di Bangkok è al momento silente davanti alle crescenti sollecitazioni provenienti dalla società civile allarmata, nelle regioni confinanti, da un’ondata sempre più grande di metanfetamine e oppio. Traffici che, utili ai “Wa rossi” a generare denaro per acquistare armi e carburanti, rischia di travolgere il “Paese del Sorriso”. L’esecutivo thailandese è pressato dalla richiesta di fermare il transito e lo smercio degli stupefacenti ma appare come distratto da altre questioni come le forti piogge e le piene improvvise che tormentano il settentrione all’inizio della stagione monsonica. Pericolose perché provocano le esondazioni dei fiumi Sai, che segna un tratto del confine condiviso, e Kok, che entra in territorio tailandese dopo aver percorso un tratto in Myanmar.
Entrambi i corsi d’acqua, tra l’altro, evidenziano una forte contaminazione da elementi tossici utilizzati nelle attività minerarie controllate dai Wa ma di cui la Cina è beneficiaria. Per gli ambientalisti che seguono il caso dalla Thailandia, i “Wa rossi” rappresentano un problema non solo per la sicurezza della frontiera nord-occidentale ma anche per la sa-lute pubblica al di qua del confine. Tra gli altri, anche Greenpeace ha sollecitato l’esecutivo di Bangkok a chiedere al regime birmano, ma anche a Pechino e ai leader Wa, di fermare le attività estrattive inquinanti. La situazione dell’ex Birmania non è mai stata semplice. Oggi è una “terra di nessuno” su cui grava un passato segnato dal controllo militare, imposto dal 1962 al 2011, e dal colpo di stato del primo febbraio 2021 che ha attivato una guerra civile la cui soluzione al momento non è nemmeno immaginabile. Fragilità aggravate dalla mancanza di meccanismi di promozione dell’unità nazionale, della comunità di intenti e di indirizzo verso democrazia e sviluppo. Principi in buona parte disattesi anche durante la parentesi democratica di cui è stata protagonista la Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi. Del Paese si può parlare come di un “mosaico birmano” caratterizzato da una molteplicità di interessi. Ambito per posizione geografica e abbondanza di risorse ma fortemente instabile (anche per attori o fattori esterni) e bisognoso di investimenti.
Oggi, la maggior parte degli aerei da guerra, delle armi e delle munizioni che permettono ai militari di tentare il tutto per tutto per garantirsi ancora un ruolo, anche a costo di migliaia di morti e milioni di profughi interni, sono di provenienza russa anziché cinese. Pechino, però, gioca su più tavoli per continuare a garantirsi alleati e risorse sul territorio, a partire dalle regioni confinanti dove i suoi interessi in termini commerciali, di investimenti e di infrastrutture, sono più forti. Il coinvolgimento cinese, diretto o mediato dai suoi alleati, deriva dall’antica influenza in queste regioni ma anche da progetti più recenti. La Cina, qui, ha impegnato risorse, prestigio e miliardi di yuan. Le regioni settentrionali dello Stato di Shan fanno parte del Corridoio economico Cina-Myanmar che, a sua volta, comprende un tratto della “nuova via della Seta” che contempla nell’area piani per la realizzazione di condotte per gas, petrolio e idrocarburi e una linea ferroviaria ad alta velocità. Quest’anno, tra l’altro, si è registrato un recupero dell’influenza di Pechino dopo l’indebolimento del biennio precedente. Due anni fa, va ricordato, una coalizione di forze etniche prese il controllo delle regioni a ridosso del confine con la Repubblica popolare cinese (Rpc) utilizzando le armi che Pechino le aveva dato per ripulire l’area da agguerrite gang che ne avevano fatto una roccaforte continentale della criminalità informatica. Tuttavia, poche settimane fa, le milizie Kokang sono state costrette per la pressione cinese a ritirarsi da Lashio, 150mila abitanti, a decine di chilometri dal confine con la Rpc ma centro cruciale per le iniziative cinesi in quanto snodo delle comunicazioni tra Myanmar e provincia dello Yunnan, tra stato Shan settentrionale e Myanmar centrale. È questo il contesto che ha portato i Wa (e i Kokang) ad essere oggi legati strettamente agli interessi di Pechino e a beneficiare della disponibilità di armi, combustibili, servizi Internet e molti beni di consumo.
Il Paese del dragone, che come nel conflitto russo-ucraino si pone come mediatore, è anche tra i maggiori sostenitori del regime militare guidato dal generale Min Aung Hlaing al quale fornisce armamenti, supporto logistico nella repressione, sostegno diplomatico e impegno a premere in vario modo sui gruppi della resistenza. Scopo finale è tenere aperte le porte a iniziative commerciali ed economiche, garantirsi, comunque vadano le cose, la partecipazione del Myanmar alla sua sfera d’influenza, impedire la realizzazione di uno Stato federale democratico, indipendente e aperto, ai suoi confini meridionali.
Precursori sono stati Cambogia e Laos, ormai nazioni a sovranità limitata. Osservati speciali sono Vietnam e Thailandia che vicinanza ideologia o opportunità economiche (insieme all’inazione europea e americana nella regione) rischiano di attrarre sempre di più nell’orbita di Pechino.